Caffe' Europa  
Rassegna Internazionale




The Economist/Prodi a 15 stelle

Raffaele Oriani

 

Il 14 aprile inizia l’avventura di Romano Prodi alla presidenza della Commissione europea. Quel giorno infatti il Professore avra’ il suo primo meeting con i presidenti del Consiglio e i capi di stato europei e dovra’ relazionare sullo stato dell’Unione e sulle prospettive di riforma dei prossimi anni. Secondo l’Economist inziera’ cosi’ una partita tutt’altro che facile il cui esito si giochera’ soprattutto sul piano dei rapporti tra presidenza centrale e governi nazionali. Ma esiste un effettivo interesse a rafforzare il ruolo dell’esecutivo di Bruxelles? Il recente vertice di Berlino non sembra aver segnato un passo in questa direzione, sfornando il solito faticoso compromesso tra i piu’ indifendibili interessi nazionali. In quest’occasione e’ stata la volta dei vituperati fondi per l’agricoltura che continueranno ad aumentare fino al 2002, ma e’ l’intera politica europea a risentire, dopo quattro anni di Commissione Santer, della perdita di ogni senso di priorita’ e della capacita’ di darsi degli obiettivi chiari e raggiungibili. A detta dell’Economist, insomma non ci resta che Prodi, un presidente che dovra’ dimostrare la propria determinazione gia’ al momento delle nomine dei commissari: accettera’ le proposte incolori dei vari governi o imporra’ nomi di riconosciuto prestigio continentale?

 

Sul Kossovo l’Economist pone il proprio interrogativo di copertina: i profughi albanesi sono vittime della Serbia o della Nato? La prima guerra mai scatenata per bloccare un genocidio, finira’ invece per promuoverlo? I generali Nato sono costretti a cambiare i loro piani: non piu’ una guerra aerea lungua settimane o addirittura mesi, ma la conquista del Kossovo nel tempo piu’ breve possibile, l’istituzione di un protettorato e l’attesa che la situazione si normalizzi lentamente con il ritorno degli albanesi e la pacificazione tra questi ultimi e la minoranza serba. Il problema secondo l’Economist e’ che in questo caso la Nato non puo’ contare su truppe autoctone che si impegnino in prima fila sul campo: la guerriglia albanese non e’ infatti abbastanza organizzata per agire come fecero i croati nel 1995, e potra’ anzi rivelarsi un problema nel caso di una futura proclamazione di indipendenza con conseguenti ritorsioni sulla minoranza serba. Un quadro aggrovigliato quindi, complicato ulteriormente dal rifiuto della Nato di operare con truppe di terra: secondo l’Economist si rischia quindi di essersi posti un fine senza preoccuparsi dei mezzi per ottenerlo.

 

Tra i molti articoli sulla guerra in Kossovo, il settimanale londinese dedica uno dei suoi classici, puntigliosi riquadri alla situazione in Macedonia. Ci si chiede perche’ il grosso dei profughi continui a riversarsi in Albania e nel Montenegro invece di dirigersi verso la repubblica macedone decisamente piu’ accessibile. Anche questa e’ probabilmente opera di Milosevic: secondo l’Economist potrebbe esserci infatti un accordo tra Skopie e Belgrado per riversare altrove i profughi della guerra. La Macedonia vive infatti una situazione estremamente delicata che rischia di venir compromessa da un eventuale choc demografico: a fronte di una minoranza albanese del 23% (fonti ufficiose parlano addirittura del 35%) il paese e’ infatti governato da una coalizione tra partiti slavi piu’ o meno legati all’establishment belgradese. Ma cosa ha da offrire la Macedonia a chi le risparmia qualche ondata di profughi? Milosevic ha un disperato bisogno di canali commerciali a prova di embargo e in tutti questi anni la Macedonia si e’ dimostrata una preziosissima risorsa in tal senso.



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