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Newsweek / Energia nucleare? Non resta che incrociare le dita


Raffaele Oriani

Newsweek, 18 ottobre 1999

Dove si trova la prossima Chernobyl? Si chiede Newsweek in una lunga inchiesta sugli stabilimenti nucleari al di lą dell’ex cortina di ferro. Il quadro che ne viene fuori, come titola il settimanale statunitense, ‘non e’ gradevole’. E questo per molte ragioni. La prima e’ che ormai gli esperti riconoscono quasi all’unanimita’ che l’energia nucleare offre un quadro costi-rischi/ benefici decisamente sfavorevole. La seconda e’ che nell’ex Unione Sovietica sono in funzione cinquantotto impianti di produzione di energia nucleare, quindici dei quali hanno lo stesso design ingegneristico dell’impianto che causo’ il disastro di Chernobyl. Ma non e’ tutto: la prima risorsa di sicurezza e’, a detta degli stessi responsabili dell’impianto, il morale della truppa, la concentrazione dei lavoratori, l’accuratezza che ognuno impiega nello svolgere il proprio compito. Anche da questo punto di vista l’ex Unione Sovietica offre un quadro sconfortante: operai che non ricevono la paga da sei mesi, norme che vengono costantemente violate per mancanza di motivazioni all’azione, addirittura impiegati eroinomani che rivestono posizioni delicatissime all’interno delle centrali. E’ accaduto all’impianto nei pressi di San Pietroburgo: un operaio e’ morto di overdose, un altro fa uso abituale di droghe e nell’orario di lavoro maneggia lo stesso uranio arricchito che ha causato l’incidente di Taokaimura in Giappone. Anche su quest’episodio comunque Newsweek ha qualcosa da dire, tanto che rileva che il grado quattro con cui all’inizio era stato qualificato l’incidente e’ stato corretto in cinque, avvicinandosi pericolosamente al sette che aveva caratterizzato l’incidente di tredici anni fa a Chernobyl. Ma il problema non e’ il Giappone e non e’ l’Europa che trae dal nucleare un terzo della propria energia elettrico (in Francia si arriva addirittura ai tre quarti ma questa e’ davvero una storia a se’). Il problema sono i reattori russi e ucraini per la cui sicurezza l’Occidente ha gia’ investito due miliardi di dollari che pero’ a quanto pare poco hanno potuto se i depositi di scorie radioattive dell’Alaska mostrano crepe vistose e se i tempi di apertura e chiusura delle centrali invece di dipendere da motivate considerazioni di sicurezza sembrano dipendere esclusivamente dall’andamento del rublo sui mercati valutari.

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