Caffe' Europa
Attualita'




La scrittura, prolungamento della vita

 


Tina Cosmai

Un passato sempre presente, una narrazione intensa di un amore perduto nel sangue della guerra, che ora può essere salvato: in "Tre Cavalli", suo ultimo romanzo edito da Feltrinelli, Erri De Luca traccia con forza e rigore sensibile la figura di un uomo, un giardiniere, che strappa le proprie radici dall’Argentina per interrarle in un luogo non menzionato del sud dell’Italia. Senza nostalgia, e con ardore disincantato ma intenso, quest’uomo di cinquant’anni, rivive quell’occasione spezzata di passionalità donandole un senso vivido d’emozione. In una sobrietà stilistica ed esistenziale, l’autore traccia il suo percorso umano, che trae forza dal contatto nudo e semplice di una vita colma di tenacia e di un intenso bisogno di ritorno mai soddisfatto.

Nel tuo ultimo romanzo "Tre Cavalli", c’è un recupero esistenziale intenso, lirico. Qual è il motivo profondo?

Non so se ci sia un motivo profondo, è semplicemente la voce di un uomo di cinquant'anni che si sta raccontando al tempo presente, perché c’è un amore che gli rianima la voglia di raccontare la vita. E’ un modo un po’ scarno di ricostruirsela ma non c’è nessun motivo, tranne che il suo tono di voce.

La tua liricità è espressione forte del quotidiano. Possiamo dire che attraverso il reale si sprigiona il vigore personale?

Il reale lo collegherei al fisico, a quello che il corpo ha imparato e sopportato. Per me il reale è ciò che è passato attraverso i sensi.

In "Tre Cavalli" il passato è vivo, presente. Qual è il valore del presente e cosa significa recuperare il passato?

In questa storia il passato è un rimorchio del presente, ci sta agganciato, non si è mai staccato. Il passato di una donna che non si è riusciti a salvare si collega al presente di una donna che invece può essere salvata. Questo aggancio costringe il giardiniere a possedere sempre il tempo presente e il passato lo nomina al presente perché gli torna continuamente.

Nei tuoi romanzi si avverte la forza di aver perduto un’occasione. Questa perdita è sinonimo di accrescimento, di apertura sul futuro?

Del futuro non me ne intendo proprio. Ho imparato, strada facendo, che le occasioni mancate in nulla sono meno intense di quelle colte. Anzi, le occasioni mancate conservano una freschezza che le occasioni colte hanno perduto.

In "Non ora, non qui", il tuo primo romanzo, il passato è definito come qualcosa che "torna alla mente con parvenza d’intero"

Il passato è un miscuglio di attimi che non si combinano tra loro. Sono accadimenti dinanzi ai quali ci si trova leggermente sfasati: le cose che ci succedono sembrano sempre coglierci di sorpresa. Però quando le rianimiamo, con la scrittura, con la memoria, allora dal fondo o dall’alto del tempo in cui ci troviamo il passato si può vedere come un percorso intero. Ma è un’illusione ottica, un errore di prospettiva, perché in realtà lo abbiamo già consumato.

Cos’è per te il senso della storia, quella personale, quella del tempo che trascorre?

La storia è un guazzabuglio di accidenti. La si può scrivere in molti modi. Io non mi fido della storia come historia, ma delle persone della storia che posso conoscere, ricordare, incontrare; quelle persone che rispetto ad uno stesso avvenimento mi possono dare versioni differenti. Allora la storia è quello che una persona riesce a sistemare di questo grande interrogativo del tempo trascorso.

 

Nei tuoi scritti vivi l’impossibilità del ritorno. Allora qual è per te il rapporto tra passato e presente?

Non si ritorna mai da nessuna parte. Mi è capitato di essere ripassato dalla mia città d’origine, Napoli, e di sapere che quello non è più il mio posto e dunque che non esiste il luogo di ritorno. Il ritorno è un bisogno mai soddisfatto. Si può rivisitare un posto in cui si è passati ma dove non si è più accolti. Quando si lascia un posto non c’è la possibilità vera di essere reintegrato nell’appartenenza: ci si esclude dai ritorni importanti.

La tua letteratura ha una struttura esistenzialista, come percorso progettuale. Dunque non è importante il fine da raggiungere, bensì l’andamento della vita?

Si, l’andamento è quello che si può raccontare; il fine è abusivo, ognuno si può dare dei fini. Io racconto la fine come un punto e a capo, un qualcosa che semplicemente finisce lì.

La letteratura è possibilità di compimento?

La letteratura è quella che leggo, non quello che scrivo. E' tutte le belle storie che leggendo ho trasferito dentro di me e dunque, dal mio punto di vista, sono compiute. Tutti i libri sono dei semilavorati, anche i più perfetti. Il lavoro finito spetta al lettore che termina il pezzo dentro di sé. Il singolo lettore sta nella stazione di finitura del prodotto.

Cos’è per te il senso profondo dell’esistere, dell’esserci qui e ora?

Se potessi dire un titolo a cui prestare svolgimento, potrei dire che per me si tratta di essere sempre pronti a reagire, fortemente e fisicamente, a ciò che a me sembra un torto.

 

Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui

Archivio libri
 


homearchivio sezionearchivio
Copyright © Caffe' Europa 1999
Home | Rassegna italiana | Rassegna estera | Editoriale | Attualita' | Dossier | Reset Online | Libri | Cinema | Costume | Posta del cuore | Immagini | Nuovi media | Archivi | A domicilio | Scriveteci | Chi siamo