Libri/Maledetta gioventù
Lidia Ravera intervistata da Nicoletta
Perfetti.
Il quattordicesimo libro di Lidia Ravera, scrittrice, giornalista, e
sceneggiatrice, nasce come i precedenti da un'esigenza ben precisa: "sputare un
rospo". "In maledetta gioventù" , edito da Mondadori, il ranocchio da
sputare è il senso di inadeguatezza nei confronti del trascorrere inesorabile del tempo ,
l'incapacità di licenziare la gioventù e di vivere serenamente la maturità. Lo fa con
le parole di un personaggio maschile, Carlo, a pagina 174: "La nostra generazione non
vuole licenziare l'onnipotenza, la gioia di stare al centro della scena, l'idiozia, se
proprio vogliamo, di sedurre, darsi traguardi, progettare nuovi inizi. Non sappiamo
rassegnarci a declinare un tantino, a marciare sul posto, ad apprezzare ciò che abbiamo,
a godere i frutti di quel che è stato fatto, costruito, strappato al nulla Il passato ci
appare sempre migliore del presente, e l'assottigliarsi del futuro è una piaga aperta,
qualcosa che ci lascia esterefatti". Lui , Carlo, professore universitario, è il
marito di Linda, scultrice. Vivono a Roma. Hanno due figli, Tilde, poco più che bambina,
e Tommy nel pieno dell'adolescenza. All'indomani dalla partenza per L'India, occasione per
festeggiare il ventesimo anno di matrimonio , la protagonista del romanzo scopre un
biglietto di Mimì, giovane e bella studentessa, che allude ad una relazione amorosa con
il marito. Linda parte lo stesso. E da sola comincia il viaggio. Due i ritmi di
"Maledetta gioventù": quello lento ed attonito degli incontri e degli itinerari
indiani, della fuga svaporata di Linda, da una parte, e quello convulso , accellerato,
comico nella drammaticità, delle relazioni romane. Le storie intrecciate sono scandite
dalla condizione di turista, viaggiatore e pellegrino, metafore di un'ideale ascesi, ma
ancor più delle tre tappe della vita.
Lidia Ravera, come e perché è nato questo romanzo?
Come i miei precedenti, dall'esigenza di sputare un rospo. Ma
,soprattutto dalla noia nei confronti dei rapporti occidentali. Quella noia che ti assale
quando vai sempre a cena in due, in quattro, in sei e non si parla di niente perché non
si sa mai come la pensa veramente l'altro, e bisogna stare attenti. Una noia che ha fatto
da propulsore. Passati i quaranta, sentivo l'attaccamento alla vita come un tarlo.
Proviamo ad andare oltre, mi son detta, ma senza aspettarmi molto. L'India mi ha riempito
di suggestioni, ma non c'è nulla di new-age nel libro. Un viaggio per staccarsi dalla
vita, per provare a dimagrire l'ego, impresa difficilissima per noi occidentali. E' il
grido di una donna che ha sentito il bisogno di sciaquarsi l'anima nel Gange per
allontanarsi dal teatrino della giovinezza. Se continuo così per il 2001, che mi ricorda
tanto "Odissea nello Spazio", ma anche il mio cinquantesimo compleanno, sarò
dimagritissima.
Perché è "maledetta " la gioventù ?
Innanzitutto perché quando si è giovani si è terribilmente fragili,
e smettiamo di credere che essa sia il momento d'oro della vita. Maledetta particolarmente
per chi, come me, appartiene alla generazione del '68 , la generazione che l' ha
"praticamente" inventata e anche quando è finita non riesce a licenziarla.
Così vediamo sessantottini che continuano a scimmiottare i figli, a fare i ragazzi
eterni, sono patetici e noiosi, ed anche un po' frustrati. Il fatto è che noi tollerriamo
sempre meno l'invecchiamento , nonostante la vita media si sia incredibilmente allungata .
Il risultato? Tutti malati di mimetismo, lifttismo e depressione. E per le donne è ancor
più difficile saper invecchiare. La gioventù non è un valore. Sono i valori che
transitano durante la vita. Impariamo a vivere una serena maturità.
Dicesi turista:"E' giovane, o pretende di esserlo. Segue un
percorso stabilito in un tempo stabilito. Sfiora luoghi anche lontani con l'ambizione di
catalogarli. Preda del demone del paragone con ciò che gli è familiare traduce tutto,
cerca corrispondenze, riporta instancabile alla sua moneta. La sua vacanza non è mai
vuota. E' un traditore dell'etimologia. Ritorna a casa senza essere mai davvero
partito."
Sì. Il giovane è egocentrico, riporta tutto a sé stesso è ansioso,
spesso trasgressivo ad ogni costo. Sono tornata a San Francisco qualche anno fa. C'ero
già stata a vent'anni ma non avevo visto la città, ero troppo presa da me stessa.
Dicesi viaggiatore:" Non è giovane né vecchio. Non parte per
premiarsi né consolarsi. Non ha altro bagaglio che la propria efficace stanchezza. Ad
animarlo è un progetto confuso ed ambizioso:scontornarsi, fondersi col paesaggio,
ricevere senza dare, farsi occhio. Non ha soldi e non è povero. Ha tempo perché è il
tempo, allinea una serie di attimi e gioca a prolungarne l'effetto. Non ha futuro perché
non pensa di dover tornare. Non ha passato perché partire, per chi non pensa di dover
tornare, è un'interruzione definitiva. Poiché è in grado di accogliere persone ed
eventi, è soggetto ad incontri."
Linda è il viaggiatore. La bella maturità, quella per noi occidentali
così difficile da accettare . Cosa faccio io per provare a vivere serenamente questa fase
della vita? Mi scrivo i libri addosso. Scrivo perché non posso farne a meno. Anche lo
scrivere deriva dall'insopportazione alla mortalità, dal sapere del limite del tempo.
Questo libro mi ha tenuto compagnia per un anno. Mi è servito frantumarmi nei personaggi
perché ho esercitato la comprensione, il capire le ragioni degli altri :tutti hanno un
motivo per odiare la gioventù. I miei figli dicono che finchè scriverò di certe cose,
tornerò sempre a casa.
Ed infine il pellegrino:"E' un vecchio, è una vecchia. Anche se,
in casi non comuni, può essere ancora abbastanza giovane. In un momento dato della sua
vita, senza un fine preciso, decide di abbandonare tutto e tutti , per raggiungere una
meta spesso lontanissima, intravista come per miraggio, resa mitica per arte o credenza
religiosa, e per questo fuori dal tempo e dai legami dello spazio consueto. E' colui che
rinuncia, se segue la via del perfezionamento. Nudo, e accuratamente povero, viaggia da
straniero ovunque vada.
già..la bella vecchiaia
.
Lei da moltissimi anni scrive libri, articoli, sceneggiature. Ha ancora
senso, dopo la rivoluzione femminista, parlare di letteratura al femminile o non significa
forse volerla ghettizzare?
Non esiste la letteratura femminile, esistono le femmine. La scrittura
è sessuata, perché lo scrittore o la scrittrice ci rovesciano anche il corpo. Le brave
scrittrici sono sessuate e in questo senso mi fanno ridire i dibattiti sul neutro. Le
donne hanno sempre scritto , più degli uomini, per predisposizione naturale, ma non
pubblicavano. Alla fine anche gli editori si sono accorti che le donne, oltre che
scrivere, leggono molto di più degli uomini. Io stessa sono contesissima e sto preparando
un saggio su come "Invecchiare bene".
Qualcuno sussurra che il romanzo è morto
.
Il romanzo non è Ottocento. E' concerto, flusso di coscienza,
frantumazione di temi, accadimenti , percorsi narrativi. Non so se è morto, per me è
istinto. Non potrei fare a meno di scrivere romanzi, come non posso fare a meno di
leggere. E "Maledetta Gioventù", ci tengo a dirlo, è proprio un romanzo, per
numero di personaggi, intrecci, numero di pagine e taglio della scrittura.
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