LEconomist dedica grande attenzione alle
prossime elezioni indiane che vedono il partito del primo ministro Vajpayee scontrarsi con
lerede italiana della dinastia Nehru-Gandhi, Sonia. Secondo il settimanale londinese
e relativamente poco importante a chi andra la maggioranza dei seggi:
fondamentale sarebbe che dalle elezioni uscisse una compagni governativa in grado di
guidare il subcontinente indiano verso la modernizzazione e limprescindibile
assunzione di responsabilita sullo scacchiere internazionale. LIndia ha
infatti enormi potenzialita umane, naturali, culturali, ma è sottostimata sia
politicamente che economicamente: partecipa per lo 0,7% al commercio internazionale e non
ha un seggio fisso nel Consiglio di sicurezza dellOnu. Che vinca il migliore,
quindi, ma soprattutto: che qualcuno vinca.
Non e lIndia, ma viaggia certo al di sotto delle proprie
potenzialita e si muove alla perenne ricerca di una qualche stabilita
politica: alzi la mano chi non ha capito di chi si sta parlando. Si, e
ovviamente lItalia che questa settimana attira lattenzione dellEconomist
per la perenne querelle sulla giustizia. Ma come, si chiedono a Londra: Andreotti e
plurinquisito e viene osannato al meeting dei giovani cattolici; Berlusconi e
pluricondannato e minaccia di ridiventare presto capo del governo; Craxi e latitante
in Tunisia e riceve la piena solidarieta del suo avversario politico Armando
Cossutta; la sinistra stessa per bocca di Anna Finocchiaro, gia magistrato e ora
presidente di commissione, auspica un colpo di spugna sulla stagione dei veleni. Il tutto
mentre continua a brillare lastro Di Pietro e i giudici imbastiscono processi
monstre con 800.000 pagine di documenti, centinaia di testimoni, sentenze sempre pendenti
e spesso revocate. E questo il paese normale? Per LEconomist e una
gabbia di matti.
Da segnalare ancora il servizio di copertina che riguarda da vicino anche il nostro
paese lauspicata/paventata riforma delle pensioni: il tema e infatti la terza
eta e i tanti anziani costretti a ritirarsi dal mondo del lavoro pur rappresentando
ancora una risorsa umana e professionale. Non sarebbe piu liberale lasciare
scegliere al singolo se ritirarsi o meno? LEconomist si pone la domanda pensando ad
Alan Greenspan che a 73 anni continua a guidare splendidamente la Federal Reserve o a
Ronald Reagan che sempre a 73 fu eletto per la seconda volta a capo degli Stati Uniti. Per
avviare il dibattito anche in Italia basterebbe citare i casi dei due ultimi presidenti
della Repubblica