Caffe' Europa
Attualita'




Revelli a fianco dei rom, i più odiati dagli italiani

Antonio Carioti

 

Risulta dalle inchieste demoscopiche che gli zingari sono il gruppo etnico più malvisto dagli abitanti del nostro paese. E nel libro di Marco Revelli "Fuori luogo", edito da Bollati Boringhieri, se ne trova un'eloquente conferma, che parte da un caso concreto dai contorni inquietanti.

L'autore, figlio del noto partigiano e scrittore Nuto Revelli, è una delle voci più radicali della sinistra, una coscienza critica esigente e agguerrita. Tra il novembre e il febbraio scorsi, ha preso a cuore la causa di una piccola comunità di nomadi proveniente dall'Est, che si era accampata alla periferia di Torino, nei pressi dello stadio Delle Alpi, sul territorio del comune di Venaria Reale.

Era gente poverissima, fuggita dalla Romania per sottrarsi alle persecuzioni di un postcomunismo balcanico dalle tinte torbide. Costituivano una presenza ingombrante e scomoda, tanto che amministratori locali e funzionari statali, magistrati ed esponenti del governo hanno fatto di tutto per sbarazzarsene, fino al fatale decreto di espulsione, o "deportation order", e alla distruzione completa, con tanto di rogo "purificatore", del campo rom.

Una brutta storia, che ha visto il pregiudizio, il formalismo, l'ipocrisia e l'amor di quieto vivere prevalere nettamente sui valori umanitari e solidaristici di cui così spesso ci si riempie la bocca. Per giunta, sottolinea Revelli, i protagonisti negativi non appartengono allo schieramento politico cui si rinfacciano solitamente insensibilità ed egoismo sociale, ma a quello opposto. E' ulivista la giunta di Torino e si può considerare quasi di estrema sinistra quella di Venaria Reale, composta da Rete, Verdi e Rifondazione comunista.

Eppure non c'è stato niente da fare, malgrado si trattasse di rom molto particolari, a suo tempo "sedentarizzati" dal regime romeno. Persone disposte a lavorare regolarmente, contro le quali, durante il loro soggiorno a Torino, non è mai stata indirizzata alcuna denuncia penale. Insomma, assicura Revelli, zingari che non rubavano.

Era stata anche avanzata, da una cooperativa antirazzista, la ragionevole ipotesi di alloggiare i rom, durante l'inverno, in alcune scuole comunali in stato di abbandono, che essi in cambio avrebbero restaurato. Ma al pensiero della reazione che ciò avrebbe suscitato nei quartieri interessati, tutti si sono tirati indietro.

zing02.gif (121522 byte)

Addirittura, denuncia l'autore, ci si è adoperati per fare in modo di "mantenere il più basso possibile il livello di vivibilità di quel territorio" dove i nomadi si era insediati, per evitare che "un sia pur impercettibile miglioramento delle condizioni di vita" attirasse nella zona altri ospiti indesiderati.

Revelli ha seguito l'odissea dei profughi passo passo. Ha condiviso la loro mensa, ha dormito nel campo. Le sue narici sono state invase dal "lezzo dolciastro della miseria". Le sue pupille hanno visto "il muco verde dei bambini, gli occhi lucidi di febbre, i piedi scalzi sull'erba bianca di brina". Quanto basta per indignarsi di fronte alla gelida, burocratica noncuranza non solo delle autorità, ma anche degli intellettuali sedicenti progressisti.

Nella sua Torino, un tempo la città operaia di Gramsci, Gobetti e don Bosco, egli scorge oggi "qualcosa di osceno". Un'"incapacità di misurarsi con l'altro", un'intolleranza che non s'incontra, in questa misura, nell'arretrato Mezzogiorno e neppure nel Nord Est bigotto e leghista, dove almeno la fame di braccia e "l'informalità del sistema produttivo" svolgono un ruolo di ammortizzatore.

Del resto questa è una vicenda in cui i buoni e i cattivi tradizionali spesso si scambiano le parti, tra lo sgomento doloroso dell'autore. Lo Stato centrale si dimostra più comprensivo degli enti locali, i poliziotti più ragionevoli dei magistrati. E la stessa democrazia mostra il suo volto oscuro, con gli eletti che si adeguano "agli umori più elementari e più bassi" di coloro che li hanno votati.

Si può trovare troppo rigido l'atteggiamento di Revelli. Gli si può obiettare che i pregiudizi popolari contro i rom non sono frutto di una psicosi collettiva, ma trovano una conferma piuttosto solida nelle statistiche sulla delinquenza, che vedono gli zingari, soprattutto quelli provenienti dalla ex Jugoslavia, largamente in testa nelle graduatorie dei condannati per furto e rapina.

Lascia perplessi anche l'entusiasmo dell'autore per "il tipo di socialità" che ha incontrato nel campo. Si assiste quasi a un ritorno del "mito del buon selvaggio" in alcuni passi del libro. Per esempio: "Ho avvertito più intensità di vita in questo spazio tremendamente vuoto di cose che nel resto di questa città esistenzialmente morta sotto la superficie del traffico e delle vetrine". Oppure: "...qui si avverte fisicamente l'esistenza di quel campo di forze comune, di quello spazio 'pubblico' di condivisione tra un individuo e l'altro dove ci si può incontrare e cooperare senza competere, che noi abbiamo perduto, murati ciascuno dentro di sé come atomi predatori capaci di praticare solo l'algebra a somma

E' curioso, ma forse inevitabile, che l'ultima oasi, per chi rifiuta l'individualismo utilitarista, diventi una comunità retta da regole arcaiche, nella quale, per ammissione dello stesso Revelli, "gli uomini parlano, le donne ascoltano". Marx ed Engels definivano "socialismo feudale" quello che agitava "a guisa di bandiera la bisaccia da mendicante del proletariato". Ma erano altri tempi.

Conviene comunque prendere molto sul serio le riflessioni finali dell'autore sull'impotenza della politica, incapace di tutelare coloro che sono privi di peso contrattuale o elettorale, e sui limiti della cultura di sinistra, indifferente alla sorte dei reietti che non può arruolare in qualche modo sotto le proprie bandiere o almeno mobilitare contro un nemico comune.

Si manifesta qui, per l'ennesima volta, la crisi dello Stato nazionale come sede suprema e sovrana dello spazio pubblico. Non sono solo i movimenti vorticosi della finanza internazionale, ma anche le migrazioni di massa rese possibili dal rimpicciolirsi oggettivo del pianeta, a decretare l'insufficienza di questa dimensione. Il finanziere rampante di Wall Street e il piccolo rom intirizzito dal freddo sono distanti anni luce, ma segnalano le stesse lacune della vecchia organizzazione del mondo.

Saprà la politica far fronte a queste sfide nel secolo che viene? Saprà dare attuazione agli articoli della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, che Revelli pone ad epigrafe dei capitoli del libro? La lettura di "Fuori luogo" non induce di certo a previsioni ottimistiche, ma aiuta a diffondere la consapevolezza dei problemi. Con i tempi che corrono, non è un merito da poco.

 

 

 

Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui

Archivio libri
 


homearchivio sezionearchivio
Copyright © Caffe' Europa 1999
Home | Rassegna italiana | Rassegna estera | Editoriale | Attualita' | Dossier | Reset Online | Libri | Cinema | Costume | Posta del cuore | Immagini | Nuovi media | Archivi | A domicilio | Scriveteci | Chi siamo