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Belpaese/I vizi arcaici di una nazione "mammona"

Marco Calamai sul libro di Antonio Gambino

 

In questi giorni di guerra l’Italia, ancora una volta, viene giudicata inaffidabile (not reliable, direbbero gli anglosassoni) da molti commentatori ed osservatori internazionali. Malgrado gli sforzi di Massimo D’Alema, che sta dimostrando qualitá di statista che molti non prevedevano, resta il fatto che, per settimane, autorevoli esponenti del governo, perfino ministri, hanno apertamente contestato le scelte della Nato ma guardandosi bene dal dimettersi in coerenza con le proprie posizioni, come sarebbe avvenuto in altri paesi occidentali. Ecco dunque riproporsi il tema della mentalità italiana, di una "specificità" culturale collettiva che fa dell’Italia un paese a sé , profondamente contraddittorio , moderno ed arcaico al tempo stesso, economicamente avanzato ma incapace di riconoscersi in uno Stato efficiente al quale viene preferita, il più delle volte, quella complessa rete di clientele, rapporti familiari e di gruppo, che caratterizza la società italiana ancora oggi.

Antonio Gambino, in un libro originale e denso di spunti (Inventario italiano, Einaudi 1998) tenta una spiegazione della "mentalità" italiana attraverso una griglia interpretativa (che certamente lascia perplessi dal punto di vista scientifico gli specialisti delle varie discipline come psicanalisti, antropologi, storici, sociologi) sicuramente stimolante e molto ricca di riflessioni ed annotazioni. Gli italiani, sarebbero, afferma l’autore ( che si rifa a studiosi come Bachofen, Karl Jaspers, Erich Neuman), portatori di una "mentalità materna-familiare", ovvero di una psicologia che, da secoli, ha mortificato la figura del padre ( senza la quale viene a mancare l’adesione ad una serie di valori e di norme di tipo collettivo tra i quali il concetto di autorità ) privilegiando la figura della madre la quale " guarda con sospetto tutto ciò che avviene al suo esterno ". Da qui una serie di difetti, che sono tipici del popolo italiano e che Gambino, citando osservazioni e riflessioni di grandi intellettuali di diverse epoche storiche, italiani ma anche stranieri, sintetizza dando vita, alla fine, ad una valutazione del popolo italiano molto pacata eppure profondamente pessimista . Gran parte di questi difetti – la noncuranza di fronte alla legge, il clientelismo, la mancanza dello spirito statale , la corruzione , il trasformismo e via dicendo – erano in effetti già evidenti secoli fa. Sono davvero gustose e sempre acute molte delle citazioni riportate da Gambino come quelle di Stendhal, di Goethe, di Taine, del Leopardi (tutte parlano di una Italia sorprendentemente simile a quella di oggi) così come quelle, più recenti, di Gobetti, Gramsci ed altri. Da cui si evince che il carattere degli italiani non è certo qualcosa che si è consolidato negli ultimi decenni (non serve quindi, aggiungiamo noi, dare tutta la colpa al regime fascista e alle malefatte democristiane) ma che invece affonda le sue radici nella storia più antica del paese. Davvero straordinario, a questo proposito, quanto riferisce a Goethe una nobildonna napoletana a proposito di una sua conversazione con Filangieri : " Se fate nuove leggi ci procurate nuove preoccupazioni, dovremo escogitare il modo di trasgredire anche quelle, dopo che ci siamo sbarazzati delle vecchie" . E non sembra una riflessione di oggi quella di Stendhal : "E’ incredibile come nessuno vada d’accordo con l’altro; le rivalità provinciali e cittadine sono accesissime, come pure la reciproca intolleranza; i ceti sociali non fanno altro che litigare, e tutto ciò con una passionalità così acuta e così immediata che si può dire che, da mane a sera, recitano la commedia e fanno mostra di sé "?.

Già, ma quando, come e perché gli italiani sono diventati così? A questa domanda Gambino cerca di rispondere analizzando alcune questioni di fondo. Il tema religioso, in particolare, ovvero l’importanza che ha avuto la presenza del papato e la mai realizzata riforma protestante in Italia .In questo quadro, sostiene l’autore rifacendosi all'analisi di Max Weber sulla questione cattolica, si stabilisce una sorta di legame perverso " tra la mentalità italiana e la confessione, intesa come passaggio obbligato per ottenere perdono". Perdono che bloccherebbe la crescita di una cultura rispettosa del pubblico e consoliderebbe la visione familiare-materna la quale porta al disprezzo della res pubblica. Una tesi, questa, certamente giusta e stimolante dimostrata, d’altra parte, dal fatto, evidente, che la mancanza del senso dello Stato e più in generale, i difetti sopra citati, appaiono particolarmente accentuati nelle zone d’Italia dove il papato ha esercitato una influenza non solo religiosa ma anche statale. Ma qui sorgono importanti interrogativi di fronte ai quali il libro di Gambino scivola via. Se la questione religiosa è stata così importante nella formazione di una "mentalità familiare–materna " come si spiega il fatto che in altri paesi pure cattolici ( la Spagna è un esempio da questo punto di vista emblematico) non si è sviluppata una mentalità analoga? Perché certi fenomeni calamitosi come quello mafioso si sono consolidati nel nostro paese e non in altri come ,appunto, la Spagna ? C’è da chiedersi, a questo proposito, se il confronto non andrebbe piuttosto sviluppato tra il caso italiano e la situazione di altri paesi che si affacciano al Mediterraneo centro-orientale dove semmai l’influenza religiosa è stata di tipo arabo o turco e dove i mali della mafia, del municipalismo , del localismo "tribale" e via dicendo assumono un carattere ben più grave. Qui emerge, in verità, un dato che Gambino, ci pare, tende a sottovalutare. Ovvero l’enorme differenza che esiste tra le due Italie. Da un lato una Italia che si sente parte integrante dell’ Europa centro-occidentale , dall’altro una Italia che appare incapace di compiere un salto culturale in questa stessa direzione. Se è vero che certi difetti che già notavano Stendhal e Goethe circa duecento anni fa (la ricerca del protettore, la noncuranza di fronte alle leggi, la rissosità politica...), erano e probabilmente sono tuttora visibili anche al Nord è anche vero che l’Emilia-Romagna , per citare un esempio, non si può lontanamente confrontare con la Campania o la Sicilia. Anzi, c’è da chiedersi se al contrario certe differenze non siano in realtà aumentate malgrado l’unificazione politica realizzata dallo stato sabaudio e malgrado gli sforzi che pure non sono mancati di alimentare dall’esterno il decollo delle regioni più arretrate , in particolare quelle meridionali.

Si pensi, a questo proposito, allo straordinario sviluppo imprenditoriale del Nord-Est e, viceversa, alla situazione di sostanziale stagnazione e degrado che continua a caratterizzare gran parte delle regioni del Sud . Certo, una serie di fenomeni attuali, il "teatrino" rumoroso e scomposto del confronto politico che ci viene presentato tutti i giorni da un giornalismo provinciale e chiassoso che certo non è solo meridionale ), l’inefficienza complessiva delle istituzioni statali e della burocrazia in genere ( basta pensare allo stato dei servizi pubblici e collettivi ), la frantumazione localistica e corporativa, la stessa corruzione che in Italia appare come un fenomeno ben più esteso e capillare che negli altri paesi sviluppati – non si possono spiegare soltanto, e qui Gambino tocca un punto sostanziale, come espressione della cultura meridionale. Ecco dunque un libro denso di intuizioni e di stimoli che vale la pena di leggere se non altro per prendere coscienza di quanto cammino debba tuttora percorrere il popolo italiano per diventare, davvero, parte integrante dell’Europa occidentale.

 

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