I premi letterari, si sa, sono gioia e dolore, proprio
come le donne e i motori. Storie vecchie le polemiche, i bisticci, le pastette, qualche
volta gli intrighi e gli inciuci. Gli amici della domenica frequentatori di casa Bellonci
che qualche volta, incuranti del privilegio assoluto di poter scegliere un libro
(possibilmente il migliore) tra la rosa dei partecipanti, diventano più amici degli
altri. Ma se corruzione cè stata, sia chiaro, si è sempre trattato di corruzione a
fin di bene. In fondo premiavano un romanzo, mica davano un appalto!
Gli editori i premi li vogliono vincere perché, dicono, poi venderanno
più libri. E un diritto sacrosanto. Siamo o no nellera del libero mercato, di
più, del mercato globale dove competition is competition, anche sui romanzi? In
molti casi, aggiungiamo noi, poi di libri non se ne sono venduti molti. Ma tantè, a
provarci cè sempre gusto. E poi, come resistere al fascino della fascetta?
Cè stato un tempo, ahimé lontano, in cui i premi, a volerli
vincere, erano soprattutto gli scrittori. Perché dietro la consacrazione, il numero più
alto di votanti scritto sulla lavagna, vedevano la possibilità di un ingresso
privilegiato nellOlimpo della letteratura: se vincevi eri un bravo scrittore, se
perdevi, qualcuno era stato più bravo di te. Oppure più simpatico, dipende. E poi
talvolta i premi servivano alla sopravvivenza, anche economica, di chi li vinceva. Altri
tempi. Con lEuro, anche i dieci milioni dello Strega sono diventati dieci milioni
scarsi, meglio non farci affidamento più di tanto. Passati di proprietà agli editori, i
premi letterari hanno perso un po di appeal e di romanticismo. Adesso poi che
vincere spesso non conviene, forse torneranno di proprietà degli scrittori. E allora
sarà un bel giorno.
Intanto la cronaca. A Dacia Maraini è andato il Premio Strega con il
romanzo "Buio" edito da Rizzoli. Il tam tam delle anticipazioni lo aveva
pronosticato: vincerà una scrittrice che lo merita, una sorta di riconoscimento alla
carriera.

Dica la verità, le ha fatto piacere sapere che le davano un premio
alla carriera?
"Ma se sono invecchiata di ventanni. A tutti quelli che lo
pensano vorrei dire che la mia vita non è ancora finita, sono lontana dal fare un
bilancio. Ho vinto un premio importante ma non voglio essere giudicata per il complesso
della mia avventura editoriale. Ho ancora molte cose da dire e da fare. E poi, tanti
scrittori prima di me hanno vinto lo Strega senza per questo essere costretti a pensare di
aver raggiunto la fine della carriera. Penso a Pavese, Levi, Bassani, Cassola. Scrivere è
una grande passione, è la mia vita. Scrivo, riscrivo, leggo e rileggo. Ci lavoro tanto.
Poi, dopo che sono stati pubblicati, i miei libri non li guardo più. Infatti ne sto già
scrivendo un altro".
Eppure lo Strega conserva ancora un sapore speciale...
"Perché è un premio antico, ricorda lItalia appena
liberata, fa parte della tradizione e dellarte del nostro paese. Vincerlo è un
onore perché aumenta il mio senso di appartenza, amplifica lidentità
nazionale".
Dacia Maraini, le piacciono i premi?
"Sì, a patto che si contenga il piacere entro certi limiti.
Essere premiati fa bene, è una gratificazione giusta, un riconoscimento che, quando
arriva, pensiamo di meritare. Ma non se ne deve fare una malattia. Una volta, proprio allo
Strega, arrivai seconda, il mio libro era Bagheria. Vinse Domenico Rea e, giuro, la presi
con tranquillità. Poi, tra gli altri, ho vinto il Premio Campiello e una volta, in
Inghilterra, il Guardian ha deciso di dare un premio molto importante a Marianna Ucria.
Naturalmente i premi non li rifiuto ma non faccio nulla per averli, e una volta avuti non
li tratto mai come un feticcio. Sono episodi".
Guardando alla storia dei premi letterari, si possono tracciare
alcune linee demarcatrici: lera degli scrittori, quella degli editori, gli ultimi
anni caratterizzati dallincertezza e dalla confusione dei ruoli. Concorda con questa
divisione temporale?
"In linea di massima sì. Anche se tutte le fasi hanno avuto alti
e bassi e forse delle divisioni non così nette e precise. I primi premi letterari degli
anni 50, figli dellItalia liberata e del dopoguerra, avevano una maggiore
risonanza. Venivano premiati gli scrittori ma era come se venisse reso omaggio alla
libertà riconquistata. Finalmente alla parola libro non era più associata la paura della
censura, del fascismo, dei romanzi bruciati in piazza. Adesso per uno scrittore ricevere
un premio significa ottenere il riconoscimento di una professionalità. E poi, in un paese
come il nostro dove i libri sono invisibili, i premi hanno la grande funzione di renderli
visibili. Purtroppo ce ne sono troppi e per questo hanno perso importanza".
E del ruolo degli editori, cosa ne pensa?
"Una grande marmellata da cui uno scrittore, se è sano di
mente, deve restare fuori. Scrivere e pubblicare daltronde sono mestieri
diversi".