Medio Oriente: parla Shimon Peres
Raffaele Oriani
Le Nouvel Observateur, 22
novembre 2000
Il Nouvel Observateur sembra rimasto l’unico tra
i grandi media occidentali ad occuparsi della strage in corso nei
territori occupati palestinesi e dei tentativi tuttora presenti di porre
termine ad una situazione di violenza che con il passare del tempo
appare esaurire ogni sbocco. Questa settimana e’ la volta di un’approfondita
intervista a Shimon Peres che, nel campo israeliano, sembra rimasto l’unico
a sperare in una soluzione positiva del conflitto e a lavorare per la
pace e per il dialogo con i palestinesi. Dopo che il premier Barak ha
infatti imboccato la strada della repressione spietata delle proteste
palestinesi, in Israele ci si domanda se non sia il caso di affidare la
leadership del campo a favore della pace proprio al coautore degli
accordi di Oslo, Nobel per la pace assieme a Yizhak Rabin e Yasser
Arafat. Secondo Peres la pace rimane l’unica opzione e la tragedia di
questi giorni risiede proprio nel fatto che mai come negli ultimi mesi
in realta’ si era stati vicini ad una soluzione che conciliasse gli
interessi delle parti avverse. Perche’ questo fallimento? E perche’
questa situazione senza possibili sbocchi positivi? Peres da’ una
risposta diplomaticamente convincente, praticamente pero’ meno
efficace: sostiene in sostanza che alla buona volonta’ dei negoziatori
di entrambe le parti non ha corrisposto il coraggio dei leaders
politici. Rifiuta ad ogni modo di addossare ogni responsabilita’ ai
palestinesi e si dice poco preoccupato da un’eventuale escalation del
conflitto: secondo l’ex premier israeliano infatti quello attuale e’
uno scontro sufficientemente drammatico per potersi distrarre
immaginandosi ulteriori e peggiori scenari. Quale quindi la soluzione?
Esattamente il contrario di quanto sta facendo il governo israeliano,
ovvero: trattare, trattare e trattare, riconoscendo la dignita’ della
controparte ed evitando di imporre le proprie condizioni in modo
unilaterale. Unico tra i leader israeliani Peres sembra insomma aver
capito che di questo passo a Israele rimarra’ un solo argomento
convincente: l’argomento, apparentemente irresistibile, in realta’
fragilissimo, della forza del proprio esercito
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