Da "Q" all'eternita', il romanzo di
Luther Blissett
Antonio Carioti
E' obiettivamente difficile, per un tifoso del Milan, parlare di
qualcuno che si firma Luther Blissett. Quel nome e' come una fitta, che riporta alla mente
troppi ricordi spiacevoli. In particolare, quel grigio pomeriggio d'autunno del 1983, nel
catino di San Siro pieno fino all'orlo, con uno sgraziato centravanti di colore che cicca
clamorosamente la palla davanti alla porta dell'Inter, spalancata e indifesa. Roba da
farsi venire l'ulcera...
Per chi nulla sa di questi tristi trascorsi, Luther Blissett non e' uno
dei piu' incredibili brocchi che abbiano mai vestito la maglia rossonera, ma soltanto lo
pseudonimo scelto da un gruppo di giovani bolognesi per firmare una serie di beffe
mediatiche, a partire dal 1995. Nemici di tutte le regole (a partire dal copyright), mossi
un po' dallo spirito sovversivo e un po' dalla voglia di "far casino", ora sono
approdati con successo nel circuito della cultura ufficiale.

Hanno pubblicato il romanzo storico "Q" con la casa editrice
colta per eccellenza, Einaudi, hanno venduto un bel po' di copie e sono entrati in lizza
per il Premio Strega. I quattro autori, che sostengono peraltro di essere una parte assai
ridotta delle persone coinvolte nel "Luther Blissett Project", hanno anche
svelato le proprie generalita' e consentito la pubblicazione di una foto collettiva.
Conoscendone le abitudini, non c'e' pero' da scommettere sull'autenticita' dei dati
anagrafici forniti. Mantenere sfuggente la propria identita' e' un loro punto d'onore, che
vale anche per i due personaggi principali di "Q", dei quali rimane sconosciuto
il vero nome.
La trama, ambientata nel XVI secolo, si dipana appunto lungo due vite
parallele. Da una parte c'e' l'avventurosa biografia, narrata in prima persona, di uno
studente di teologia che aderisce alle frange piu' radicali del protestantesimo: prima la
rivolta contadina guidata da Thomas Muntzer, apprezzato anche da Friedrich Engels, poi il
movimento millenaristico anabattista. In contemporanea scorrono le lettere e il diario di
un uomo schierato all'estremo opposto: il misterioso Q, abile spia al servizio del
cardinale Giovanni Pietro Carafa, spietato nemico di ogni eresia e difensore accanito del
temporalismo pontificio. Due vicende che s'intrecciano ripetutamente, fra intrighi di
palazzo e guerre di religione, fino alla resa dei conti, non priva di sorprese, sullo
sfondo di una Venezia al culmine del suo splendore ma ormai condannata alla decadenza.
Il libro si presta a diverse chiavi di lettura. Lo si puo' apprezzare
come una semplice opera letteraria, ben scritta e appassionante, oppure cercare di
decifrare i messaggi, nemmeno tanto reconditi, di cui gli autori l'hanno disseminato.
Nel primo caso "Q" diventa godimento allo stato puro, un
thriller i cui brevi capitoli si susseguono a ritmo incalzante, per nulla appesantito dai
riferimenti storici accurati e puntuali. Un'opera che ricorda i capolavori di Alexandre
Dumas padre, in particolare "I tre moschettieri" e "Il conte di
Montecristo", ma e' modulata su forme espressive posteriori al romanzo ottocentesco.
Viene spontaneo pensare che se ne potrebbe trarre agevolmente un film. Oppure, meglio
ancora, una serie a fumetti. Peccato non ci sia piu' quel grande maestro, anche lui
bolognese, che era Roberto Raviola, in arte Magnus: affidata alle sue matite e alle sue
chine, la vicenda di "Q" avrebbe potuto far faville.
Se si adotta il secondo approccio, emerge con chiarezza il collegamento
tra il romanzo e un altro volume firmato Luther Blissett: "Nemici dello Stato",
un saggio di denuncia sulla tendenza del potere, soprattutto in Italia, a creare sempre
nuovi capri espiatori per coprire le proprie vergogne.

Da questo punto di vista "Q" si presenta come una metafora
dell'eterna contesa fra autorita' costituite e spinte ribellistiche, con evidenti
allusioni all'attualita'. Non puo' sfuggire che in queste pagine gli anabattisti parlano
come gruppettari arrabbiati del '77, mentre gli eretici di Anversa si organizzano in una
sorta di comune hippy. Ne' si puo' credere casuale l'insistenza sull'invenzione della
stampa e sull'influenza dei Fugger, banchieri dell'imperatore Carlo V. Fin troppo facile
cogliervi la profezia di un'era in cui informazione e finanza non avrebbero piu'
conosciuto confini.
In un simile contesto, suggeriscono gli autori, la via dello scontro
frontale e' sempre perdente e autodistruttiva. Per combattere il potere bisogna sapergli
rivoltare contro le sue stesse armi, confidando nell'assoluta imprevedibilita' del fattore
umano, capace di inceppare anche i progetti piu' diabolici.
Trasparente lo scambio di battute tra l'io narrante di "Q" e
il mercante ebreo Miquez. "Qual e' la lezione?" domanda il primo " Ti
fottono comunque. Bisogna restare fermi, non osare mai". Ribatte l'altro:
"Esattamente il contrario: bisogna muoversi velocissimi. Piu' veloci di loro.
Confondersi tra i molti, puntare un obiettivo, blandire i nemici, e avere sempre un
bagaglio leggero".
Ne consegue che la salvezza puo' essere solo individuale, frutto
dell'ingegno e dell'audacia del singolo, ma soprattutto della sua volonta' di mantenersi
libero fra le mille traversie che gli impone il destino. "In questa vita"
dichiara ancora il protagonista "ho imparato una sola cosa: che l'inferno e il
paradiso non esistono. Ce li portiamo dietro ovunque andiamo".
Il premio finale e' la liberazione dai propri fantasmi. Se l'ossessione
iniziale era "Quello che devo fare", e' un bel sollievo concludere con
l'augurio: "Possano i giorni trascorrere senza meta".
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