Libri/La grammatica amorosa di David
Grossmann
Antonella Fiori
In amore cè un assoluto inconfessabile, che si muove sotto la
pelle delle parole, dietro il quotidiano pronunciamento, un non detto che si insinua in
ogni conversazione di cui la letteratura, da sempre, raccontando storie di incomprensioni
e conflitti, tenta di appropriarsi. La scrittura novecentesca che ha imboccato fino in
fondo la strada del mostrare, raccontando il progressivo dipanarsi di inconsci individuali
"collettivizzati", nel dare una definizione del rapporto damore, e quindi
di un altro da Sé, si è trovata di fronte a un impasse, a un ostacolo causato dal
costante riferimento ai singoli Io.
Tra gli intellettuali che non si sono arresi allineluttabilità
del proprio "lamento", e si sono confrontati direttamente con il nucleo centrale
della propria storia, con tutta intera la loro vicenda umana, lo scrittore ebreo David
Grossman che, riconosciuto questo occultamento, questa scissione tra corpo e spirito, si
è tuffato nella vita, confrontandosi con le domande centrali del suo tempo, a partire
dalla questione palestinese nei libri inchiesta "Il vento Giallo" e "Il
popolo invisibile". Mosso da questa premessa, Grossman si è spinto poi oltre il
libro reportage, per passare dallinchiesta sul campo a quella interiore regalandoci
alcuni dei romanzi più interessanti della letteratura occidentale degli ultimi decenni da
"Vedi alla voce amore" del 1988 fino a "Il libro della grammatica
interiore" (1992).

Il tema dellolocausto dellanima, delle Auschwitz dei nostri
cuori, accompagna anche il suo ultimo libro "Che tu sia per me il coltello"
(Mondadori, p.330. lire 30.000, traduzione di Alessandra Shomroni), punto di arrivo della
sua analisi sulla "grammatica amorosa". Il coltello che divide i due
protagonisti, Yair e Myriam vorrebbe essere infatti quanto di meno metaforico esiste.
"Quando la parola si farà corpo e il corpo aprirà la bocca e pronuncerà la parola
che lha creato abbraccerò questo corpo e lo adagerò al mio fianco".
Lincipit, dalla "Quinta lezione di ebraico" di Hezi Leskli ci riconduce al
tema della parola come vita, incarnazione ma anche sopravvivenza nellaffabulazione
nel racconto, come accade nelle Mille e una notte tra Sherazade e il sultano
E anche
alla guarigione catartica, al passaggio, dolorosissimo dalla parola al corpo, smascherando
le infinite seduzioni del "Verbo".
Così accade a Yair che ha incontrato Myriam al raduno del liceo e ha
iniziato a scriverle animato da una forte passione: "Myriam, tu non mi conosci e
quando ti scrivo sembra anche a me di non conoscerti
non spaventarti non voglio
incontrarti e interferire nella tua vita. Vorrei piuttosto che tu accettassi di ricevere
della lettere da me. Insomma, vorrei poterti raccontare di me (ogni tanto)
scrivendo".
Grossman, sceglie la forma del monologo amoroso rifacendosi al più
classico dei libri novecenteschi sullamore epistolare: "Le lettere a
Milena" di Franz Kafka "cosa darei non darei per leggere le lettere
perdute di Milena a Kafka. Per vedere cosa gli disse esattamente, con quale parole gli
rispose quando lui le scrisse: "Amore è il fatto che tu sei per me il coltello con
cui frugo dentro me stesso" - dove però la finzione narrativa prevale e sopravanza
la forma del diario autobiografico che lì vedeva in campo solo la voce di Kafka.

Il racconto si snoda quindi prima attraverso le lettere prima di Yair e
poi di Myriam , - Yair non pretende risposte ma se Myriam vorrà potrà fargli sapere che
legge le sue lettere - per ricongiungersi in un dialogo finale rinfrescato dalla pioggia
primaverile sul deserto
I due sconosciuti che si incontrano e decidono di avere un rapporto
solo epistolare, si infiammano progressivamente di una parola a cui Grossman vuol
restituire il potere sacro di dar vita al mondo, la parola come respiro del corpo e
respiro tra due corpi. "Quando ti ho incontrato laggiù mi sono subito sentita
riempire da te scriverà verso la fine Myriam - . Il mio corpo e la mia anima ti
hanno parlato direttamente, oltre le tue parole, che non sempre amavo. Perché laggiù tu
mi ecciti veramente, mi stimoli, mi infiammi e mi fai male". E questo
"innominabile", il non detto della diaspora e del conflitto a condurre lo
scrittore a un punto di vista estremo, come se si trovasse direttamente sulla lama di un
coltello affilatissimo. Con questo romanzo, punto finale della trilogia iniziata con il
mondo in frantumi di "Vedi alla voce amore", il discorso di Grossman
sullamore si completa. La distorsione allinterno del rapporto è in realtà
causata da una lotta e da una profonda ferita. Luomo ha paura del rapporto e nello
stesso tempo un disperato bisogno di amore.
Yair che vuol guarire la propria ferita attraverso Myriam, ricreando
con lei un rapporto tra sé e laltro, tra anima e corpo, condurrà fino in fondo,
fino allultima lettera il suo gioco, prima di dichiarare la sua impotenza e di far
irrompere la realtà, tutta dun fiato. "Vuoi che ti parli del mio lavoro?
Perché no? In ogni caso ci siamo già arresi allaccozzaglia quotidiana. Vuoi sapere
che cosa regalo ai miei dipendenti per le feste?". Grossman non riesce ad
avvicinarsi, nella voce del suo protagonista, al cielo dellamore che invece è
luniverso in cui si muove Myriam, il cui nome in ebraico ricorda la parola acqua,
attesa come purificatrice per tutto il tempo del romanzo. "La grande paura e la
grande voglia degli individui è quella di consegnare se stessi, interamente, ad un'unica
persona. Gli uomini, che Yair rappresenta come universale, si muovono lentamente, molto
più lentamente rispetto alla donne" dice lo scrittore. Salvato dalle sue fantasie
dalla donna che ha il compito di aiutarlo a scoprire attraverso il rapporto, il suo vero
linguaggio, il protagonista alla fine sarà raggiunto da Myriam alla quale lo scrittore
lascia le ultime amorevoli parole, dando alluomo una chance. Quello che succede dopo
non è dato sapere, come del resto non sappiamo che cosa rispose Milena a Kafka.
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