Caffe' Europa
Rassegna Internazionale




L’Economist sceglie Bush (ai punti)


Raffaele Oriani

The Economist, 9 novembre 2000


E’ arrivo’ il giorno delle elezioni: il 7 novembre del 2000 finira’ infatti per decidere le sorti dell’America e, in parte, del mondo intero per quattro anni fino alla prossima corsa presidenziale. Gli americani votano (o hanno votato, per chi legge queste note) per scegliere l’inquilino della Casa Bianca e l’Economist, pur essendo un settimanale londinese, sa bene di avere proprio in America il quaranta per cento dei propri lettori: di essere quindi in obbligo di indicare le proprie preferenze. Lo fa con l’editoriale del numero in edicola questa settimana, e come sempre non rinuncia ad un ragionamento complesso, in cui le predilezioni ideologiche vengono soppesate sul piano dei concreti scenari che il nuovo presidente si trovera’ ad affrontare negli anni del suo mandato. Diciamo subito che l’Economist sceglie George W. Bush, ma diciamo subito che quella del governatore del Texas agli occhi della redazione del settimanale liberale londinese e’ una vittoria ai punti. Secondo l’Economist infatti Bush vince essenzialmente perche’ da’ piu’ garanzie sul fronte dell’unica vera prova cruciale che il presidente del 2000-2004 potrebbe trovasi ad affrontare in politica interna: ovvero, un’improvvisa recessione, con conseguente crollo di Borsa e forte tentazione protezionistica a difesa dei frutti dei nove lunghi anni di prosperita’ che gli americani hanno oggi alle spalle. Bush in sostanza sembrerebbe piu’ affidabile sul piano del libero commercio, dando l’impressione che in caso di necessita’ saprebbe resistere alle pressioni dei sindacati che chiederebbero di chiudere le frontiere ai prodotti stranieri e salvare cosi’ le aziende di casa. L’Economist fa del libero commercio un dogma di politica ed etica pubblica e coerentemente suggerisce ai suoi lettori di votare per il candidato che da’ piu’ garanzie su questo piano. Come dicevamo e’ comunque una vittoria ai punti (anche perche’ secondo i guru di Londra Gore sarebbe piu’ affidabile sul piano della politica estera), tanto che l’editoriale si conclude su un salomonico ‘staremo a vedere’.

 

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