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Rassegna Internazionale




The Economist / Come strana l’India, come strana l’Italia

 

Raffaele Oriani

The Economist, 10 settembre 1999

L’Economist dedica grande attenzione alle prossime elezioni indiane che vedono il partito del primo ministro Vajpayee scontrarsi con l’erede italiana della dinastia Nehru-Gandhi, Sonia. Secondo il settimanale londinese e’ relativamente poco importante a chi andra’ la maggioranza dei seggi: fondamentale sarebbe che dalle elezioni uscisse una compagni governativa in grado di guidare il subcontinente indiano verso la modernizzazione e l’imprescindibile assunzione di responsabilita’ sullo scacchiere internazionale. L’India ha infatti enormi potenzialita’ umane, naturali, culturali, ma è sottostimata sia politicamente che economicamente: partecipa per lo 0,7% al commercio internazionale e non ha un seggio fisso nel Consiglio di sicurezza dell’Onu. Che vinca il migliore, quindi, ma soprattutto: che qualcuno vinca.

Non e’ l’India, ma viaggia certo al di sotto delle proprie potenzialita’ e si muove alla perenne ricerca di una qualche stabilita’ politica: alzi la mano chi non ha capito di chi si sta parlando. Si’, e’ ovviamente l’Italia che questa settimana attira l’attenzione dell’Economist per la perenne querelle sulla giustizia. Ma come, si chiedono a Londra: Andreotti e’ plurinquisito e viene osannato al meeting dei giovani cattolici; Berlusconi e’ pluricondannato e minaccia di ridiventare presto capo del governo; Craxi e’ latitante in Tunisia e riceve la piena solidarieta’ del suo avversario politico Armando Cossutta; la sinistra stessa per bocca di Anna Finocchiaro, gia’ magistrato e ora presidente di commissione, auspica un colpo di spugna sulla stagione dei veleni. Il tutto mentre continua a brillare l’astro Di Pietro e i giudici imbastiscono processi monstre con 800.000 pagine di documenti, centinaia di testimoni, sentenze sempre pendenti e spesso revocate. E’ questo il paese normale? Per L’Economist e’ una gabbia di matti.

Da segnalare ancora il servizio di copertina che riguarda da vicino anche il nostro paese l’auspicata/paventata riforma delle pensioni: il tema e’ infatti la terza eta’ e i tanti anziani costretti a ritirarsi dal mondo del lavoro pur rappresentando ancora una risorsa umana e professionale. Non sarebbe piu’ liberale lasciare scegliere al singolo se ritirarsi o meno? L’Economist si pone la domanda pensando ad Alan Greenspan che a 73 anni continua a guidare splendidamente la Federal Reserve o a Ronald Reagan che sempre a 73 fu eletto per la seconda volta a capo degli Stati Uniti. Per avviare il dibattito anche in Italia basterebbe citare i casi dei due ultimi presidenti della Repubblica



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