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Giancarlo Bosetti

 

Il 31 ottobre del 1517, quando Martin Lutero affiggeva alla porta della chiesa di Wittenberg un testo divenuto famoso come "le 95 tesi", nessuno, neanche l’autore, pensava che in quel momento stava cominciando una rivoluzione che avrebbe cambiato la storia del mondo. Piú tardi sia Lutero che Melantone e gli altri sarebbero diventati consapevolmente i leader della rivolta protestante, ma in quel momento il reverendo padre agiva piuttosto da intellettuale umanista, magister artium, teologo. E di una sola questione si occupava in quella unica grande e famosa pagina da cui discesero tante cose: la questione delle indulgenze. Paolo Ricca e Giorgio Tourn, teologi valdesi, spiegano in un prezioso tascabile, che si raccomanda a tutti, credenti e non, (Le 95 Tesi di Lutero, Claudiana, L.10.000) la natura di questo documento, ancora molto problematico, di ricerca, pensato e scritto in latino, dunque non per agitare le masse. Lutero era "un uomo di chiesa preoccupato di una questione spirituale ben circostanziata: la predicazione delle indulgenze fra il popolo di Germania". Quella dottrina aveva dato luogo nelle sue versioni estreme e non ortodosse alla tesi che con l’oblazione pecuniaria si poteva por fine al soggiorno in Purgatorio della singola anima destinataria del versamento. Secondo un "pasdaran" domenicano dell’epoca, alle dipendenze dell’arcivescovo di Magonza, a nome Johann Tetzel, l’anima del tuo congiunto nell’aldilà balzava fuori del Purgatorio nel preciso istante in cui il tuo obolo suonava sul fondo della cassetta. Lutero è moralmente preoccupato della degenerazione che può scaturire dal diffondersi di queste idee e pratiche ed imposta una critica delle indulgenze basata su una idea di penitenza e peccato radicalmente individualistica, attaccando il principio della "delega" o "procura".

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Si capisce che il gesto di riproporre questa vigorosa polemica è del tutto pertinente, e non senza malizia, alla vigilia del Giubileo, che per la Chiesa cattolica prevede ancora l’applicazione della dottrina e della pratica delle indulgenze per i pellegrini che si recheranno nella città di Pietro. Papa Paolo VI ci era tornato sopra con una apposita enciclica, la "Indulgentiarum doctrina" del 1967, confermando che "nell’indulgenza la Chiesa, facendo uso del suo potere di ministra della redenzione di Cristo Signore, non soltanto prega, ma con intervento autoritativo dispensa al fedele debitamente disposto il tesoro delle soddisfazioni dei santi, in ordine alla remissione delle pene temporali".

Anche se la Chiesa non ha piú sostenuto posizioni da Borsa Valori delle anime alla Tetzel, il punto di dottrina attaccato dalle tesi di Wittenberg rimane in piedi. Ricca e Tourn ci aiutano a riepilogare sapientemente gli argomenti della critica.

Il primo è che non esiste il perdono per procura: nel peccare come nel fare penitenza, nel subire il male come nel chiedere e concedere perdono si agisce in proprio: "L’equivoco maggiore è credere e far credere che sia davvero possibile il perdono di peccati commessi in passato da persone diverse da quelle che oggi lo chiedono a persone che, di quei peccati, non sono state le vittime". Dunque il Papa non può chiedere il perdono, come ha fatto nel ’97 per la strage di San Bartolomeo del 1572 o pentirsi per i peccati dell’Inquisizione. La vera penitenza ha carattere di dramma interiore e individuale e mal si combina sia con queste pratiche di perdono o penitenza collettive e d’ufficio, sia con le "metafisiche dolci" della New Age che vorrebbe conquistare l’aldilà con la stessa facilità con cui si entra in un supermercato.

Il secondo è il cuore del ragionamento di Lutero, il suo pezzo forte da teologo acuminato, quello da cui sgorga il potenziale eversivo nei confronti della Chiesa cattolica: "Il Papa non può". Che cosa non puo? Non può cambiare in nulla la tua condizione di peccatore. O meglio potrebbe soltanto in un caso, qualora ti annunciasse la grazia libera, immeritata e incondizionata di Dio, che incomprensibilmente concede la sua salvezza perchè ama i peccatori. Il Papa non può rimettere i tuoi peccati, il Papa può invece – ma come può farlo anche il piú umile dei sacerdoti – annunciarti la grazia incondizionata che viene da Dio. La grazia "condizionata", invece, quella commerciabile attraverso "opere di penitenza" e indulgenze è una illusione, una devianza, di cui non c’è traccia nel Vangeli. In altri termini il Papa non può rimettere pene che non siano quelle canoniche, cioè quelle che la Chiesa stessa ha comminato. Le pene che i peccatori scontano in Purgatorio non sono nella giurisdizione del Pontefice.

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Il perdono dei peccati passa attraverso quattro momenti: la confessione del peccato commesso da parte del peccatore; la remissione della colpa da parte di Dio sulla base di un sincero pentimento; l’imposizione di una pena da parte del confessore che dovrà essere espiata dopo la assoluzione; la riconciliazione del peccatore con la Chiesa. È chiaro allora, in questo processo secondo la visione luterana, che solo Dio può rimettere le colpe e che le indulgenze in questo non possono avere alcuna funzione. La critica di Lutero, nel suo punto essenziale, non riguarda l’aspetto commerciale per cui la Chiesa attraverso opere e atti penitenziali (dove entra la possibilità di pagare con denaro), riduce le pene da essa stessa inflitte al peccatore (digiuni e Pater-Ave-Goria), ma il punto di principio e di fatto per cui la Chiesa non metteva "in vendita" soltanto il peso delle pene ma anche il perdono di Dio. Il codice di diritto canonico prevede tuttora (Giovanni Paolo II, 1983) l’indulgenza come "remissione davanti a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi in quanto alla colpa". Se la Chiesa cattolica separa pena e colpa, i protestanti negano la legittimità di questa distinzione e ne attaccano il fondamento teologico posto dalla ortodossia cattolica nel "tesoro della Chiesa". Questo è una sorta di "fondo meriti" costituito dai meriti di Cristo e dalle eccedenze di meriti (rispetto a quelli necessari alla loro redenzione) accumulati dai santi. Il punto controverso è che la Chiesa si attribuisce in virtú della propria autorità il potere di prelevare da questo fondo meriti per beneficiare di grazia i peccatori che ottemperano a certe condizioni, per esempio recandosi a Roma nell’Anno Santo. E questo per Lutero "il Papa non può". Il libro di Ricca e Tourn è di sicuro una buona occasione perchè del Giubileo vaticano si discuta, una volta tanto, sotto il profilo spirituale e non solo sotto quello turistico e logistico. E' vero che il secondo aspetto coinvolgerà, volenti o nolenti, tutti quanti vivono o passano da Roma. Ma è pur vero che meriterebbero un quarto d’ora di riflessione, magari insieme al cardinale Ratzinger, le tesi 65 e 66 del monaco di Wittenberg: "I tesori evangelici sono reti con le quali una volta venivano pescati uomini dediti alle ricchezze. I tesori delle indulgenze sono invece reti con le quali, oggi, vengono pescate le ricchezze degli uomini".

 

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