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Il Mondo Digitale
Nicholas Negroponte con Renato Parascandolo
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Chi è Nicholas Negroponte
Questa intervista fa parte dell’Enciclopedia multimediale delle
scienze filosofiche, un’opera realizzata da Rai-educational in
collaborazione con l’Istituto italiano per gli studi filosofici e con
il patrocinio dell’Unesco, del Presidente della Repubblica Italiana,
del Segretario Generale del Consiglio d’Europa.
L'obbiettivo è quello di diffondere nel mondo, tramite le nuove forme d’espressione
e comunicazione sociale consentite oggi dalla tecnica, la conoscenza
della filosofia nel suo svolgimento storico e nei termini vivi della
cultura contemporanea.
Per ulteriori informazioni potete visitare il sito Internet: www.emsf.rai.it
Professor Negroponte, cosa vuol dire “essere digitali”?
È semplicemente un modo di vivere. Non ha nulla di scientifico, di
tecnico o di teorico. Fa parte della realtà, ed è qualcosa che i
bambini del mondo intero capiscono perfettamente; soltanto gli adulti
non ne sanno nulla. Prima di tutto dobbiamo dire loro di imparare dai
bambini, il che per molti è rappresenta un cambiamento radicale nel
mondo dell’educazione. Per capire in cosa consiste l’innovazione del
mondo digitale si deve pensare in primo luogo alla differenza che esiste
tra i bit e gli atomi: si passa da un mondo materiale, fatto di cose
palpabili, consistenti, a un mondo senza confini, globale per
definizione. I bit, questi piccolissimi uno e zero, privi di colore e di
forma, viaggiano alla velocità della luce. È un mondo
interessantissimo, nuovo, temuto da molti, perché il cambiamento è di
enorme portata.
È fuori di dubbio che prima o poi lo sviluppo del mondo digitale avrà
un effetto di armonizzazione e di unione. Tuttavia, fino a quel momento
sussisterà una differenza generazionale. La differenza nel campo delle
conoscenze informatiche non corrisponderà alla normale differenza
economica alla quale siamo abituati, quella che siamo soliti proporre in
termini di ricchezza e povertà. Ci saranno i giovani al corrente delle
nuove tecnologie mentre gli anziani non lo saranno, convinti di non
averne bisogno perché ne hanno fatto a meno tutta una vita. Questi
hanno torto nel pensare così e ci vorranno circa 4 o 5 anni per
appianare la differenza. Una volta appianata, sopraggiungerà un’altra
differenza, quella economica, che riguarderà i paesi in via di sviluppo
o i poveri nei paesi avanzati. Ci vorranno altri 4 anni, ma poi si
supererà anche questa, perché le telecomunicazioni e i computer
costeranno sempre di meno e saranno sempre più utilizzati.
Perché ha fondato il Medialab e che cosa ha visto nelle possibilità di
un nuovo mondo digitale?
Ho fondato il Medialab come una contro-cultura all’informatica con due
principi particolari: prima di tutto, sono interessato al modo in cui le
persone comunicano con le macchine. Se lei fosse una macchina ed io una
persona, come potrei interagire con lei e come potrei rendere la
macchina più simile a me, ad una persona? Questo è il primo principio.
Il secondo principio riguardava il modo in cui il contenuto dell’informazione,
in particolare l’argomento - che si trattasse di notizie o di musica,
di una produzione video animata o di un racconto può influenzare la
tecnologia e il canale di comunicazione. Questi erano le due prospettive
di ricerca, nell’agosto del 1978, quando ho avuto l’idea di fondare
il Medialaboratory. Per descrivere il lavoro che svolgiamo non è
opportuno usare la parola “visione”, perché non siamo teorici. Non
scriviamo relazioni. L’aver scritto un libro, infatti, mi crea un
certo imbarazzo, perché un libro è un mezzo di comunicazione fuori
moda e non sarà proprio il mezzo di espressione più abituale del
futuro.
Ma noi costruiamo cose, e al Medialab ci piace dire che il modo migliore
per prevedere il futuro è inventarlo. Così ci sono oggi circa 300
persone che stanno costruendo e provando cose, senza scrivere relazioni
o teoria, ma soltanto costruendo.
In generale ritengo che la multimedialità derivi dall’attività di
ricerca e sperimentazione del Medialab e dai gruppi di lavoro che lo
hanno preceduto. Potrei farle tanti esempi specifici, ma penso che il
risultato migliore sia l’attenzione da parte della gente. Quando
abbiamo avviato il Medialaboratory, la gente pensava che fosse uno
scherzo, i giornali ci davano dei ciarlatani, dicevano che non c’era
contenuto, che era solo apparenza. In realtà l’attività è talmente
profonda da valere 3 miliardi di dollari, e sono convinto, ed è
opinione diffusa, che Internet rappresenti un cambiamento forse ancora
più radicale dell’invenzione della stampa.
A proposito di Internet, ritiene che rimarrà così com’è ora, una
sorta di organismo dinamico con radici proprie, capace di
autosvilupparsi, oppure, in futuro, sarà “burocratizzato” e
controllato?
Lavoro su Internet da 25 anni. Non dimentichiamo da dove deriva. È
stato il ministero della Difesa, nel 1969, a lanciare l’idea di
costruire Internet. La base di Internet, quale sistema di comunicazione
sicuro da errori, ha dato origine a una struttura totalmente decentrata.
In un primo tempo, nel 1970 e 1971, persone come me, furono autorizzate
ad usarlo per ragioni personali e per ragioni tecniche. Eravamo un
piccolo gruppo. Ma poi è cresciuto, ed è stato diffuso nei paesi della
NATO, è diventato sempre più grande e si è sviluppato con la stessa
struttura decentrata che aveva all’inizio. Quindi è Internet un
organismo dinamico con radici proprie per definizione. Un governo non
può entrarvi e pretendere di imporre il suo controllo. Se si decidesse
di arrestarlo, non sarebbe nemmeno possibile. Come lo si potrebbe
arrestare, alzando un tombino e tagliando i fili? Internet è un
fenomeno totalmente decentrato, è inarrestabile e ha radici proprie che
sfuggono ad ogni tentativo di strumentalizzazione.
Non deve dimenticare che l’assenza di un controllo centrale non vuole
dire caos e anarchia. Molti sono convinti che l’unica forma di ordine
derivi da un ente centrale, ma non è così. Un esempio che usiamo
spesso al Medialab è quello delle anatre. Quando le anatre volano verso
sud, formano una bella V; la prima anatra non è il capo dello stormo.
Se si spara - è solo un esempio - all’anatra frontale, essa viene
sostituita da un’altra anatra, la quale è così avanzata da vice
presidente dello stormo a presidente; le anatre si comportano
autonomamente, ma insieme creano l’ordine del loro volo. Internet
funziona proprio allo stesso modo. Non c’è nessun anatra presidente o
vice presidente. La politica quindi è abbastanza irrilevante, perché
la politica appartiene sempre a uno stato nazione e alla sua gerarchia
di poteri.
Il mondo, con la rivoluzione digitale e Internet, diventerà sia più
globale che più locale. Fenomeno questo che interesserà anche i media,
le aziende e altri settori. In un certo senso, la dimensione dello stato
nazione è sbagliata: non è né globale, né locale. Si svilupperanno i
due estremi: la globalizzazione e alcune forme nuove di localismo.
Negli anni Ottanta si parlava tanto di “villaggio globale”. Non sono
sicuro che Marshall McLuhan le attribuisse il significato che poi ha
assunto. Penso comunque che descriva bene ciò che si sta già
verificando. Se considera i 50 milioni di utenti che impiegano Internet
abitualmente, deve tenere presente che più della metà non sono negli
Stati Uniti. Non si tratta quindi di un fenomeno americano. Talvolta gli
europei considerano Internet come una nuova forma di imperialismo
americano, come le telenovelas o i film che vengono esportati. Si
ricordi che la rete mondiale è stata inventata a pochi chilometri da
Milano, a Ginevra al CERN, proprio in una zona di frontiera. È un
quindi fenomeno europeo, che mostra come le persone collaborino
realmente senza preoccuparsi delle frontiere e dei confini geografici. I
bit non si fermano alle dogane!
Che differenza sussiste tra il sistema della televisione e quello di
Internet?
Prendiamo il satellite: se osserviamo il mondo, in linea di massima,
scopriamo che i formati, ad esempio di uno spot trasmesso via satellite
in un programma, sono gli stessi per tutti, sono replicati ovunque.
Ebbene, Internet, e in senso lato l’espansione delle reti informatiche
a livello mondiale, renderanno il mondo più omogeneo, più uguale a se
stesso, oppure manterranno quelle naturali differenze che è bene che
esistano? Non dimentichiamo la fondamentale differenza tra Internet e la
televisione. La televisione è come i giornali, la radio, i libri.
Esiste una fonte, e a partire da essa, che provenga da un satellite, che
viaggi via cavo o che sia trasmessa per via terrestre, viene effettuata
la trasmissione attraverso un sistema gerarchico. Vi è un’“anatra
presidente”, e se si vuole interrompere un dato programma televisivo,
si rimuove l’“anatra presidente” e si chiude la trasmissione.
Per Internet non è così, qualunque punto può essere sia trasmittente
che ricevente. Ecco perché contribuisce a accrescere le differenze, e
non a fornire una singola visione del mondo sempre più uniforme. Le
differenze, che, in ogni caso, costituiscono la parte più interessante
della vita, invece di essere soffocate, possono emergere. Ai tempi della
televisione analogica e di altre tecniche, dovevamo seguire alcune norme
che generavano l’uniformità. Ora non è più così.
Un’altra particolarità di Internet è il suo veloce ritmo di
crescita; questo può provocare alcuni fenomeni di lentezza. A livello
mondiale cresce del 10% ogni mese, e in alcuni paesi del 10% alla
settimana. Nessun sistema è capace di crescere così in fretta senza
essere lento e senza presentare problemi di crescita. Ma quando si pensa
che cosa è mai cresciuto del 10% in un mese o in una settimana? Una
città? No, nulla. Il tasso di crescita è fenomenale. Internet può
essere molto lento, ma tutto dipende dalla macchina nella quale si
naviga, infatti è calibrato piuttosto bene. Generalmente, è lento
quando si usa ad esempio dagli Stati Uniti e ci si collega con l’Italia,
la banda tra l’Italia e gli Stati Uniti è molto stretta. La lentezza
non dipende né dall’Italia, né dagli Stati Uniti. Queste cose si
calibrano a ritmi diversi. Non cambiano tutte nell’ordine giusto al
momento giusto.
Come vede il futuro della televisione, per esempio in una zona come l’Europa?
Vede, non penso che la televisione sia un mezzo di comunicazione diverso
dagli altri. Per me tutti i mezzi di comunicazione sono come i bit, e se
si ha una banda di frequenza, come la Rai o come le reti televisive
private, il problema, nel caso di trasmissione per via terrestre, sta
nella assegnazione delle bande di frequenza. Ma quando si useranno le
fibre, il problema della banda di frequenza non sussisterà più,
perché in futuro sarà solo una questione di bit. Quando si trasmette
in televisione, si trasmettono tanti bit. Per trasmettere infatti quello
che vediamo in un determinato istante in televisione, ci vorrebbero
circa 5 milioni di bit al secondo - una quantità infinita - spinti nell’etere.
Si può decidere, all’improvviso, di non trasmettere più un programma
televisivo ma un quotidiano. Un intero quotidiano contiene solo circa
20/25 milioni di bit, il numero dipende dalle immagini, ma in linea di
massima in un giornale ci sono pochissime immagini; una cifra del genere
non è grande, non sono tanti bit, e si traduce in pochi secondi di
trasmissione. Il problema non è perciò la banda di frequenza, ma il
non avere idee nuove e immaginazione a sufficienza. Avremo le fibre
ottiche in ogni casa, è fuor di dubbio. Il problema è come usare la
creatività; ora sappiamo come portare le fibre in casa; abbiamo risolto
un problema tecnico.
Al di là di questo se si considerano i bit, e non la televisione o la
radio, la cosa da cambiare non è tanto l’assegnazione dello spettro,
quanto la leggi sulla proprietà editoriale. Dobbiamo abolire le leggi
sulla proprietà editoriale, vale a dire bisogna impedire che si possa
possedere una testata se si possiede una televisione e viceversa. In
Italia tale abolizione risale a tanto tempo fa, ma non nel resto del
mondo. Nel resto del mondo la proprietà editoriale, a mio avviso, è
una questione fondamentale. Ci si può chiedere quale sarà il ruolo
dell’antitrust in tutto questo: l’antitrust è un problema di
centralismo. Quando si ha un modello accentratore del mondo, si hanno
subito problemi di antitrust, è come avere una torta e voler garantire
che venga divisa equamente. In un mondo decentrato gli stessi problemi
di antitrust, non si presentano, non sussistono. Per ora, purtroppo, non
è possibile subito deregolamentare, perché bisogna riparare i danni
commessi, e non solo creare un libero mercato. Ma alla fine il libero
mercato prevarrà, e non ci saranno e non dovranno esserci più
controlli regolatori.
Tra i progetti di MEDIALAB c’è anche quello di dare spazio a reti
televisive o trasmissioni: avremo quindi la possibilità di avere un
milione di reti o comunque molte più reti di quante non ce ne siano
già oggi? Cosa potranno ancora trasmettere?
Il problema delle reti non è tanto averne 10, 100 o 1000. La questione
va intesa in un modo diverso. Ognuno di noi avrà una rete, ma sarà la
rete che vogliamo. Ebbene, nella rete che lei vuole ci sarà una gran
varietà di materiale. Se, per esempio, si tratta di un evento sportivo,
mi aspetto che le reti professioniste, quali la RAI, registrino e
trasmettano l’evento, ma se per caso, fossi interessato alla ricetta
del couscous, allora ci potrebbe essere qualcuno in Marocco, con un
file-server, che conosce davvero le migliori ricette per fare il questo
piatto. Il valore della produzione dal punto di vista cinematico può
non essere eccellente, ma si tratterà della giusta informazione in quel
momento. Deve pensare che accanto alla televisione si avrà quel genere
di comunicazione con una produzione di elevato valore.
Per orientarsi nella ricerca all’interno della rete telematica - che
si espande sempre di più - non ci sarà un elenco telefonico o una
guida ai programmi tv con 10.000 pagine alla settimana. In futuro avremo
quelli che noi chiamiamo “agenti”. Si tratta di programmi
informatici che vivono nella rete nel vero senso della parola e che
cercano le cose per noi. Immagini di dover visitare una città mai vista
prima, e di inviare in avanscoperta 3 0 4 dei suoi migliori amici. Lo
stesso accadrà con Internet. Lei avrà allora una tv personalizzata,
con musica e riviste scelte apposta per lei dagli agenti, senza
necessariamente dover consultare un elenco telefonico o una guida ai
programmi.
I bambini si avvicinano facilmente ai nuovi media in quanto sono molto
giovani e molto ricettivi. Allo stesso tempo, molti genitori potrebbero
temere che i loro figli o nipotini invece di giocare con i giocattoli,
con la terra o con elementi fisici, trascorrano tantissimo tempo davanti
allo schermo. Che ne pensa?
È un fenomeno interessante. Se un bambino oggi passa la metà del tempo
a leggere un libro, i genitori gli dicono “bravo”. Chiaramente,
anche passare ore e ore a leggere senza uscire a giocare con gli altri
bambini è negativo. La differenza che abbiamo riscontrato è che i
bambini che trascorrono molto tempo con Internet sono molto, ma molto
più socievoli. Internet non è come una consolle per giochi elettronici
dove si sta lì, seduti, imbambolati davanti al video, ma è un fenomeno
socializzante; è stato provato che aumenta e non riduce la
socializzazione.
Per il momento in Internet ci sono solo parole, ma in molti casi le sole
parole e l’anonimato di questa rete di telecomunicazioni inducono i
bambini a fare cose che non avrebbero mai fatto. Possono farsi coraggio
e dire cose che non direbbero mai ad alta voce. Bambini, o in generale
individui, che non pongono domande perché non osano farlo, in molti
casi, sono aiutati da Internet, che con l’anonimato, garantisce a
tutti un’eguale possibilità libertà di espressione. È stato
riscontrato che i bambini autistici, i quali hanno difficoltà nel
comunicare con gli altri e con il mondo esterno, non sono intimoriti
dalla rete; essi imparano a comunicare prima con Internet e poi con le
gente. È un’esercitazione che migliora e non riduce la socievolezza
di un individuo.
Le grandi società multinazionali approfitteranno di Internet e in
futuro domineranno il mondo?
No. Le grandi società non controlleranno il mondo. Esse saranno in
Internet e avranno uno scopo valido, ma la cosa interessante di Internet
è di trasformare all’istante le piccole imprese in aziende
multinazionali con un mercato mondiale, anche se contano solo due o tre
impiegati. Questo prima non era possibile. In passato il termine “multinazionale”
si riferiva sempre a una grande azienda, ora può anche trattarsi di una
piccola impresa. Del resto, se sono collegato a Internet e intendo avere
informazioni su una data società ho molti modi per farlo e ottenerle
gratis, ma, per avere quell’informazione, preferirei pagare il
Financial Times, il Dow-Jones o qualcun altro, perché, in quanto
società con un marchio, sono più affidabili e pago per la qualità
dell’informazione. Quindi coesisteranno entrambi. Ci saranno la
Bertelsmann e la Time-Warners e la Dow-Jones, ma le nuove arrivate, la
concorrenza per un’azienda quale la RAI saranno le piccole aziende
locali o individuali o forse i singoli individui sparsi in tutto il
mondo che collaborano e forniscono informazioni, ma in un canale molto
ristretto.
Internet sta cambiando le abitudini della gente. Alcune persone non
escono più e la differenza tra la domenica e il lunedì e tra la notte
e il giorno è sempre meno evidente. In futuro la nozione di tempo non
esisterà più?
Che Internet crei persone asociali che non escono mai e senza amici è
una ridicola leggenda: è vero proprio il contrario. Oggi si è
prigionieri della settimana lavorativa, del giorno e della notte, del
sabato e della domenica. Per me la domenica non è diversa dal lunedì e
il giorno dalla notte. Sono indipendente dallo spazio e dal tempo. Trovo
che questa non sia una forma di oppressione, ma piuttosto di libertà.
Per alcuni mestieri - se si fanno gli hamburger o si è neurochirurgo -
si deve stare con gli hamburger o con il paziente, non si può navigare
in Internet perché non si sanno trasformare gli hamburger in bit e i
bit in hamburger, anche se un giorno vi saranno possibilità diverse per
svolgere qualsiasi lavoro. È comunque ridicolo pensare che nella vita
di tutti i giorni vivremo sotto una campana di vetro, isolati, e che
saremo sempre seduti davanti al computer. Primo, perché non si è soli,
si hanno 50 milioni di persone con cui parlare, e, secondo, il non
seguire programmi, orari di lavoro, non essere tutti allo stesso posto,
è una forma di libertà. In Italia ci sono aziende che lavorano con
Internet, ma che pretendono che i dipendenti si rechino tutti i giorni
sul posto di lavoro, e non gradiscono che lavorino a casa. È un modo di
pensare superato, non è digitale.
Il mondo diventerà “digitale”, ma non ci sarà un lato oscuro in
tutto ciò?
Il lato oscuro, i risvolti negativi già emersi di Internet riguardano,
a mio avviso, la sicurezza e la privacy. È una questione da considerare
e sulla quale è necessario lavorare. La sicurezza e la privacy si
esplicano in 3 modi: in primo luogo, quando comunico con lei, lei vuole
accertarsi che sia proprio io. In secondo luogo, se le invio un
messaggio, non gradirebbe che qualcuno ascoltasse. In terzo luogo,
quando lo copia sull’hard disk del suo computer, vorrebbe assicurarsi
che nessuno possa avervi accesso e portarglielo via. Quindi i tre modi,
sono tutti importantissimi. Garantirne uno ed escludere gli altri due
non avrebbe molto senso. Sono necessari tutti e tre, altrimenti si
rischia quello che io definirei un lato oscurissimo, si rischia di
essere ascoltati, e che sia senza gravi conseguenze come un’informazione
di marketing, o che sia spionaggio politico, un Grande Fratello,
entrambi non sono giusti, e l’unica soluzione è la tutela della
privacy e la sicurezza.
Come è distribuita nel globo Internet, l’idea di un mondo digitale ?
Come sarà possibile avere le fibre in tutti i continenti, quando ancora
in Italia c’è una gran confusione?
La questione non deve riguardare il fatto che gli Stati Uniti hanno un
collegamento più sviluppato nel quadro del sistema Internet. Ed è ora
di mettere da parte questa idea. Ho scritto un articolo per una rivista
elettronica intitolato Perché l'Europa è così poco cablata ? Ricevo
tanta posta elettronica da ragazzi che mi dicono che non è vero che non
sono “cablati” e ricevo tanta posta elettronica da gente più
anziana, che invece si lamentano di un presunto ritardo nell’uso delle
tecniche digitali in Europa. Quindi in Europa oggi esiste una netta
divisione generazionale e ciò non mette in pericolo i valori culturali
o la comunità locale.
Dobbiamo riconoscere che i giovani non se ne preoccupano, essi sono già
proiettati in una comunicazione a livello mondiale e in una dimensione
digitale. Io passo 3 o 4 mesi all’anno in Europa, sono andato a scuola
in Europa e i miei genitori erano europei. Inoltre sono stato in quasi
tutti i paesi del mondo e penso quindi di avere una buona esperienza
della facilità dell’approccio di tutti all’uso del computer e delle
nuove tecnologie informatico-digitali. Quando avviamo i computer in
Africa, in Senegal, o sulle montagne del Pakistan vicino all’Himalaya
- ne ho avviati in Sud America e in paesi del mondo dove nessuno
andrebbe perché sono controllati dai “signori della droga” - ho
visto ragazzini di 5, 6, 7 anni non aver alcun problema nel capirne il
funzionamento. L’esperienza informatica non è solo un fenomeno
borghese, provinciale americano. Ho visto i ragazzini del Senegal, del
Pakistan, della Columbia davanti a un computer come davanti a un
pianoforte.
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