Libri/La scrittura secondo Luis Sepulveda
Paolo Marcesini
L'autore cileno si auto-racconta per capitoletti, spiegando che senso
ha, per lui, scrivere
Storia di una "calda" professoressa di storia che, suo
malgrado, mi ha iniziato alla scrittura.
"Da subito ho capito che la scrittura era la mia vita,
lunico lavoro capace di divertirmi veramente, volevo guadagnare scrivendo e scrivere
era lunica cosa che mi dava piacere. Iniziai molto presto, a quindici anni, e lo
feci a causa di una forte passione, per così dire, sessuale. Mi spiego: allIstituto
Nacional di Santiago, dove studiavo, eravamo tutti innamorati della nostra professoressa
di storia, una donna bellissima, dotata di una forte carica erotica. Lei sapeva di piacere
e noi non facevano nulla per nasconderlo. Le sbavavamo dietro. Ad un certo punto, non so
perché, infilai un foglio di carta nella mia macchina di scrivere e inventai una vera
avventura porno, erano le "Calde avventure di una professoressa di storia". Quel
racconto fece il giro di tutta la scuola e finì nelle mani del preside. Mi chiamò in
direzione e, con mia grande sorpresa, mi disse: "Visto che sai scrivere così bene,
dora in poi collaborerai con la rivista letteraria della scuola". A diciassette
anni iniziai a scrivere per un quotidiano, accompagnavo la polizia, descrivevo con
duecentocinquanta parole un omicidi, raccontavo i morti. Al giornale dicevano che i miei
pezzi erano troppo letterari. Da loro imparai molto. Volevo raccontare storie e iniziai a
farlo alla radio, laltra mia grande scuola. Nel 1970, avevo poco più di 20anni,
vinsi il premio "Casa de las Americas" con il mio primo libro di racconti. Da
quel giorno la scrittura fu la mia unica fonte di sostentamento".

Le cave di marmo, lumiliazione e il ruolo della letteratura
Il mio amico Paco Ignacio Taibo II sostiene che la letteratura è un
altro modo di fare politica, ha ragione. Sono uno scrittore impegnato, definisco i miei
libri "romanzi militanti di salvaguardia della memoria storica", rivendico con
orgoglio la mia appartenenza ideologica, senza retorica mi definisco un difensore della
vita, delletica, della morale.. Non sopporto lumiliazione, anche se, molto
laicamente, riconosco che appartiene alla natura umana. Esiste, ma dobbiamo combatterla.
Recentemente ho scoperto, con mia grande sorpresa e delusione, che anche larte
riesce, attraverso il lavoro, a generare umiliazione. Sono andato a visitare le cave di
marmo bianco di Carrara, il marmo più amato dagli scultori di tutto il mondo. Ho guardato
il lavoro massacrante dei cavatori, ho visto come si spezzano la schiena, come rischiano
la vita. Poi sono andato a vedere i laboratori dove il marmo viene inciso, tagliato, dove
la materia prende la forma suggerita dallartista, e lì ho visto il volto segnato
degli artigiani, costretti a mangiare polvere tutto il giorno.
Cosa è giusto, cosa è ingiusto. Pensando ai maestri...
Ho capito che senza il loro intervento nulla sarebbe possibile, che se
loro sono bravi allora migliore sarà anche il risultato dellopera darte. Poi
ho pensato alla gloria, che invece appartiene solo allartista e mi sono detto:
"Questa è una palese ingiustizia". Larte, almeno lei, non dovrebbe
umiliare il lavoro di chi contribuisce con la propria fatica a renderla viva. Cortazar
sosteneva che è indispensabile comprendere il senso della nostra condizione di uomini e
il senso della nostra condizione di artisti. Luomo può commettere degli errori,
larte non può permettersi di mentire o, peggio, di umiliare. Altrimenti, molto
semplicemente, non è arte. Pensate ai maestri, a Conrad, Gabriel Garcia Marquez, Verne, a
Stevenson, Hemingway, Melville, Dos Passos, a Emilio Salgari, a quella pila di libri
disposti uno sopra laltro sullaltare della letteratura. Se in quelle pagine
non ci fosse rispetto e verità, allora... Ho deciso di prendere carta e penna e di
iniziare a raccontare una storia, sarà il mio prossimo romanzo".

Del mestiere di scrivere. Ovunque ci sia una presa per il computer,
anche in aeroporto
"Spesso mi viene chiesto di raccontare come funziona la mia
officina letteraria, in che modo scrivo, quando lo faccio, se esiste unora
particolare della giornata nella quale sono maggiormente ispirato. Deludo spesso i miei
interlocutori perché non ho abitudini particolari. Lho già detto, scrivere è la
mia vita, la mia unica vera grande passione. Quindi scrivo sempre, scrivo ovunque e lo
faccio con il computer, mi serve perché lavoro sempre a più storie contemporaneamente.
E come se nella mia mente esistessero files diversi, ne chiudo uno, ne apro subito
un altro. Le storie sono tutte lì, aspettano di andare avanti, di trovare finalmente la
parole fine. E tu non puoi sapere quando la fine di una storia arriverà, magari sei su un
treno, in aeroporto, lontano dal tuo paese oppure a casa di amici. E devi sempre essere
pronto.
Aspettando la fine di una storia. In compagnia di Hemingway
Perché le storie se possono, scappano via. Allora chiudo quel file e
lo lascio in archivio, per molti mesi. Poi lo riapro e inizio il lavoro faticoso, correggo
e ricorreggo, cerco una forma estetica che mi soddisfi, la definitività. Dicono che
scrivo in maniera troppo semplice, è vero, ma considero la semplicità un valore. Odio le
civetterie intellettuali, lerudizione fine a se stessa. Ho sempre presente la
lezione di Hemingway che diceva: " Si possono scrivere ottime storie con parole da 25
dollari, ma la cosa davvero lodevole è raccontare quelle storie con parole da 20
centesimi". Anche questo è democrazia".
Limpegno, la realtà, la militanza...
"Su una cosa non transigo: devo stare attento alla realtà che
racconto, ho il dovere di farlo. So di avere molti lettori, di avere delle responsabilità
verso di loro. Nella letteratura cè posto per tutto, per il talento, per la
creatività, per la stupidità, per lumorismo. Di una sola cosa non cè posto:
per la finta innocenza di coloro che si rifiutano di vedere il mondo così comè.
Non capisco gli scrittori chi si rifugiano nel romanzo storico o nella fantascienza. Ogni
scrittore, soprattutto del nostro tempo, deve misurarsi con la realtà che lo circonda.
Non può farne a meno, se non lo fa sbaglia. Gabriel Garzia Marquez e Borges avevano
bisogno della metafora, del sogno, della favola, del realismo magico. Oggi la metafora ha
esaurito il proprio compito, le fonti del narrare le trovi nella strada, nella vita, nella
politica, non cè bisogno di alcun artificio letterario. E come se la
scrittura si fosse liberata dal regime. O almeno così è successo nellAmerica
Latina, il mio continente. Tutti noi oggi abbiamo bisogno di capire il nostro tempo,
essere contemporanei, dialogare con personaggi che incontriamo per strada, l'uomo in carne
e ossa.
Vi dico cosa serve a un bravo scrittore
La mia poetica? A un bravo scrittore servono delle scorciatoie, e una
scorciatoia possibile è la marginalità, una scelta che può essere gloriosa, eroica,
generare soddisfazione e dolore al tempo stesso, ma che coincide con la sensazione
straordinaria di essere vivi, coscienti, militanti. Personalmente ho un atteggiamento
rigorosamente etico nei confronti della vita e rigorosamente estetico nei confronti
dellarte e della letteratura. Cerco di combinare le due cose insieme, questo è il
mio impegno. Scrivo, e dietro il mio narrare ci metto le idee, le inquietudini, le
tensioni sociali. E scrivendo scopro che le mie idee sono condivise dalla stragrande
maggioranza dei lettori che oltre alla fiction vuole riconoscersi in una forma di impegno,
di militanza e di percezione della realtà lontana dalla mistificazione. E il
sentire comune della letteratura, una cosa meravigliosa, capace di unire destini diversi
in tutto il mondo.
Cari non lettori che giocate a calcio
Conosco un ragazzo, mi dice che non ha mai letto un libro in vita sua,
che leggere in fondo è una cosa da vecchi, inutile, che le ragazze preferiscono quelli
che giocano bene a pallone. Penso che in fondo quello è un ragazzo fortunato perché
quando capirà limportanza della letteratura di fronte a sé avrà ancora centinaia
di libri da leggere, centinaia di storie scritte sulla carta dove perdersi, provando la
forza vera dellamore, del sesso, della paura, del confronto con la propria
coscienza. E ogni giorno farà una scoperta nuova Lo confesso, un po lo invidio,
perché in più saprà anche giocare a pallone. Già, il calcio. Ho perso un amico,
Osvaldo Soriano un uomo che più di ogni altro aveva capito la metafora esistente tra
gioco, vita e politica. E impossibile che non sia più con noi, dal giorno in cui è
morto non posso più vedere una partita senza piangere".
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