Cifra emblematica dellethos
romantico, la figura del bel tenebroso abita i libri e i salotti un po di tutta
Europa lungo una parabola temporale che va dallo "Sturm und Drang" alla metà
ottocento. Esso è dunque insieme tropo letterario e metafora incarnata in quegli
innumerevoli uomini fatali, imitatori di Byron e del suo mito, che testimoniarono quella Sehnsucht,
quella peculiarissima sensibilità allinsegna del romanticismo, costituita da
aneliti inappagabili (ovvero dal desiderare il desiderio, per dirla con Lacan), brama
dassoluto, tedio, irrequietezza ed inquietudini.

E giusto su George Gordon Byron (1788-1824) sincentra il bel
saggio di Giuseppe Scaraffia, dedicato alluomo fatale per antonomasia: modello
esistenziale ma insieme letterario degli innumerevoli epigoni che attraversano i primi
decenni del secolo XIX da Lèrmontov a Sue; dal conte di Montecristo al Corsaro
Nero ricalcando nella vita, nellarte e nei romanzi le orme
delleccentrico lord inglese. Pallidi eroi (di carne o di carta, poco importa)
illuminati da unaura di demoniaca fascinosità, i bei tenebrosi alla Byron
"irresistibili con le donne, suscitatori di ostilità o amicizie immediate negli
uomini" costantemente melanconici e funerei "rischiano senza sosta la vita e la
felicità, alla ricerca di sensazioni travolgenti". La morte infatti sostiene
Scaraffia , obiettivo implicito dogni tendere romantico, pare essere la
condizione ineludibile per esorcizzare lo squallore dun quotidiano vissuto come
privo di significato. Non a caso i volti degli uomini fatali sono marcati da un corruccio
che anche fisicamente li segna. Rughe profonde intristiscono la fronte di Jean Marc,
personaggio chiave delle Memorie di un suicida di Du Camp, e una ferita percorre la
fronte del corsaro di Poe. Ma forse, ben oltre i tratti melanconici, a caratterizzare
questi eccentrici eroi è un atteggiamento reattivo-regressivo che si può cogliere nella
coazione a ripiegarsi su loro stessi, nel disagio di fronte alloggi e
nellincapacita a volgere lo sguardo al futuro. Ad onta quindi
dellanticonformismo di facciata che potrebbe farceli scambiare per propugnatori
(sognatori) di un qualche rinnovamento nellambito estetico/artistico o sociale, i
bei tenebrosi non riescono a celare evidenti tratti reazionari che li collocano fra gli
ultimi aristocratici dellAncien Régime.
A mio parere è questa lintuizione più interessante del libro.
Esteti votati allopera darte "in quanto eco risentita di un mondo
semicancellato dalla modernità" i seguaci di Byron, coi ricci scompigliati da una
tempesta che è forse soltanto la rivoluzione del 1789 e illividiti dal sole nero della
malinconia, si rivelano fantasmi esangui di un passato che non può tornare. Nessuno,
sottolinea Scaraffia, avverte più delluomo fatale lintollerabile pressione
delle nuove classi in ascesa. Nulla risulta maggiormente ambiguo del suo appoggio alla
classe popolare. Byron decide sì di combattere per la libertà della Grecia, egli
tuttavia non è certo un rivoluzionario o un democratico, ma piuttosto "un crociato,
chiuso nella sua armatura di sdegno, un giustiziere medioevale alla ricerca di una causa
annientata dalla storia".
Si dice uomo fatale di colui che ha il malocchio, scrive Flaubert nel
"Dizionario dei luoghi comuni". Ha inizio linarrestabile declino del
Byronismo. Dopo la metà ottocento (come emerge da "Jettatura" di Gautier) i bei
tenebrosi si riducono ormai a iettatori o a patetici nevrastenici. E il pallore
delluomo fatale trasmuterà in una figura ancora più notturna e inquietante: il
vampiro che, guarda caso, deve la sua prima apparizione proprio alla penna del segretario
di Byron, Polidori. Solo così il mito non muore: se accetta la metamorfosi. Ma ormai il
seduttore ha gettato la maschera: il poeta ribelle, leterno insoddisfatto svela qual
è la sua vera natura di morto vivente, indossando i lugubri panni del signore delle
tenebre.