Sangue in Palestina: davvero tutti
colpevoli?
Raffaele Oriani
The Economist, 12 ottobre 2000
La consueta pacatezza e lucidita’ d’analisi non
impedisce questa settimana all’Economist di essere praticamente l’unica
testata occidentale ad abbandonare il fronte ecumenico del ‘tutti
colpevoli, nessun colpevole’ (ricordate i lunghissimi anni della
guerra in Bosnia?) sui terribili scontri che da due settimane stanno
insanguinando la Palestina. Nell’editoriale dedicato agli avvenimenti
il settimanale londinese prende infatti decisamente le parti dei
palestinesi, riconoscendo come a fomentare l’escalation di violenza di
questi giorni sia stata da una parte l’incursione sulla spianata delle
Moschee del leader conservatore Arik Sharon, dall’altra la ferocia con
cui i militari israeliani hanno da subito risposto alle proteste della
folla palestinese. Cinque morti ai primi scontri, che non potevano
ovviamente che portare ad altri scontri, con altri morti, con altri
scontri ancora. ‘I cuori si sono induriti’, constata l’Economist:
sia tra i palestinesi, che assistono ormai da anni all’insopportabile
stallo dei colloqui di pace, sia tra gli israeliani, che hanno perso
completamente il senso della misura e di fronte all’incendio di questi
giorni sembrano preoccuparsi solamente della minaccia interna
rappresentata dai loro concittadini arabi. Che fare quindi? La risposta
dell’Economist fa riecheggiare un filo di buon senso in mezzo all’onda
di ipocrisia che ha sommerso in quest’occasione la gran parte dei
media europei: mettere fine alle violenze, certo, ma anche rendersi
conto che non ci sara’ pace finche’ Israele non si ritirera’ dai
territori che occupa da trent’anni. ‘La maggioranza dei palestinesi
che un tempo abitavano la terra che e’ ora Israele - scrive sempre l’Economist
- ha accettato, grazie all’opera dei loro leaders, la soluzione che
prevede la coesistenza di due stati. Tocca ora agli israeliani, qualora
vogliano vivere in modo decente e civile, di permettere ai palestinesi
di fondare il loro piccolo stato con capitale Gerusalemme est’. Visto
con gli occhi del pragmatismo londinese il problema e’ insomma tutt’altro
che inestricabile e tutt’altro che privo di soluzione.
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