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L’arte della memoria

Tina Cosmai

 

"Lì c’è tutta la mia vita", ha dichiarato Lalla Romano riferendosi alla mostra che si tiene a Monza dal 22 ottobre al 28 novembre 1999, dal titolo "Poesia del segno", che racconta l’armoniosa convivenza tra pittura e scrittura, tra la manifestazione segnica e quella della parola che hanno da sempre caratterizzato la vita dell'autrice. Dove al fondo c’è un’unica verità che unisce le due espressioni artistiche, che le fonde sapientemente, ed è il valore della storia, quella personale, colma di verità, di passioni, che prelude ad un valore più grande: quello dell’arte.

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Signora Romano, la mostra che si tiene a Monza in questi giorni pone una differenza tra il segno essenziale dei disegni e quello compiuto della pittura. E’ un tentativo di ritrovare l’origine di ciò che compiamo, di ciò che definiamo?

Io considero l’arte un fatto intellettuale. Il disegno è un accostamento, una forma di quello che sarà la pittura: non è la parte sensuale, ma la parte intellettuale. L’arte stessa è un’astrazione. Qualsiasi opera è una scelta che l’artista fa nel mondo: il mondo visibile, nel caso della pittura e del disegno.

Nella mostra è delineato il passaggio armonioso dall’arte pittorica all’arte della parola, che lei ha definito ugualmente autorevoli.

Io credo nell’unità della visione artistica di una persona. Se la sua visione del mondo è una visione d’arte, ci sarà un rapporto, quasi un’identità tra il segno come disegno e il segno come parola. Se ci fosse una rottura fra le due forme d'arte io sarei una persona che ha seguito le mode; invece sono una persona che ha trovato il suo linguaggio. Inoltre non considero le esperienze interiori diverse da quelle esteriori. Si può esercitare uno sguardo scientifico sulle opere d’arte, ma per me il segno deve corrispondere a un' emozione.

 

Ho trovato i suoi autoritratti più carnali rispetto ai ritratti.

E’ una vocazione che alcuni artisti hanno: servirsi della proprie fattezze. Rembrandt ad esempio ha dipinto quasi soltanto autoritratti. Io ho cominciato molto presto a dipingere: il mio ritratto con gli occhi chiusi è un disegno che ho fatto quando frequentavo ancora il liceo. La sensazione di carnalità che danno i miei autoritratti deriva dalla mia maniera di essere. Per me l’espressione artistica è una maniera diretta di vivere. Non mi interessano gli altri compiti sociali; non mi interessa nemmeno la morale.

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Allora cosa la interessa davvero?

Il mio legame con il mondo, un legame assolutamente privo di scopi pratici. Come ha detto Boccioni, "lascerò questo mondo col massimo disprezzo per tutto ciò che non è arte".

Cos’è per lei un ritratto, un incontro?

Non ho mai scelto i soggetti dei miei ritratti: erano le persone stesse che si prestavano. Certe volte, quando ero giovane, mi accadeva di incontrarle per strada. Ma quando dipingevo avevo il medesimo rapporto con il modello sia che fosse una persona che una pietra.

 

Lei è tanto sincera nei suoi scritti da apparire quasi spietata. Perché?

La spietatezza è l’unica vera forma di pietà. La verità non è accomodante, e non bisogna mai essere accomodanti, nella vita come nell’arte.

Tutta la sua arte e questa mostra sono una dimostrazione dell’importanza della memoria. Lei parte da un sentimento che alimenta i suoi ricordi, fino ad arrivare ad astrarre dal ricordo un significato. In che modo la memoria diventa arte?

La memoria può essere matrice di arte se però è disinteressata. La memoria è ciò che ci rende umani, per quanto anche gli animali e, secondo i fisici, persino la materia abbiano una forma di memoria. Ma la memoria come l’ hanno inventata i grandi artisti è un’altra cosa. La memoria secondo Proust, secondo Manzoni, secondo Leopardi, esprime l’avvicinamento al nulla fondamentale dei valori, perchè i valori risaltano solo se confrontati con il nulla eterno. Cioè: i suoni hanno bisogno del silenzio, i colori dell’ombra. Il pensiero è nella meditazione e nel riposo, la musica nel silenzio.

Con questa mostra lei ritorna alle ombre e ai chiarori del passato, della sua giovinezza. Cosa è cambiato adesso rispetto al suo rigore iniziale?

Io non credo di essere cambiata. Nessun artista cambia mai, perché si nasce sotto questo segno. Naturalmente, ci sono diverse moralità personali. Nel mio caso, io ho sempre saputo che non volevo operare una trasposizione materiale della realtà ma trasmettere una visione che partisse da una sorta di isolamento, una visione assoluta. D’altra parte, nel mondo dell’arte si fanno delle scelte. Io ho frequentato presto l’arte moderna perché avevo un’amica a Parigi, ho visitato presto le gallerie d’arte e i musei. Il mondo dell’arte è un mondo assolutamente libero, però rigoroso: bisogna soprattutto escludere ogni vanità, qualsiasi ombra di attaccamento al potere, al denaro, alla sopraffazione.

Vorrei concludere con una frase molto bella che lei ha scritto: " Della nostra storia nulla vive se non raccontato, cantato". Ci dica qualcosa sulla melodia del raccontare.

Raccontare o cantare significa trasformare l’esperienza diretta della realtà in qualcosa che va al di là, pur essendo radicato nella materia e nella vita. Perché l’arte è una maniera di vedere il mondo disinteressatamente.

 

 

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