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Attualita'


Fenomenologia del cialtronismo

Paolo Marcesini

 

 

E se fosse vero, se Jovanotti fosse la versione cialtrona e attualizzata di Tommaso Campanella? Il piccolo Lorenzo Cherubini una volta andò in Puglia e fu una sorpresa, pensava che i pugliesi fossero “tutti neri, brutti e incazzati”. Adesso che è cresciuto, ha trasformato se stesso in eroe multietnico e paladino del multirazziale e sogna una grande Chiesa “ che va da Che Guevara fino a Madre Teresa”. Accanto a Jonanotti, ci sono Rutelli, Mara Venier Oliviero Toscani, i personaggi della Disney...
Forse non lo sappiamo, ma tutti (o quasi) siamo stati cialtroni. Almeno una volta nella vita. La fenomenologia del cialtronismo contemporano, secondo Tommaso Labranca (scopritore e ideologo del trash), è una questione di logica, quasi una formula matematica. Talmente logica che all’insegna del cialtroneggiare è umano ma perseverare è diabolico, l’autore di Estasi del pecoreccio e Labranca Remix, all’infausto fenomeno ha dedicato un saggio, Chaltron Hescon (Einaudi).

In sintesi, la formula della cialtroneria potrebbe essere questa: si parte dalle infinite possibilità dall’iperconvinzione di massa e si arriva al teratomorfismo (parola difficilissima che indica lo studio delle mostruosità fisiche provocate da alcune malattie). Esiste una spiegazione più semplice per questa strana alchimia? Lui, Labranca, prova a raccontarcela: “Il cialtronismo è il presentare un elemento culturale in maniera talmente stereotipata dal renderne impossibile la confutazione. Le gente osserva il modello che gli viene proposto e lo ripete. Questo processo di emulazione prosegue all’infinito. C’è da sempre, c’è ovunque, perché prendere un modello e ripeterlo all’infinito è un modo molto comodo per semplificarsi la vita. E poi, vista la sua diffusione, nessuno ha il coraggio di contestarlo. L’aspetto positivo del cialtronismo è che spesso si cade nel ridicolo, quello negativo è che il cialtrone conscio del proprio cialtronismo prende in giro il prossimo”.

Il cialtrone insomma è un elemento di disturbo per lo sviluppo della società, è dannoso. Per dimostrare di avere ragione, si traveste da uomo buono, colto, moderno. Il suo unico scopo è quello di uniformare il gusto, renderci stereotipi di noi stessi, incapaci di giudicare: “Il fine ultimo del cialtronismo? Popolare il mondo di altri cialtroni alienati, è questa la missione”.
E iniziamo con gli esempi. “Un cialtrone degno di questo nome è il segretario dei Ds, Walter Veltroni. Mi sembra un personaggio dei film di Fantozzi, il visconte Cobram che, avendo la passione per il cinema, pretendeva che tale passione fosse praticata tragicamente da tutti. Crede nella cultura istantanea, la cultura Nescafé, e dice banalità del tipo, il cinema italiano sta andando benissimo. In realtà l’unico regista conosciuto al di fuori del nostro paese è Roberto Benigni, ma tant’è. Mi dipiace, ma da lui mi aspettavo politiche culturali meno retoriche e cialtrone. E cialtroni sono anche alcuni giornali, su tutti i grandi settimanali popolari. Penso alle inchieste di Gente su Padre Pio, alla totale dimenticanza (esclusione) della figura di Papa Giovanni XXIII , alle inchieste interminabili sugli amori della famiglia reale. E poi ci sono i giornali per adolescenti, con tutte quelle immagini che propongono belle facce di ragazzi e ragazze sorridenti. Sui quotidiani sono cialtroni i titoli parodia del tipo “Va dove ti porta...” e “Voglia di...” copiati dal cinema e dalla letteratura. Era un cialtrone Elvis Presley quando girava i suoi film (cialtroni come lui) caratterizzati da ambientazioni improbabili e da trame ancora meno probabili. Guariva quando smetteva di fare l’attore e iniziava a cantare. Ed era un cialtrone persino Von Karajan perché pretendeva di imporre il suo modo di interpretare Beethoven come l’unico conforme alla sua idea di perfezione estetica”.

Per Labranca, la base tecnica e scientifica che alimenta la mente del cialtrone tipo ha i suoi teorici, quattro intellettuali che hanno una cosa in comune, appartengono tutti al mondo dei fumetti. Nell’ordine Archimede (“nella mitologia cialtrona, il tecnico non usa mai libri, e Archimede non ha nemmeno una libreria”), Giliberto, nipote di Pippo (“il trionfo cialtronico dell’intellettuale visto come secchione), Pico de’ Paperis (“simbolo dell’intellettuale pedante, plurilaureato e, soprattutto, europeo) e Dotto (“dico solo questo: Biancaneve, che non conosceva ancora fisicamente i sette nani, quando gli strinse la mano, lo riconobbe immediatamente -Tu devi essere Dotto-”).

La cialtroneria è trasversale, se abita nella sinistra veltroniana, non disdegna di visitare la destra berlusconiana: “Quando vedete Silvio Berlusconi che si fa intervistare nel suo studio, in posa davanti alla libreria, fate caso ai libri, molti sono in polistirolo e, accanto alla guida telefonica di Lecco, spiccano, inconfondibili, le costine gialle di tre gloriosi Almanacco Topolino del 1974. D’altronde, ne ha diritto, per averli si è comprato la Mondadori!”.

E poi, naturalmente, c’è la televisione cialtrona, da non confondere per Labranca, con la tivù spazzatura. “Le cose più cialtrone viste quest’anno in tivù sono state le maratone benefiche, uno sterminato stereotipo di bontà stile sagra di paese al quale si può aderire promettenedo (e non dando in realtà) generose donazioni. Il conduttore è felice, il contatore gira e la (finta) bontà trionfa. La televisione peggiore è quella di Michele Guardì, la televisione dell’iperconvinzione. E’ molto cialtrona l’opera omnia di Mara Venier con quella discrepanza assoluta tra vita reale e vita televisiva della conduttrice. Così come l’opera omnia di Maria De Filippi, tutti i suoi ospiti sono stereotipi, c’è il ragazzo con problemi di droga, la ragazza con problemi di amore, il papà che non comunicacon i figli. E’ mostruosa questa televisione, ma piace, perché anche i mostri, se sono dei cialtroni verei, alla fine sono rassicuranti, ci sembrano gli abitanti del migliore dei mondi possibili e andiamo a dormire con l’animo tranquillo”.

Tommaso Labranca e i libri, un rapporto solido, indistruttibile, una collaborazione coordinata e continuata, un contratto a tempo indeterminato. Sarà perchè in fondo il suo mestiere preferito è quello del critico, sarà perchè facendo l’autore di trasmissioni televisive come “Anima Mia” e “Serenate “ in compagnia dell’allegra (e colta) banda di Fabio Fazio aveva ritagliato per sè il ruolo dell’Intellettuale, di quello che i libri, oltre ad averli sul comodino, li ha anche letti in grande quantità. “Il mio spazio dedicato alla lettura, anche per motivi di lavoro, oltre che di interesse, è molto ampio. Ogni giorno “devo” leggere, è una necessità fisiologica. Non è un riempitivo, non leggo solo a letto, in treno o dal dentista, ma durante tutta la giornata. Leggo per scrivere, leggo per documentarmi, leggo per non annoiarmi...”. E l’elenco delle motivazioni labranchiane continua, sino al motivo solo apparentemente più futile, il piacere. “Leggere, se ci piace, dobbiamo farlo. E’ inevitabile, non si può nemmeno teorizzare. C’è chi gioca a golf, chi colleziona racchette da tennis, chi guarda quattro film al giorno, chi ama la lettura. Il tempo lo si trova, a scapito di altre attività. Personalmente faccio poco sport e non mi dedico come vorrei alla pulizia della casa, mi dispiace ho sempre qualcosa da leggere”.

Assolutamente originali le sue scelte di lettura, i libri che rilegge sempre, quelli che non lo abbandonano mai. Iniziamo con “Punto linea e superificie” di Kandinski (Adelphi): “L’ho letto la prima volta quando ero ancora al liceo, è un libro iniziatico, mi ha fatto scoprire l’amore per l’arte”. Immancabili i diari di Andy Warhol (De Agostini): “Ne leggo un pezzo ogni giorno. Non so perché. Sicuramente sono affascinato dai libri dove si parla di gruppi di artisti che si riuniscono in alcune case per discutere del valore dell’arte, delle rispettive attività letterarie, degli amici sparsi ovunque nel mondo e delle loro idee”. Già, il salotto letterario, un’idea che piace molto al teorico del trash: “Mi piacerebbe moltissimo partecipare, invitare, essere invitato. Purtroppo gli altri sono troppo impegnati, devono andare in televisione, allo stadio. Quando si organizzano i caffè letterari, spesso si trasformano in disastrose e fallimentari operazioni artificiose, lontane cioè dall’idea di salotto teorizzata da Maria Ballonci”. Unica concessione alla narrativa, “La spartizione” di Piero Chiara: “Forse perché a Luino, il paese di Chiara, ho parecchi legami, forse perché lui ha uno stile letterario insuperabile, forse perché aspetto con ansia che la Mondadori lo riabiliti. Sono andato sulla sua tomba, è abbandonata, trascurata, non è giusto”.




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