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Libri/L'enigmatica Russia del '900


Giancarlo Bosetti

 

Arrigo Levi
Russia del '900. Una storia europea.
Corbaccio editore
pp.442. L.32.000

 

Churchill, grandissimo battutista, aveva capito che la storia russa "è un indovinello avvolto in un mistero all'interno di un enigma", dunque affascinante per gli storici e i loro lettori, tuttavia spesso chi si occupa di Russia è spinto a squadernare la sua ideologia, è magari costretto a regolare i conti con il proprio passato, oppure appartiene a una scuola storica "schierata". E allora al fascino del mistero e degli indovinelli si sostituisce la noia delle tesi precotte. Arrigo Levi ha il merito, in questa sua "Russia del '900", di riprendere in mano i taccuini del suo mestiere (giornalista, studioso, documentarista di eccezione per le dieci puntate Rai 1 di Gli archivi del Cremlino) con una freschezza mentale (non ha conti da regolare) ed una rinnovata curiosità per gli enigmi ancora aperti che conquistano alla lettura e vi tengono sulla pagina dal principio alla fine. L'indovinello del comunismo russo non finisce di stupire. Per dirne una: che l'ultimo saggio di Solgenitsin sul suo paese, a quasi dieci anni dalla fine del regime, si intitoli "La Russia in rovina", è un fatto che darà filo da torcere agli storici a venire: dovranno spiegare le ragioni del lamento di uno degli uomini che di più ha contribuito ad abbattere il sistema politico sorto dalla rivoluzione del 1917.

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Il libro di Levi, nonostante le dimensioni, non è una nuova monumentale storia del comunismo sovietico, è un'opera che nasce dal dialogo della propria personale visione con alcune altre visioni "soggettive" del comunismo: prima di tutto quella di Gorbacev, che ha fornito all'autore una vastissima testimonianza, poi quella delle immagini "segrete" che rivelano aspetti della storia che stridevano con i tabù del regime (l'armata rossa che sfila insieme all'esercito hitleriano a Brest dopo la resa della Polonia nel 1939, o certi "dietro le quinte" che raccontano la macchina propagandistica di Stalin), e ancora diversi altri protagonisti dell'Est e dell'Ovest (compreso Reagan) che Levi ha incontrato durante la sua militanza professionale. E al dialogo con la prospettiva dei protagonisti si aggiunge quello con gli storici, soprattutto con François Furet, con il Libro nero di Werth e Courtois, con Vittorio Strada e Giuseppe Boffa, con Leszek Kolakowsky.

All'indovinello di Churchill si è aggiunto quello, complicato, del modo della fine del regime comunista: la pacifica dissoluzione di un potere che sembrava congelato in una vecchiaia senza fine. E quello di Gorbacev, in proposito, è un punto di vista non senza influenza: suo nonno paterno fu torturato e condannato a morte sotto il Terrore staliniano, ma anche la famiglia di Raissa subì le persecuzioni. Eppure alla morte del dittatore il giovane Michail passa la notte in coda per rendere omaggio alla salma. Con lui il compagno di studi cecoslovacco Mlynar, che sarà poi tra i protagonisti della Primavera di Praga. Contraddizioni? "Bisogna aver vissuto quella vita per capirla", commenta Gorbacev, alla ricerca dei molti fili che lo porteranno a guidare un processo riformatore oltre i limiti del possibile, sempre sulla soglia di una catastrofe, di una perestroika che rischiava di precipitare in catastroika. Eppure Gorbacev non ebbe timori di varcare quel confine quando nel marzo del 1988 annunciò formalmente la fine della dottrina brezneviana della sovranità limitata. Era il varco che avrebbe reso possibile il passaggio dei tedeschi dell'Est ad Ovest attraverso l'Ungheria e poi la caduta pacifica del muro di Berlino. I capi del Patto di Varsavia non ci credettero, confessa Gorbacev, "ma noi non cambiammo mai rotta", forse anche perchè il segretario del Pcus era semplicemente un uomo "normale" fin da quando aveva visitato nel 1969 Praga e non aveva faticato a capire che lì l'armata rossa non stava lottando contro l'imperialismo, ma semplicemente impedendo ad un popolo di darsi un regime democratico.

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Il più ardito degli enigmi rimane quello se il sistema comunista fosse riformabile. Arrigo Levi ricorda che ancora nel settembre del 1989 a un convegno sul futuro dell'Urss furono avanzati quattro scenari: il primo era quello di una pacifica, graduale ma radicale riforma del potere sovietico, il secondo quello di una frenata da parte di Gorbacev per evitare un'esplosione, il terzo prevedeva la sua sostituzione da parte di brezneviani, il quarto una guerra civile con sbocco in un fascismo rosso militar-tradizionalista. Quello che è accaduto è, in fin dei conti, secondo Levi, un quinto scenario -una rivoluzione senza violenza che ha abbattuto l'impero -ed è il meglio che i russi potessero sperare. Anche se sullo sfondo rimane l'ipotesi, solo virtuale ma non insignificante, che le riforme impossibili negli anni Ottanta sarebbero state realizzabili ancora negli anni Sessanta quando invece il progetto riformista si inceppò e svanì con la rimozione di Kruscev.

 

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