"I videogiochi aiutano a
imparare"
Francesco Antinucci con Piero Comandé
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Storia dei videogame
I videogiochi sono tanto amati dai bambini e dagli adolescenti,
quanto oggetto di diffidenza da parte degli adulti. I mass media
spesso ci mostrano gruppi di giovani o adolescenti solitari davanti
alla playstation o al computer. A molti pare che il movimento del
joystick o della consolle sia un'attività priva di significato.
Il videogioco come la televisione, dunque, anzi peggio, perchè più
coinvolgente. Tempo vuoto.
Alcuni videogiochi presentano inoltre situazioni molto violente
e riaccendono la discussione sull'influenza degli audiovisivi sui
comportamenti devianti dei giovani. E la condanna pare unanime.
Non tutti però condividono questi giudizi. Il Prof. Francesco Antinucci,
direttore della sezione Processi Cognitivi e Nuove Tecnologie dell'Istituto
di Psicologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ci invita
a distinguere tra videogiochi e altri media audiovisivi e ci suggerisce
un'altra interpretazione: il videogioco e il computer come nuovi
e potenti strumenti d'apprendimento.
Il videogioco ha un posto particolare nell'immaginario dei
giovani e degli adulti, che cosa lo rende speciale?
E' un' attività ludica molto potente, è un gioco moltiplicato al
quadrato, però non è strutturalmente diverso dagli altri. Perché
mi piacciono i videogiochi? Se uno adotta la regola che il gioco
è un'attività cognitiva, cioè un'attività della mente, può anche
dire che giochi diversi esercitano parti diverse della mente: quelle
più esteriori, come la percezione e la motricità, vengono esercitate
dai giochi di abilità fisica, dove si deve correre o guidare un
veicolo. Mentre le parti più profonde, più intellettuali, logiche
e simboliche della mente vengono esercitate dai giochi di strategia,
di calcolo, di costruzione e così via.

Dunque se si condivide l'idea che il gioco in sé sia un'attività
conoscitiva di apprendimento allora il videogioco è meglio, perché
permette di esercitarsi in un modo che non è consentito dalla realtà.
Il programma che i piloti di Formula Uno utilizzano per perfezionare
la guida non è molto diverso da un videogioco di simulazione di
volo. Il videogioco coinvolge tutti gli aspetti dell'intelligenza:
sensomotoria, rappresentativa e formale. Questo coinvolgimento avviene
nelle categorie dei videogiochi di azione, di avventura e di strategia,
anche se chi disegna i videogiochi non conosce la teoria piagetiana.
Siccome chi disegna i videogiochi sa che deve comunicare cose che
interessino i bambini e gli adolescenti alla fine gli stratagemmi
sono quelli.
E se il ragazzo trascorre troppe ore al computer?
In effetti il videogioco si porta appresso questo stigma, da cui
dovremmo liberarlo. Il videogioco è attività di gioco. Detto questo
valgono tutte raccomandazioni di senso comune sul gioco. Io posso
condividere che mio figlio giochi a pallone, gli fa bene, impara
cose, si muove. Ma se gioca a pallone ventiquattro ore al giorno
mi arrabbio. Non perché gli faccia male il pallone, ma perché non
fa altro. Questo vale anche per i videogiochi, ovviamente.
Si dice: è più facile stare attaccato ad un videogioco piuttosto
che andare a trovare tutte le condizioni necessarie per fare un
altro gioco. E' vero, ma questo è anche il bello del videogioco,
che permette di esercitarsi su tante cose diverse senza costruire
premesse complicate. Certo, il videogioco rischia di coinvolgerti
senza controllo. Questo però è un rischio comune nel mondo moderno.
Con l'automobile ci si sposta per andare ovunque, ci sono gli incidenti.
Ma certo non vogliamo abolire le automobili perché accadono gli
incidenti!
Il videogioco spesso è confuso con la televisione ...
Con la televisione il videogioco non c'entra nulla! Assolutamente
nulla. La televisione non è un'attività di gioco, non è svago. La
televisione è sostanzialmente un mezzo passivo, di fronte al quale
non posso fare nulla. Non posso intervenire, non posso modificare.
Il massimo che posso scegliere è il canale. Ma tutto il resto l'ha
scelto qualcuno per me. Questa è la logica della televisione: uno
strumento fondamentalmente passivo in cui non posso fare nulla.
Posso esercitare la mia capacità di comprensione, posso ridere,
se un programma è fatto bene. Tant'è vero che per gli adulti si
dice che è rilassante, mentre è difficile che uno si metta a fare
un gioco, anche un videogioco quando si vuole rilassare. Il videogioco
impegna, bisogna agire. Il computer da solo non fa nulla, sta lì
fermo immobile. Se si fa qualcosa allora lui risponde e questa è
tutta la differenza. Se lui risponde, allora si è chiamati a rispondere
a nostra volta. Il computer è interattivo. La televisione non è
interattiva, almeno fino ad adesso.
Molti genitori pensano che il videogioco porti i ragazzi
ad isolarsi, ad escludersi dalla vita sociale, che ne pensa?
Dire che è isolante e solitario, è totalmente falso: non esiste
un ragazzo che non socializzi la sua attività di videogioco. Se
esiste qualcuno che non la socializza allora bisogna stare attenti
perché è un ragazzo patologico. E lo sarebbe comunque. Il videogioco,
se il ragazzo lo vive da solo, è la spia di qualcosa che non funziona.
Ma anche quando ero piccolo io c'erano i ragazzini che si mettevano
da una parte e non socializzavano, scendevano in cortile e non giocavano,
limitandosi a guardare. Il videogioco può far emergere una certa
patologia, ma solo come spia, così come può accadere con altri comportamenti.
I genitori dei bambini che stanno da soli davanti al computer vadano
a chiedere al figlio perché gioca, a quale gioco gioca, come mai
ha scelto quel gioco. Osservino il figlio quando esce: se racconta
agli amici il video gioco che gli piace.
Moltissime consolle per videogiochi, ma anche i giochi su Pc, hanno
due postazioni, perché si gioca in due. E appena la Rete permetterà
di giocare, cosa che in alcuni campi già sta avvenendo, si potrà
farlo pur trovandosi fisicamente in luoghi diversi e distanti. Quindi
è un'attività socializzante a tutti i livelli: si gioca insieme
agli altri. Se non si gioca insieme agli altri è comunque una "socialità
differita", come ho scritto nel mio libro (Un computer per
mio figlio, Laterza editore, n.d.r.). Nel senso che attraverso
un determinato gioco il ragazzo raggiunge certi risultati perché
poi li vuole confrontare con qualcun altro.

Alcuni videogiochi però sono talmente violenti da allarmare
l'opinione pubblica. I mass media ne denunciano i possibili effetti
sul comportamento dei bambini e degli adolescenti, sono davvero
così pericolosi?
Non più di qualsiasi altra cosa si faccia nel mondo. Vede, io ho
provato a verificare sperimentalmente quest'effetto proprio per
togliermi una soddisfazione. Più la violenza di un videogioco è
esagerata, più tende a rimanere in un contesto irreale, fantastico,
implausibile. E tale contesto la smorza completamente. Questo si
puù verificare in tanti modi. Naturalmente non basta chiedere l'opinione
dei ragazzi, bisogna utilizzare delle tecniche con cui misurare
la loro risposta emotiva diretta: tecniche di associazione, di riflesso
galvanico. Da una ricerca sulla violenza in televisione o al cinema
è emerso che il minimo impatto profondo lo avevano avuto i film
con scene di sparatoria, quelli dove si ammazzano 1000 persone al
minuto. L'implausibilità era talmente grossa, talmente grossolana
che non ha avuto influenza sugli spettatori, che invece si sono
divertiti. A mano a mano che ci si avvicinava alle gradazioni del
reale invece le cose peggioravano, l'impatto era molto forte. L'impatto
in assoluto più forte era quello della violenza accennata o anche
solo nominata nei telegiornali. Quelli avevano davvero effetti spaventosi.
Non le sembra strano?
Non è affatto strano. Il bambino non è un pazzo che non sa distinguere
la realtà dalla fantasia. Al contrario, impara a distinguere la
realtà dalla non realtà già da quando ha nove, dieci mesi. Un bambino
non si butta giù da un tavolo. Ci può cadere per caso, ma è perfettamente
consapevole di ciò che c'è dall'altra parte. A sei anni a dieci
anni la coscienza di questa differenza è formata benissimo. Allora
che cos'è che spaventa i bambini nella rappresentazione della violenza?
E' un pensiero molto profondo: che potrebbe accadere. Questo impatta
fortemente, fa paura.
Quanto più la violenza è ritualizzata, cioè inserita all'interno
di contesti implausibili e con effetti implausibili, tanto più viene
coltivata dal bambino, che la percepisce come innocua. Il ragionamento
è: "E' lontana dalla realtà, dunque non mi spaventa".
Quanto più la violenza rappresentata diventa plausibile, quanto
più è infilata dentro la realtà, o addirittura accaduta sul serio,
tanto più è spaventosa, perché "veramente può succedere".
Possiamo anche metterci a contare quanti pugni vengono dati in un
film per dimostrare quanto è violento, ma è una misura stupida.
Il videogioco può essere considerato la premessa di una trasformazione
dell'apprendimento?
Io vorrei che lo fosse. Secondo me si può fare un parallelo con
la scoperta della stampa: è una rivoluzione che porta a portata
di mano un nuovo modo di apprendere, fatto di esperienza. Il computer
è un simulatore per eccellenza. Intervengo su un mondo studiato
apposta per farmi intervenire, non pericoloso, graduato. Però imparo
facendo. Tutti noi sappiamo bene che quello che abbiamo appreso
perché l'abbiamo vissuto sulla nostra pelle è assimilato in modo
molto più profondo e radicale di quello che abbiamo studiato. Lei
può studiare la geografia di un paese quanto vuole, ma se nel paese
ci vive, anche solo per un mese, lo conoscerà meglio. Allora se
io le faccio passare ogni nozione attraverso l'esperienza, attraverso
la vita in prima persona, credo che l'apprendimento migliori parecchio.
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