Nouvel Observateur/ Balcani: viaggio nella
peste nazionalista
Raffaele Oriani
Come tutti i grandi giornali internazionali il Nouvel Observateur dedica grande
attenzione alla guerra in corso nei Blacani. Ma lo fa con un taglio decisamente originale:
inviati del giornale in dieci paesi della regione (dalla Croazia alla Macedonia, alla
Grecia, alla Bulgaria, per finire con i paesi piu' direttamente coinvolti nel conflitto
come Serbia e Albania) raccontano infatti delle dolorose variazioni balcaniche sul tema
del nazionalismo. L'intento e' chiaro ed esplicitato in un editoriale di apertura: si
tratta di capire che lo stato nazione ha fatto il suo tempo e il sogno di una patria a
misura di popolo e' destinato a trasformarsi prima o poi nell'incubo della pulizia etnica.
Quanto al diritto delle piccole patrie a nutrire ambizioni di grandezza il giudizio del
Nouvel e' lapidario: dalla Croazia, all'Albania alla Serbia le mire espansioniste sono
destinate prima o poi a ritorcersi contro i popoli che vi sacrificano ogni altro valore.
Sempre sui Balcani si segnala una lunga intervista a Jacques Rupnik, esperto del Centro di
studi e di ricerche internazionali di Parigi secondo cui siamo alle prese con i cascami di
due imperi ormai estinti: quello comunista e quello ottomano. Da una parte si soffrono
infatti le conseguenze del modo con cui Milosevic ha tentato l'uscita dall'utopia
comunista, dall'altra il passato imperiale della regione obbliga a confrontarsi con
confini che non riescono a garantire la compattezza etnica degli stati.
Originale anche il taglio di un altro articolo del Nouvel Observateur sulla zona oggi piu'
calda del pianeta: Dominique Nora e Thierry Philippon raccontano infatti l'economia
balcanica in tempi di guerra civile. Crollano gli stati e avanzano le mafie, potrebbe
essere la morale di questo documentato servizio secondo cui stando alle cifre ufficiali
non si capisce come paesi come la Serbia, l'Albania, la Macedonia possano resistere,
sopravvivere, condurre un'esistenza qualsiasi. Il fatto e' che a fronte di crolli
produttivi disastrosi (dell'ordine del 30% in Serbia tra il 1992 e il 1997 o del 23% in
Macedonia negli ultimi sei anni) si e' sviluppata un'economia sommersa para-legale quando
non semplicemente illegale che sta diventando la vera colonna portante della regione. Si
calcola ad esempio che tra l'80 e il 90% dell'eroina consumata in Europa attraversi la
rotta balcanica, mentre e' dai tempi del fallimento delle finanziarie piramidali in
Albania che in quel paese si sono svuotate le caserme e avviati fiorenti e sommersi
commerci di armi. Quanto ai vari embarghi che in questi anni hanno cercato di fermare
Milosevic e la sua corte: gli unici a trarne vantaggio sono stati proprio loro con
un'opera di drenaggio delle risorse del paese e di esponenziale sviluppo delle strutture
economiche parallele. Si calcola in proposito che solo a Cipro trovino sede cinquecento
societa' serbe di cui quaranta direttamente riconducibili all'entourage presidenziale.
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