Libri/La resistenza del nuotatore
Francesco Roat
Sebastiano Nata
La resistenza del nuotatore
Feltrinelli, pp.154
L.23.000
"Vengo dalla scuola Citibank, pratico zazen". Questo
l'icastico, esemplare autoritratto con cui prende l'avvio il secondo romanzo di Sebastiano
Nata, a sottolineare l'anelito frustrato, beninteso dell'io narrante verso
una improbabile conciliazione tra velleità carrieristiche nel contesto d'una attività
stressante (il protagonista, alla pari di quello del primo libro di Nata, opera in
un'agenzia internazionale di carte di credito) e il desiderio reattivo di ripiegamento in
se stesso e fuga dalla realtà attraverso la pratica di meditazioni orientali, associate a
lunghe nuotate in apnea sul fondo della piscina, per trovare rifugio in una sorta di
fantasmatico liquido amniotico al cloro.
E appunto incentrata su questa illusione pacificatrice è la parte
iniziale del romanzo, in cui viene messa a dura prova la resistenza del nuotatore
Matteo Fineschi, costretto a barcamenarsi fra i marosi di vere e proprie tempeste
emozionali: l'ambiguo affetto che lo lega alla sorella Alessandra, la dipendenza nei
confronti di un padre nevrotico e castrante, la assai poco meditativa attrazione erotica
verso la passionale bagnina Lunaria, guarda un po' somigliante come una goccia d'acqua ad
Alessandra. Ma non è facile "mantenere un atteggiamento zen" di fronte a
sentimenti e pulsioni. Così Matteo opta per le pratiche tantriche, allo scopo di
diventare quel testimone impassibile di cui parla Tilopa, che guarda alla propria vita
"come se fosse una cosa che non lo tocca".

Facilmente prevedibile il prosieguo della vicenda, segnata da uno
scacco fallimentare che blocca ogni tentativo di eludere coinvolgimenti o emozioni. Scacco
che s'accompagna al ridimensionamento di un'altra illusione, quella di poter risolvere i
problemi esistenziali grazie al salvagente del benessere finanziario. Ed è proprio
confrontandosi con la figura del padre un tempo chirurgo famoso, ridotto a larva
umana da una sindrome letale che Matteo chiude con le proiezioni e coi sogni
d'onnipotenza, mettendo fine alla sua protratta condizione adolescenziale.
Qui la narrazione vira di registro e ritmo, e dalle scanzonate pagine
all'insegna di un ilarotragico romanzo di formazione si passa ad un racconto assai più
incisivo, serrato e coinvolgente. Costretto dunque finalmente a crescere, il protagonista,
non più sempre sull'orlo di una crisi di nervi accetta di confrontarsi col padre, giusto
quando gli appare per quello che è: non già il tiranno della vita altrui, ma appena
"un vecchio malato con l'esistenza che precipita nel vuoto". E non è un caso se
allora metta incinta Lunaria: soltanto una volta recuperato il rapporto con la figura
paterna, il giovane potrà a sua volta realmente diventare padre.
Così sono le pagine finali, asciutte e scandite in brani essenziali di poche righe
ciascuno, a risultare a mio avviso le migliori. Quando la relazione col genitore ormai
irrimediabilmente malato si fa autentica, non ambendo più Matteo a conciliazioni
utopistiche o definitive. "In alcuni momenti mio padre mi vuole vicino, in altri mi
caccia" annota l'io narrante con una onestà che commuove. Non un idillio fra i due,
quindi, ma un legame contraddistinto - come quasi tutti - da momenti di prossimità e
distacco. Ed è in questa mutata prospettiva all'insegna della pietas che si chiude
un romanzo pacato e lineare, a conferma della maturità di scrittura e della maestria
fabulatoria da parte dun autore purtroppo a tuttoggi ancora troppo poco
conosciuto, quantunque tali sue doti letterarie siano già emerse pienamente
nellaltrettanto felice romanzo desordio (Il dipendente, Ediz. Theoria,
1995).
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