Libri/Religione del nostro tempo
Francesco Roat
Giancarlo Gaeta
Religione del nostro tempo
Edizioni e/o, pp.158
L.15.000

"Dio è morto" annunciava Nietzsche oltre cent'anni fa,
prefigurando per gli uomini del XX secolo un panorama spirituale al cui orizzonte la
metafisica sarebbe fatalmente tramontata. Quel dio di cui il pensatore tedesco proclamava
la morte non era quindi appena quello di Abramo, Cristo o Maometto ma il simbolo di tutta
una speculazione occidentale all'insegna di valori assoluti, certezze incontrovertibili o
dati oggettivi. Nietzsche inaugurava così il tempo del disincanto e della perdita: col
venir meno di speranze metafisiche o fondamenti su cui illusoriamente ancorare una
filosofia dogmatica e saccente.
Ed è in questa presa di coscienza del limite ineludibile del logos e
della relatività di qualunque teorizzazione asseverativa, in questo declinare della
fiducia nei grandi sistemi (filosofici o religiosi che siano), in questa
consapevolezza della nostra finitudine - ormai impossibile da esorcizzare attraverso la
supponenza della ragione - che si inscrive l'inquietudine moderna che attraversa tutto il
novecento. Eppure la tensione verso la pienezza e la ricerca di un senso all'interno di
una vita destinata a finire nella morte non sono mai venute meno del tutto, pure se - come
ribadisce Giancarlo Gaeta nella suo saggio sulla religiosità odierna - siamo costretti a
percepirci per quanto siamo: "un niente che vuole disperatamente essere". Cosa
rimane allora, se non accettare proprio tale anelito disperante, figlio della nostra
fragilità e amare "l'impotenza del mondo, la sua crocifissione ai quattro punti
cardinali"?
Questo l'interrogativo, la riflessione che apre Religione del nostro
tempo. Una domanda e una tematica intorno a cui oggi non è più possibile dibattere
utilizzando risposte dottrinali o prodotte all'interno di questo o quel paradigma
religioso. E' pertanto da accogliere senz'altro il suggerimento di Gaeta, quando sostiene
che in tale ambito una risposta autentica può nascere solamente dall'accettazione della
perdita. Perdita e dunque morte del vecchio dio onnipotente, garante del bene e
soprattutto presente. Non a caso è l'assenza di dio il fil rouge che
attraversa questo libro, in gran parte dedicato ad analizzare il pensiero di autori come
Dietrich Bonhoeffer, Simone Weil, Walter Benjamin ed Etty Hillesum, chiamati qui testimoni
della catastrofe non solo per avere essi tragicamente attraversato gli eventi maggiormente
luttuosi della prima metà del secolo, ma piuttosto per un comune atteggiamento nei
confronti della religiosità o, forse ancor meglio, della confessionalità. Questi
intellettuali, infatti, ci ricorda Gaeta, hanno preso netta distanza dalle religioni
storiche, considerandole inadeguate "dinnanzi alle mutazioni in atto, che poi tutte
si ricapitolano nella sperimentazione di un modello culturale implicante l'inesistenza del
male".
E già Bonhoeffer ci porta dritto al cuore della modernità, con la
considerazione che bisogna ormai far fronte alla vita senza dio. In quest'ottica la croce
rivela il declinare dell'ipotesi dio a garanzia dell'etica o a fondamento della
riflessione filosofico-religiosa, e insieme l'indebolimento della divinità (lo stesso
farsi uomo di dio, nella persona del Cristo, indicava questa prospettiva) quale simbolo
dell'umano statuto esistenziale, giacché per Bonhoeffer ciò che conta è testimoniare,
praticare in concreto gli insegnamenti di Gesù. Parimenti, al Signore dell'universo della
concezione ebraico-cristiana Simone Weil giustappone un dio "impotente ad agire nel
mondo". Anche per Etty Hillesum questione essenziale è non già attendersi salvezza
da dio - e come si potrebbe sperarlo di fronte ad Auschwitz? - bensì salvare quel dio che
giace al fondo della nostra anima ("Mio Dio cercherò di aiutarti affinché tu non
venga distrutto dentro di me... Tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere
fino all'ultimo la tua casa in noi").
Ma è forse Benjamin a cogliere in anticipo sui tempi la disfatta della
religiosità tradizionale, cogliendo nel capitalismo trionfante una nuova forma religiosa
senza teologia né fede ma fondata sull'idolatria dell'utile. Un capitalismo sviluppatosi
in modo parassitario sopra il cristianesimo, venendo a sostituire gradualmente al potere
religioso quello economico e togliendo alla fede nel trascendente quella terrena nel
possesso, in cui ben pochi non si riconoscono.
Per quanto concerne poi la Chiesa - sottolinea Gaeta -, durante gli
ultimi tre secoli essa ha creduto ingenuamente che, cercando di opporsi a razionalismo
prima, a marxismo e liberalismo poi, bastasse a riconfermarla nell'antica egemonia.
Risultato: cadute le ideologie, anche il cristianesimo è divenuto ininfluente o peggio
molti sedicenti cristiani si proclamano tali solo in ossequio a consuetudini o retaggi
comportamentali ereditati passivamente. Ma oggi, conclude il testo, un dato è comunque
acquisito dalla coscienza religiosa: per riconoscersi nel messaggio di Gesù "non è
più necessario sentirsi in sintonia con il modo in cui la fede cristiana è interpretata
dal potere ecclesiastico".
Così la fede alle soglie del terzo millennio sembra preferire
declinarsi non secondo dogmi o dettami dottrinali ma risolversi nella prassi di una
com-passione che renda partecipi al dolore comune. E la religione divenire legame che
affratella favorendo solidarietà, empatia e con-divisione. Forse solo in questo senso dio
non è morto, o almeno non è morto invano.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il
vostro punto di vista cliccando qui
Archivio libri
|