Caffe' Europa
Attualita'




Linda Grant, orfana della memoria

Francesco Roat

 

La nostra identità personale per costituirsi pare abbisogni del tu: l’altro da sé in grado di cogliere il "chi", impossibile da decifrare da parte del soggetto in modo autoreferenziale. La prima manifestazione di ogni singolo essere umano consiste quindi nell’esporsi, non potendosi separare l’aspetto esibitivo da quello relazionale dell’identità.

Come ebbe a sottolineare Adriana Cavarero, infatti, ogni uomo sa di essere "un sé narrabile immerso nell’autonarrazione spontanea della sua memoria"; per cui l’io che la racconta è indistinguibile dal sé che viene raccontato.

L’autobiografia stessa del resto (o il racconto in prima persona) è una storia che dice la relazione con gli altri e con il mondo, non trovando luogo conoscenza al di fuori di tale rapporto e poiché la memoria autobiografica da sola non potrà mai raccontare per intero la vita, se non altro poiché non può ricordarne l’inizio.

Così la parola, il ricordo della madre (il primo tu a cui ci rivolgiamo) assume una valenza basilare per ogni narrazione intorno a noi stessi, divenendo specchio e sorgente a cui attingere per la nostra rielaborazione mnemonica. Ma se proprio la madre – per trauma o malattia – diviene smemorata, come e dove fondare la nostra autobiografia?

Come non rischiare di smarrire noi stessi, assieme a lei, frammenti di vita, evitando che l’altrui naufragio ritentivo si traduca nella perdita di tutto un universo fatto di ricordi, aneddoti, racconti insieme pubblici e privati: riguardanti cioè sia la storia con la esse minuscola, sia quella con l’iniziale maiuscola?

Questa la problematica sottesa al libro dell’inglese Linda Grant "Raccontami chi sono", recentemente pubblicato da Bollati Boringhieri, dove la scrittrice narra il proprio difficile rapporto con la madre anziana, la quale – sofferente di demenza senile con conseguente deterioramento progressivo della memoria – vive la perdita di un’identità solo a tratti in grado di ricomporsi. Una perdita che innesca in Linda l’urgenza di ripercorrere il proprio passato e quello materno, ovvero le vicende avventurose di una famiglia di ebrei dell’Europa orientale, emigrati ai primi del novecento in Inghilterra.

Per aiutarsi in questo viaggio a ritroso nel tempo e nei meandri della sua e dell’altrui memoria, Linda non solo interroga la madre ma pure una serie di vecchie foto in bianco e nero, che dovrebbero servire da catalizzatori d’una reminiscenza difficile da realizzare, poiché di tutti i congiunti "Mia madre è l’ultima. Tutti gli altri sono morti".

Questo voler ritrovare le proprie radici per Linda è altresì una sorta di esorcismo contro un vuoto che non è solo l’assenza del nebuloso limbo di ricordi sempre più confusi e vaghi in cui è destinata ad approdare la malata, ma il venir meno negli anni di presenze e affetti: uno scongiuro contro la morte, dunque.

"La memoria, ora capisco, è tutto, è la vita stessa" confessa Linda osservando il lento deteriorarsi delle facoltà mentali di sua madre, regredita a un livello infantile e accudita dalla figlia in un’inversione di ruoli che sconcerta quest’ultima, incapace di elaborare il lutto della perdita – prima ancora della genitrice – dell’onnipotenza infantile che vuole eterni i genitori.

Unico rimedio al venir meno resta la scrittura, se scrivere è cristallizzare il ricordo, invertire il corso del tempo, esorcizzando il timore ancestrale della morte. Accade perciò che non sia più la madre a narrare/rammentare, ma appunto la figlia. E’ lo stesso però, se la memoria riesce a trionfare in qualche modo sull’oblio.

Si ribalta così in maniera speculare la direzione imperativa voluta dal titolo del libro. "Ricordami chi sono" non è più rivolto dall’io narrante all’anziana signora smemorata, ma da questa a Linda. L’impresa è disperata però, non avendo possibilità alcuna di riuscita, giacché ogni parola, qualunque messaggio viene subito scordato dalla madre, la cui vita tuttavia, come affrancata dal passato e incapace di proiettarsi nel futuro, sembra abitare un presente fatto di attimi da cogliere con la grazia straniata di "una vecchia, vecchissima bambina", perennemente stupita di fronte alle vetrine, ai campanili o ai ciliegi fioriti.

Ed è nella resa di entrambe, madre e figlia, o forse meglio nell’accettazione della realtà, che si chiude questa storia così umana e pietosa. Un racconto sulla memoria e sul passato, che poi non è davvero morto e sepolto se, interrogandolo, lo facciamo rivivere in un modo che alla fin fine "non smette di sorprenderci" mai.

 

 

Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui

Archivio libri
 


homearchivio sezionearchivio
Copyright © Caffe' Europa 1999
Home | Rassegna italiana | Rassegna estera | Editoriale | Attualita' | Dossier | Reset Online | Libri | Cinema | Costume | Posta del cuore | Immagini | Nuovi media | Archivi | A domicilio | Scriveteci | Chi siamo