Caffe' Europa
Rassegna Internazionale




Eurolandia: inutili settimane di passione

 

Raffaele Oriani

The Economist, 21 settembre 2000


Con la consueta pacatezza l’Economist affronta nel numero in edicola il problema del calo verticale del valore dell’euro e della (correlata?) ripida ascesa del prezzo del greggio. Nelle ultime settimane lo spettacolo offerto dalle strade e delle cancellerie europee non e’ stato certo entusiasmante: da una parte un caos e una voglia di scontro duro come non se ne vedevano da un paio di decenni questa parte, dall’altra la solita tendenza a procedere in ordine sparso senza alcuna strategia comune. Da una parte quindi le strade invase da pescatori, agricoltori camionisti decisi a reclamare franchigie fiscali che facciano abbassare il prezzo del gasolio alla pompa, dall’altra il governo francese che cede ancor prima che inizino le proteste mettendo con cio’ in grave imbarazzo i partner alle prese con una piazza ringalluzzita dai risultati portati a casa dai colleghi parigini. E nessuno che spieghi il motivo (legittimo) per cui il petrolio e’ sottoposto a livelli di tassazione cosi’ alti. Ci prova allora l’Economist che ricorda ragioni prima di tutto ecologiche (sono semmai gli Stati Uniti - sostiene il settimanale londinese - a non fare la loro parte tassando super e gasolio a livelli irrisori) e secondariamente di politica energetica. Buone ragioni, insomma, che non valgono un tentativo precipitoso di conquistarsi il favore effimero delle piazze. Ma c’e’ un’altra questione cui l’Economist di questa settimana dedica particolare attenzione: la debolezza dell’euro. La moneta unica e’ un’invenzione fallimentare? Ha mancato i suoi obiettivi? E’ giustificato lo scetticismo che ne accompagna i ruzzoloni sulle piazze finanziarie del pianeta? L’Economist e’ lapidario: no, no e no. L’euro infatti non nasce per competere contro il dollaro, ma per favorire la creazione di un mercato unico, per costringere i singoli stati ad adeguarsi al livello piu ’alto di efficienza economica e gestionale, per contribuire ad aumentare la produttivita’ delle aziende del Vecchio continente e ad accelerare il processo di liberalizzazione dell’economia. Misurata su questi parametri la vicenda dell’euro e’ estremamente positiva e permette ora all’Europa di guardare con ottimismo ai prossimi anni di crescita. Speriamo che prima o poi se ne accorgano anche i politici continentali.

 

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