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Libri/ Il suicidio, "tentazione estrema”

Antonella Fiori

 

 

La grande tentazione, il gran salto, l’ultima fuga… Il suicidio giovanile, nell’Europa Occidentale, è la seconda causa principale di morte tra gli adolescenti, la prima tra i giovani tra i 25 e i 34 anni. Dati statistici, che non tengono conto, in realtà, dei suicidi mascherati da incidenti stradali o domestici, che farebbero salire le cifre di almeno un 20%. Una vera propria emergenza con alcuni episodi limite, come quello avvenuto in Francia, dove, un anno fa due ragazzine di 13 e 14 anni hanno cercato la morte alla stessa maniera di Kurt Cobain, il cantante dei Nirvana, lasciando accanto a loro un indicazione molto precisa sul senso del loro gesto…
Xavier Pommereau, psichiatra, ha dedicato tutta la sua vita al recupero dei giovani a rischio. Pommereau spiega il passaggio dalla prima linea, la prima accoglienza, in un Pronto Soccorso di Bordeaux, alla creazione, nel novembre ’92, di un centro diventato famoso in tutta la Francia per il recupero dei ragazzi che hanno tentato il suicidio. "Il day hospital, non bastava. Ci voleva una struttura che li aiutasse a ricollocarsi, rispetto alla famiglia e al mondo che li circondava". Così è nato il centro Abadie di Bordeaux, dove ogni anno vengono accolti 400 adolescenti (un’esperienza confluita in un libro "La tentazione estrema. Gli adolescenti e il suicidio" appena uscito da Pratiche) dove troviamo anche molte testimonianze della sofferenza dei ragazzi che si sentono quasi "costretti a morire". "La morte mi spia a ogni angolo di strada – scrive una giovane -. Ho una strana voglia di gettarmi tra le sue fauci per placare la sua fame. La morte non ha alcuna importanza ai miei occhi. Non può essere peggiore della mia vita".

 

Pommereau, da dove parte la crisi, la fragilità dei giovani d’oggi?

"Parte da lontano, dagli anni Settanta. Allora, infatti con l’annullamento delle differenze, tra uomo e donna, tra giovani e adulti, c’è stata anche una cancellazione dell’identità. I giovani, però, per diventare adulti responsabili, devono sentirsi diversi da mamma e papà. E invece i loro attuali genitori, si rifiutano di invecchiare, si comportano come adolescenti, talvolta li accompagnano nello sballo, tollerando, tra l’altro, l’uso della marijuana. Non sanno che anche l’uso quotidiano della cannabis crea dipendenza e alla fine, alleviando l’angoscia, conduce a una visione fatalistica della vita. Da questo punto di vista, al contrario devono stare in guarda: quando un ragazzo cerca lo sballo quotidiano è già su una strada di non ritorno. C’è una dipendenza psicologica che diventa difficilissimo spezzare".

 

I ragazzi che lei ha in cura al centro Abadie sono quelli della generazione "Grand-bleu", come il protagonista del film culto di Luc Besson, (mai uscito in Italia) che alla fine si suicidava attirato dal richiamo degli abissi…"

"Il salto nel Grand Bleu, per un adolescente è l’ultima fuga da una realtà intollerabile. Si tratta di ragazzi che sempre di più, sempre più giovani, per avere un po’ di pace sono disposti a spiccare il volo da una finestra, a gettarsi a cento all’ora contro un camion, a puntarsi un’arma alla tempia. Nel mio centro sono passati molti giovani con una pallottola nella testa. Non ci possono essere dubbi sulla serietà del loro tentativo".

 

Nel libro si racconta di ragazzi che tentano il suicidio molte volte prima di riuscirci. Che senso ha la ripetizione?

"Tutti i ragazzi che hanno tentato il suicidio sono coscienti solo in parte di quello che hanno fatto. E’ come la punta dell’iceberg, in realtà nove decimi della montagna di ghiaccio sono sott’acqua, invisibili. La dinamica del suicidio è molto complessa . In un certo senso può essere considerata una vera e propria forma di tossicodipendenza. Come nel caso della bulimia, dove chi ha gli attacchi si avventa sul cibo ogni quattro, cinque giorni, così il ragazzo "si abbuffa", rinnovando, in vario modo, l’atto suicida".

 

Brutti voti a scuola, delusione d’amore, il rimprovero dei genitori…Quali sono le cause scatenanti il suicidio?

"L’esterno non c’entra. Il compasso va puntato all’interno: la causa è dentro la psiche dell’adolescente. Bisogna tener conto di molti fattori. In primo luogo una dipendenza affettiva, in genere dalla famiglia, a cui il ragazzo sostituisce pian piano la dipendenza da qualcos’altro, che può essere, la droga, l’alcol o il suicidio. Lo sfondo, infatti, è sempre lo stesso, per tutte le patologie. Anoressici, eroinomani o tendenti al suicidio vogliono rompere con una realtà intollerabile .Chi arriva al punto di pensare di farla finita è convinto che non ci possa essere soluzione al sentimento di non esistenza che prova nella sua vita quotidiana. L’unica chance è "dormire" o "morire". Il suicidio come atto dimostrativo: come ultimo grido di aiuto. "Di recente una ragazza mi ha detto: "Io voglio morire perché non mi piaccio, non mi amo". Una persona che pronuncia una frase del genere è in una trappola. Non è vero che non ti ami, le ho risposto: quello che non ti piace è lo sguardo degli altri su di te. Il paradosso dell’adolescenza è questo. Non sono chiusi nella loro sofferenza: aspettano aiuto. Quello che temono è il giudizio degli altri".

 

L’emulazione, il contagio, quanta importanza hanno nel suicidio di un adolescente?

"L’emulazione è un’idealizzazione. Nel caso di Kurt Cobain, si tratta dell’identificazione, del ragazzo o della ragazza in quel personaggio. Ai ragazzi che si sono salvati noi poniamo delle domande. Perché c’è stato bisogno di identificarsi nel leader di un gruppo rock? E’ da questo che bisogna partire. L’identificazione gioca un grosso ruolo anche nel caso in cui in famiglia ci siano stati casi di suicidio, non tanto per un’eredità genetica quanto per la proiezione che si è creata sul gesto compiuto da un'altra persona"

 

Quali i sono i segnali di allarme di cui i genitori devono tenere conto?

Di solito le avvisaglie del gesto sono racchiuse in frasi del tipo "fra un po’ non vi darò più fastidio", "penso di andarmene per sempre", che i genitori non prendono sul serio.
Invece, i segnali che manda un adolescente avviato verso il punto di rottura sono inequivocabili. I maschi esprimono il loro disagio attraverso violenze contro gli altri e con atteggiamenti di "rischio motorizzato", in macchina e in moto, le ragazze che hanno tendenze suicide, invece, inscenano delle fughe, prendono regolarmente dei tranquillanti, hanno disturbi alimentari. Ci sono poi dei tipi di condotte di rischio, concentrati nel week end, durante i quali abusano di alcol, e hanno dei rapporti sessuali deliberatamente non protetti, anche se conoscono l’uso del preservativo".

 

Che cosa deve fare un genitore, una volta che ha individuato questo tipo di comportamento?

Il primo punto è affrontare l’argomento con il ragazzo. Fargli sentire che si è colto il segnale della sua sofferenza. Non dire: "Crediamo che tu abbia bisogno di un medico che capisca che cosa ti passa per la testa". Piuttosto: "Siamo preoccupati, abbiamo l’impressione che tu stia male, ci piacerebbe parlarne con un medico".

 

L’adolescenza è l’età del "no": ma di che cosa hanno bisogno realmente i ragazzi?

"Di certezze. E la certezza più grande è che gli adulti che li circondano temperino i loro eccessi. Se un ragazzo di quindici anni dice: vado in discoteca e torno alle cinque di mattina un genitore non può essere d’accordo. Diverso è il caso se ne ha diciannove, venti. Bisogna aggiustare continuamente il tiro. Dialogare. Far capire che proibire non vuol dire limitare la libertà ma proteggere .Al centro Abadie è stato creato uno spazio per il confronto tra i genitori dei ragazzi. Cerchiamo di far capire alla famiglia che i ragazzi hanno bisogno di spazio: spazio vitale. Una volta il problema non esisteva. Il ragazzo seguiva quello che la società gli aveva preparato. Oggi c’è più libertà, ma nello stesso tempo i giovani vengono inquadrati molto velocemente. Gli adulti questo non lo capiscono, ne vogliono fare al più presto dei produttori di reddito. Si dice: non perdere tempo a pensare: cerca di imparare la matematica, l’inglese e così troverai un mestiere più tardi. E in questo modo li si priva della loro adolescenza".

 

Qual è il primo passo terapeutico da compiere?

La prima cosa da fare per i ragazzi a rischio è ricostruirgli un ruolo, un’identità: al centro Abadie sono responsabili della loro camera, devono tenerla in ordine, preparare i pasti e servirli. Voglio che sappiano che non sono degli oggetti, non li studiamo come delle "cose malate", non diamo il Prozac, per creare una nuova dipendenza. Al contrario domandiamo loro di essere dei soggetti. Tra incontri singoli e riunioni collettive i ragazzi si rendono conto che riproducono degli scenari identici a quelli vissuti nella loro famiglia. Si tratta di un’analisi che non ha tempi lunghi... Non bisogna dimenticare che sono in pericolo di vita.

 

Ci può fare qualche esempio concreto?

Di recente è venuta da me una ragazza di 17 anni, al secondo tentativo di suicidio... "La mia vita non vale niente. Tutti i ragazzi mi lasciano: è un continuo fallimento". L’errore sarebbe quello di assecondarla. Per aiutarla bisogna scuoterla: perché tutti i ragazzi ti lasciano? Perché non possono restare con te? Perché esci sempre con ragazzi che ti abbandonano? perché te li scegli così? Che poi è come chiedere: chi è che ti ha designato come la vittima predestinata?
Oppure il caso di Angelo che ha scritto una sobria, lucida lettera di addio ai genitori. "Cari genitori, vi auguro tutto il bene possibile. Per quello che mi riguarda io ho deciso. Addio. Angelo". Come trattare un caso del genere? Con Angelo ho cominciato proprio dalla lettera. Che significa scrivere "Vi auguro tutto il bene possibile"? gli ho chiesto. Non volevo che avessero preoccupazioni, ha risposto. Avevo deciso di andarmene ma per loro la vita continuava. Ovviamente nella lettera si leggevano altre cose: e cioè che il ragazzo voleva vendicarsi dei suoi genitori, come li accusasse di qualcosa. Allora la domanda è stata: Angelo, di che cosa accusi i tuoi genitori?"

 

In che cosa si differenzia il centro Abadie dalle altre comunità di recupero per adolescenti a rischio?

Da noi non ci sono delle attività prefissate, conciare pelli, a cucinare dolci, dipingere. E’ importantissimo, per la loro autonomia, che i ragazzi passino tempo a "far niente". A chiacchierare su chi frequenta chi, come un ragazzo può conquistare una ragazza, come quella ragazza può fare per conoscere quel ragazzo, eccetera…E’ questo quello di cui hanno bisogno: di amicizia, amore, relazioni. Hanno bisogno di vita per desiderare di non perderla più."


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