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Libri/Il Postmoderno spiegato a chi non c'era

Francesco Roat

 

Gaetano Chiurazzi
Il postmoderno
Paravia 1999
pp.220, L.18.000

Postmoderno, chi era costui? Cosa indica questo ambiguo neologismo che si affaccia alla ribalta dei termini concettosi già a partire dagli anni Trenta, ma è divenuto popolare solo in quest'ultimo decennio, dando luogo ad un uso sin troppo disinvolto (nell'ambito dei mass media, più che in quello filosofico) e finendo per suscitare equivoci semantici o fraintendimenti? Se postmoderno infatti non significa, banalmente, il periodo storico che segue il moderno, o peggio ancora il suo superamento e la sua negazione, bensì piuttosto una modalità "nuova" di guardare alla modernità, allora forse sarà bene riflettere in primo luogo sul significato del termine moderno prima di affrontare il suo post, con tutte le difficoltà che comporta il tentativo di definire tale parola.

E' questa la via che segue Gaetano Chiurazzi nel suo breve ma illuminante saggio sul pensiero nella società della comunicazione, considerando come, quantunque non sia tanto semplice neppure definire i limiti cronologici dell’età moderna (da dove inizia: con la scoperta del Nuovo Mondo? Con la nascita della borghesia capitalistica? Con la rivoluzione industriale?), è pur sempre possibile indicare delle "direttrici fondamentali" caratterizzanti il cosiddetto moderno. La prima di tali idee forti è la credenza nella possibilità di un progresso illimitato, l'utopia di un procedere della storia verso un cammino in ascesa. A tale mito si associa la concezione della natura quale ambito di dominio/controllo da parte dell'uomo attraverso gli strumenti tecnico-scientifici ed il prevalere di una dimensione "oggettivante" che riducendo il mondo a oggetto (di conoscenza prima, di sfruttamento poi) finisce per includere l'uomo stesso a elemento naturale da analizzare/manipolare. Terzo paradigma fondamentale del moderno: un razionalismo supponente e logocentrico, il cui dogma è il primato della ratio scientifica e tecnologica.

Non a caso le prime crepe che segnano l'avvio della crisi della modernità vengono a incrinare proprio questi capisaldi. Innanzitutto, a seguito di due guerre mondiali, si fa strada la consapevolezza che l'idea di progresso sia mendace. E' in un certo senso - mi si consenta il gioco di parole - l'inizio della fine della storia: intesa appunto quale emancipazione progressiva. Parallelamente viene meno l'adesione alle ideologie, a quei grands récits - per dirla con Lyotard -, a quei grandi discorsi totalizzanti come lo scientismo di stampo ingenuamente illuminista o il marxismo, che pretendevano di porsi come chiavi interpretative univoche e assolutizzanti dell'universo socio-economico-relazionale.

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Tuttavia, sottolinea Chiurazzi, nella misura in cui la nuova sensibilità postmoderna rigetta la storicità come evoluzione progressiva opponendosi alla razionalità del moderno, il prefisso post risulta il meno opportuno a indicare "una diversa forma di temporalità, più complessa, meno ingabbiata nelle maglie del pensiero logico- lineare". Così da un lato postmoderno, se al negativo è un termine metaforico per stigmatizzare l'inadeguatezza moderna a cogliere la specificità all'insegna dell'interdipendenza sistemica di questo nostro mondo attuale, al positivo esso è anche la cifra simbolica di un pensiero aperto alla dimensione polisemica, trasversale e discontinua della complessità; e non si pone quindi riduttivisticamente come rifiuto aprioristico del passato prossimo di una "modernità" da reinterpretare, rinunciando però a risposte metafisiche, chiuse, esaustive.

Così è forse nella filosofia contemporanea che con maggior precisione risulta possibile rinvenire le origini della critica postmoderna, tra i cui progenitori Chiurazzi indica Nietzsche ed Heidegger: il primo in quanto affossatore della metafisica e di qualsivoglia verità o principio primo, il secondo in quanto strenuo avversario nei confronti di ogni speculazione che ritenga l’essere quale fondamento su cui edificare castelli di sabbia di presunte oggettività più o meno scientifiche.

Ed è forse nello spaesamento, nel nomadismo della multiculturalità e nella perdita delle certezze che la sensibilità postmoderna trova la sua emancipazione, la quale - come sottolinea Vattimo ne La società trasparente - "esplode come una molteplicità di razionalità ‘locali’ (…) che prendono la parola, finalmente non più tacitate e represse dall’idea che non ci sia una sola forma di umanità vera da realizzare" bensì un universo plurale di valori all’insegna della diversità culturale, del dialogo e della reciproca tolleranza.

 

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