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Alda Merini: la poesia come luogo del nulla

Tina Cosmai

 

Lei narra della sua casa, della sua famiglia, dei suoi amori, dell’ambiente intimo e viscerale dei Navigli, di quella Milano languida e polverosa, provinciale e variegata che la avvolge. Lei scava nella quotidianità, nei soggetti scabri e assurdi che incontra, lei non è la poetessa dell’eccesso, del conflitto, ma della conciliazione epifanica di un’esistenza sofferta ma agognata nel dolore.

Alda Merini vive in una casa colma di espressioni tattili della propria visione della vita. Mozziconi di sigarette, dolci stantii, bottiglie di vini caldi e aromatici, foto di lei nuda o in bizzarre divise, foto di Milano, arredano il suo appartamento colmo di effluvi indistinguibili. Già, Milano, la patria sua della poesia che nasce in quel tragico momento storico che fu la seconda guerra mondiale, in quel 14 ottobre del 1943, quando la città fu disastrosamente bombardata, quando Milano "perse la vita". Lei e la sua famiglia si salvano perché scappano a Vercelli, tre anni di lavoro nelle risaie. Ma quando torna, si rende conto che in quell’immane sciagura era nata la poesia del 900, una poesia ricolma di passioni per la patria perduta, ridondante dei sensi della rinascita, di quella pienezza di spirito che ti rende fiero di te stesso.

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Lei comincia a tradurre i grandi poeti e conosce il suo grande amore Giorgio Manganelli e tanti illustri letterati che saranno i suoi maestri. L’amore diviene il perno intorno a cui ruota l’essenza della sua poesia. Un amore completamente svincolato dagli schemi eppure così drammatico, colmo di sensazioni di colpa. La colpa di amare un uomo sposato, la colpa di essersi donata vergine a lui, la colpa di essere Alda e nessun’altra. Lei non riesce a definire i suoi amori, giacchè nell’indefinibile risiede la vastità dell’amore, lei non cede alle filosofie dell’amore.

Con il suo primo marito, Ettore Carniti, condivide trenta anni di matrimonio, quattro figli e l’incubo del manicomio. Un giorno ha cominciato a picchiarlo, non sapeva spiegarsi come e perché e lui l’ha fatta ricoverare. In seguito, quando sente quel particolare disagio farsi strada nel suo animo, è lei stessa che riempie la sua valigia e si ritira in manicomio. Esce solo quando è incinta, perché pervasa da un senso di benessere. Donare una vita alla vita è per Alda Merini un immenso valore. "Il poeta è come una madre. La sua più bella offerta è l’amore e più figli hai più vorresti averne. Non per farne degli schiavi, ma dei discepoli".

Allora la poesia è forte passione per la vita, per quella vita che l’elettroshock vuole distruggere, per quelle emozioni che il manicomio vuole spegnere. Ma invano, perché c’è una dimensione dell’umano che salvaguarda tutto ciò ed è la follia. Essa rappresenta quella parte remota e paradossalmente logica di espressione della sfera emozionale, di quel magma inconscio che erutta nella mente e che la rende nullità creatrice. Il nulla è il fondamento della poesia, luogo immenso di creazione, dove l’ebbrezza coincide con la presa dell’essenza.

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La poesia di Alda Merini è una sinfonia di passaggi tra l’immensità eterna dei valori, la forza vitale della follia e l’infinita colpa di amare smisuratamente. E’ allora una poesia che penetra profondamente la vita, che la esalta, la ama e teme di perderla nella cognizione della pazzia. "E quando comincio a cantare/ a essere presa dal tuo firmamento/ o poesia,/ io perdo la voce della realtà/ e divento consonante del nulla./ La struggente parodia del sogno è in te, poesia/ solenne facitrice di frodi/ la parola amore è uguale a un tuo tradimento/ quando te ne vai da me/ mi lasci sola come una sorella che abbia/ cambiato nome."

Il vigore espressivo nasce dunque dalla follia del nulla, che è il grande rischio della vita, un rischio che Alda Merini ha corso e corre ancora, il rischio che pacifica il rapporto tra eccesso e punizione. Il luogo della poesia è irragionevole, ma il suo fondamento è nella realtà. Infatti è nel quotidiano esistenziale che lei trova lo spunto per i suoi versi. Gli amori vissuti, i giorni del manicomio, la gente dei Navigli e Dio. Lei colma quello spazio esistente tra la realtà e il sogno, quel luogo in cui si comunica con Dio e Gli si dice tutto, senza scandalo alcuno.

Alda Merini non ha vissuto il suo dolore come "un rifugio assente", ma ha dimorato dentro di sé, compiendo un lungo, meraviglioso e faticoso viaggio. In ottobre uscirà per Rizzoli una sua raccolta di versi dal titolo "Aforismi e magie", versi che rispecchiano il suo particolare amore per la vita, fatto di rabbia e di gioiosità, di simbolismi e scenari vertiginosi. Consigliamo a tutti, vivamente, di leggerla.

 

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