Libri/L'eredita' di Eszter
Francesco Roat
Sándor Márai
Leredità di Eszter
trad. di Giacomo Bonetti, Adelphi
pp.137, L.22.000
Si situa agli antipodi della letteratura d'evasione, minimalista o
narcisisticamente monologante, quella del mitteleuropeo Sándor Márai. I suoi sono testi
concepiti all'insegna d'una concezione alta della scrittura - all'interno della
cornice tradizionale romanzesca - intesa quale mélange di maestria stilistica e pregnanza
di contenuti o idee, se si preferisce. Ma è forse l'abilità nel far crescere la tensione
narrativa in modo esponenziale via via che le pagine scorrono (davvero si leggono d'un
fiato i racconti di Márai), è l'arte sottile di saper soffiare sulle braci di
esili trame a ritmo di suspense sino a renderle incandescenti a caratterizzare
maggiormente la prosa di questo grande autore ungherese del quale Adelphi, dopo il
capolavoro Le braci, propone ai lettori italiani il non meno interessante romanzo L'eredità
di Eszter.
Ancora una volta l'ambientazione è borghese, tutta d'interni,
scenograficamente teatrale. E l'incipit del libro non solo ci cala immediatamente nel vivo
della storia ma ce ne anticipa la fine. Il dramma sè già consumato, si tratta solo
di ripercorrerne le tappe, individuarne le cause, interrogarsi sul suo senso o non senso.
Ancora una volta tema privilegiato resta il tradimento, il venir meno della fiducia
nell'altro che induce a un disincanto straniante e melanconico. Come due sono i personaggi
- al di là delle comparse minori che fan da coro alla tragicommedia - una donna e un
uomo: Eszter e Lajos. Ed è la greve dimensione del tempo a rappresentare il paradigma
entro cui si dà metamorfosandosi insistentemente l'ambigua specularità delle figure
emozionali/esistenziali che Márai predilige: passione e ragionevolezza, amicizia e
inimicizia, eros e thanatos, amore e odio. Un tempo fatto solo di attesa e quindi
paradossalmente sospeso: sorta di algido Chronos, incapace come tutti i personaggi del
Nostro di elaborare il lutto della perdita.

Eszter - alla pari del generale protagonista in Braci - per
vent'anni è vissuta nell'inconsapevole attesa del ritorno di colui che l'ha ingannata,
convinta che nella vita "esiste una specie di regola invisibile per cui ciò che si
è iniziato un giorno prima o poi lo si deve portare a termine". Ma si badi: un
attendere non certo nella prospettiva di Kairòs, l'attimo temporale favorevole, sebbene
sotto il segno saturnino d'un melanconico predisporsi a morire. E come se qui
mancasse unaltra più positiva immagine del tempo: quellAion, eterno principio
creatore che simboleggia vitalità e voglia di esistere.
Márai costringe invece i suoi anti-eroi ad uno stallo paralizzante;
per cui essi possono solo muoversi nella direzione obbligata del ricordo (o della
regressione) in quanto lattesa si rivela illusoria o serve appena a ribadire la
contraddittorietà ambivalente delle emozioni che, mutando di polarità, ora raggelano ora
infiammano lanima e il corpo di tutti i protagonisti di Márai, i quali non
desiderano cicatrizzare le loro ferite in quanto ciò comporterebbe chiudere con il
passato. Così preferiscono tenerle aperte in una sofferenza a suo modo consolante
("Per ventanni mi ero aggirata chissà dove sullorlo di un precipizio, un
passo dopo laltro, tranquillamente, col sorriso sulle labbra" confessa Eszter).
In netto contrasto con tale immobilismo implosivo, con tali stasi
intervallate da coazioni a ripetere: lincalzante prosa cinematografica di Márai
così mobile e sequenziale nel riprendere inganni e rancori affettivi, trascorrendo
rapidamente dal passato più remoto a un presente che è sempre legato ad uno ieri
incancellabile. Non a caso lunico movimento oltre alla scrittura/macchina da
ripresa, abilissima nellalternare ai primi piani di dialoghi dalla sottile arguzia
psicologica agili carrellate attraverso le parabole esistenziali dei prim'attori
appartiene solo al deuteragonista: sia esso lesule Konrad di Braci, oppure il
vagabondo mascalzone Lajos. Sono loro, i traditori, che agiscono e scelgono, sia
pure a rischio di infliggere ferite emozionali; in una parola: sono loro i soli a vivere.
Gli altri, eterni sconfitti, si limitano piuttosto ad un sopravvivere
nostalgico pur sapendo che lorizzonte del mondo di ieri (per dirla con Stefan
Zweig) è tramontato per sempre e che alcuna restaurazione, epocale o privata, è mai
auspicabile davvero.
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