Caffe' Europa
Attualita'



Le mille facce del campione


Paola Casella

 

Articoli collegati
Il colore dei pugni
Le mille facce del campione

 

Fenomeno, showman, martire, leader, fanfarone, re del mondo, eroe della sua gente, atleta, artista: così i dodici ritratti della raccolta Muhammed Ali (Einaudi) ci descrivono il campione mondiale dei pesi massimi già celebre come Cassius Clay. Descrizioni che, anche se contraddittorie, contribuiscono a darci un'idea della complessità umana del personaggio e contemporaneamente fotografano trent'anni di storia americana (i dodici ritratti, disposti in ordine cronologico, spaziano attraverso un periodo che va dal 1965 al 1996), nonché la personalità degli autori dei singoli brani: da Norman Mailer a Hunter Thompson, da Gay Talese a Tom Wolfe (tutti rappresentanti di quello stile giornalistico, definito New Journalism, che si andò affermando alla fine degli anni Sessanta), dalla scrittrice Joyce Carol Oates al pugile Floyd Patterson che, con l'aiuto di Talese, mette l'accento sulla fragilità umana del suo ex rivale del ring, nel ritratto più commovente della raccolta.

Se Tom Wolfe approfondisce lo straordinario rapporto fra Ali e la gente (o meglio "la folla", ricordando che c'era sempre una folla ad accogliere il campione) e ne individua la vocazione al martirio, George Plimpton, quintesssenza del giornalismo wasp, racconta il pugile come un saltimbanco carismatico e insolente e disegna un ritratto incisivo (visto attraverso gli occhi dell'America anglosassone) di Malcom X, il leader nero della Nation of Islam che aveva ispirato la conversione di Ali alla religione musulmana.

LeRoi Jones, assai più estremo di Muhammad Ali, ne fa un ritratto dal versante nero, disapprovandone il passato compiacente nei confronti della società dei bianchi e lodandone il successivo schieramento a favore della causa delle minoranze di colore ("Quest'ultimo Clay", osserva Jones compiaciuto, usando tuttavia il "nome da schiavo" del campione, "fa senz'altro al caso mio"). L'altrettanto nero, ma assai più mite (i neri americani lo chiamavano "zio Tom") Floyd Patterson "legge" invece nelle spacconate di Ali il suo stesso terrore, quello che, secondo Patterson, si nasconde dietro all'aggressività di ogni boxeur: "Perdendo, il pugile perde più che l'orgoglio e l'incontro", spiega l'antico rivale del "re del mondo", "perde parte del suo futuro, avanza di un passo verso i bassifondi dai quali proviene".

Ali.jpg (7905 byte)


Jimmy Cannon vede in Ali un simbolo degli anni Sessanta: "E' come se fosse stato creato per rappresentarli. Racchiude il turbamento, il furore, la contentezza isterica, il nonsenso, la ribellione, i conflitti razziali, la smania per le religioni eccentriche, il culto della messinscena, il cambiamento dei valori che modificarono il mondo, il sentimento verso il Vietnam della generazione che ridicolizza quanto sta a cuore ai genitori". Norman Mailer si spinge ancora oltre, definendo Muhammad Ali "lo spirito stesso del Ventesimo secolo, il principe dell'uomo medio e dei mass media". Bob Greene racconta invece il tramonto del campione, che nonostante essere diventato "l'uomo più famoso del mondo" è ossessionato da pensieri di morte, mentre Joyce Carol Oates ricostruisce tutta la carriera dell'atleta in un ritratto assai completo.

Ma Muhammad Ali (il libro) non parla solo del grande pugile: esplora infatti il mondo del pugilato in generale, "il Vietnam del Sud nascosto dell'America", come lo chiama Norman Mailer, quel mondo che Ali aveva saputo rivoluzionare, perché, osserva Pete Hamill, "non ebbe paura di infrangere i vecchi modelli, alla stregua dei Beatles nella musica e di El Cordobes nella corrida". Sullo sfondo, l'America delle battaglie per i diritti civili, della contestazione giovanile, della ricerca religiosa e spirituale, e infine l'America attuale, che guarda già a Muhammad Ali come a un reperto antropologico.

Secondo il diktat del New Journalism, gli autori dei singoli ritratti ne sono quasi co-protagonisti, pronti a buttarsi nel mezzo dell'azione con quello spirito kamikaze che in America ha preso il nome di "gonzo journalism" (peccato che la traduttrice abbia lasciato che il termine "gonzo" venisse interpretato nella sua accezione italiana di "stupido" - un errore paragonabile a quello di tradurre il termine gergale "fox", che equivale a "bonazza", con un inspiegabile "faina").

La raccolta Muhammad Ali è accompagnata (o accompagna) la videocassetta dello splendido documentario Quando eravamo re, resoconto del celebre incontro Ali-Foreman combattuto in Zaire nel 1974, con Ali "che irretisce, fa infuriare, porta alla frustrazione e infine allo stremo l'avversario", come ricorda Joyce Carol Oates, "lasciando, in maniera così semplice, così orribile, che si stancasse a forza di colpirlo". In questo documentario c'è tutto il personaggio Muhammad Ali: la sua arroganza, il suo ascendente sulla gente di colore (memorabile il gruppo di africani che segue il campione durante gli allenamenti, ripetendo come un mantra "Ali bumaye"), la sua abilità nell'usare i mass media, il suo intuito di combattente, la capacità di manipolare psicologicamente l'avversario, e quel connubio di masochismo e irriducibilità sul ring che stanno alla base del "più crudele degli sport", come lo chiama la Oates, e che tanto spesso caratterizza le minoranze che ingrossano le fila della boxe.


Articoli collegati
Il colore dei pugni
Le mille facce del campione


 

Vi e' piaciuto questo articolo?Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui

Archivio libri


homearchivio sezionearchivio
Copyright © Caffe' Europa 1999

Home | Rassegna italiana | Rassegna estera | Editoriale | Attualita' | Dossier | Reset Online | Libri | Cinema | Costume | Posta del cuore | Immagini | Nuovi media | Archivi | A domicilio | Scriveteci | Chi siamo