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Kosovo: l’esperienza di D’Alema, Clark e Kouchner

Tommaso Debenedetti

 

"E’ stata un’avventura drammatica, ma anche esaltante". Così il presidente del Consiglio Massimo D’Alema ha definito il recente conflitto nell’ex-Jugoslavia. Il premier, in occasione della presentazione del suo libro "Kosovo", scritto con Federico Rampini, ha partecipato ad un dibattito al quale sono intervenuti il generale Wesley Clark, comandante delle forze Nato durante la guerra, e Bernard Kouchner, alto commissario Onu per il Kosovo. Abbiamo chiesto ai partecipanti all’incontro di rievocare quel momento cruciale della recente storia europea e di fare il punto sulle prospettive nell’area balcanica alla vigilia dell’apertura, il 9 Ottobre a Bari, della sessione della Conferenza per la ricostruzione nell’ex Jugoslavia.

Massimo D’Alema:

"La guerra ha rappresentato, a mio avviso, un fondamentale spartiacque nella recente storia dell’Europa. Si è stabilito il principio secondo il quale anche la sovranità nazionale ha un limite: quando avvengono massacri di popolazioni inermi, crimini orribili, non si può restare a guardare, occorre intervenire. Naturalmente, bisogna stare attentissimi a separare nettamente l’ingerenza legittima da quella illegittima.

"Ricordo i giorni del conflitto come un tempo angoscioso, oserei dire traumatico. Se Milosevic si è piegato - oggi me ne rendo conto pienamente - non è stato solo per la forza delle armi, ma anche per l’intelligenza della strategia politica occidentale, che ha coinvolto la Russia sottraendola alla tradizionale alleanza con i serbi, ed ha coinvolto l’Onu. Ecco un punto essenziale: senza le armi i kosovari non avrebbero potuto essere difesi, ma senza l’Onu la guerra non sarebbe finita!

"L’Europa ha vinto, ma ha dovuto sperimentare due pesanti umiliazioni. La prima, e gravissima, è stata quella di vedere i Balcani dilaniati da odii e conflitti esattamente come avveniva all’inizio del Novecento. La seconda, e ben meno grave, è stata il dover constatare l’assoluta superiorità degli Usa in campo militare e organizzativo. A questo occorre mettere riparo con una politica estera e di difesa europea che si svolga in stretta collaborazione con la Nato ma possa essere, se necessario, indipendente da essa.

"Restano ancora, naturalmente, molti problemi. Il primo dei quali è Milosevic. Non si possono ricostruire i balcani senza la Serbia, ma non si può ricostruire la Serbia con Milosevic al potere. C’è poi l’urgenza di ricostruire, dal nulla, specialmente in Kosovo, la società civile, disarmando gli animi dopo un tragico susseguirsi di lotte e odii. Infine, c’è il tema dell’immigrazione clandestina e del contrabbando. Esso tocca in special modo l’Italia, ma si estende all’intera Europa".

Bernard Kouchner:

"Il fatto che si sia intervenuti in Kosovo per difendere i diritti di un popolo è un fatto storicamente fondamentale, nuovissimo.
Ma ora i problemi sono enormi. Arrivando in Kosovo, ci siamo accorti che non dovevamo proteggere solo le popolazioni albanesi, ma anche altre minoranze ed etnie, perchè gli odii secolari restano e non si possono risolvere in poco tempo. Occorre una strettissima collaborazione fra truppe Nato e forze Onu per garantire la tranquillità.
Dobbiamo ricreare, dal nulla, una società civile basata sulla convivenza multietnica. Vogliamo che i dirigenti locali collaborino attivamente ad ogni decisione: ma le forze politiche kosovare sono ancora eccessivamente divise. Insomma: la pace deve essere ancora costruita, e ci vorranno mesi, forse anni per raggiungere risultati accettabili".

Wesley Clark:

"Nonostante la mia lunghissima esperienza di militare, i giorni del conflitto sono stati per me tremendi, angosciosissimi. Credevamo davvero che Milosevic si sarebbe arreso dopo i primi bombardamenti. Poi abbiamo cominciato a capire che non avrebbe ceduto facilmente. Ogni mattina mi dicevo:’Oggi sarà la volta buona, oggi cederà’. E invece iniziava un nuovo giorno di guerra, aumentava la paura di colpire innocenti, e doveva crescere l’entità degli attacchi. Oggi mi rendo conto che quella nostra determinazione era più che giusta, e che cedere ai dubbi ed all’angoscia avrebbe aiutato solo Milosevic.".

 

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