Libri/Memorie di un siberiano a Parigi
Flavia Radetti

Andrei Makine
"Confessioni di un alfiere decaduto"
Passigli Editore, pp. 138, lire 20.000
"Eí come in quella leggenda tibetana.
Il passato e' un drago che si tiene in fondo a un sotterraneo, in una gabbia. Non
si puo' pensare tutto il tempo al drago. Non si vivrebbe piu', altrimenti... Ma ogni
tanto bisogna verificare se la serratura della gabbia e' in buono stato. Perche'
se arrugginisce, il drago la spezza e ricompare, ancora piu' crudele e insaziabile"
(p.25).
Se esiste ancora una letteratura del
ricordo inteso come impegno etico, uno dei suoi esponenti piu' interessanti e' senzíaltro
il russo Andrei Makin (o, alla francese, Makine) autore pressoche' sconosciuto al
pubblico italiano ma particolarmente apprezzato dalla critica díoltralpe (nel 1995
ha vinto il Premio Goncourt e il Premio Medicis per il romanzo Le Testament français)
e considerato uno tra i piu' significativi scrittori di lingua francese, del quale
la Passigli propone ora il romanzo Confessioni di un alfiere decaduto da cui
e' tratta la citazione iniziale: una sorta di diario della memoria ambientato nella
Russia della seconda meta' degli anni Cinquanta.
Nato nel 1957 in Siberia, emigrato
a Parigi nel 1987, Makin si e' fatto conoscere grazie a una serie di romanzi ispirati
alla Russia e al suo recente passato (La Fille díun heros sovietique, Au
temps du fleuve Amour), serie di cui le Confessioni (pubblicate nel 1992)
rappresentano in qualche modo una summa per quel che riguarda le tematiche
e i motivi ispiratori. Lo sfondo e' quello di una Russia ancora figlia delle epurazioni
staliniane come degli orrori della guerra, incapace di fare i conti con il proprio
passato e tuttavia ancora imbevuta di quel fervore ideologico di cui líadolescente
pioniere della gioventu' comunista, líio narrante del romanzo, colui che si definisce
"alfiere decaduto", rappresenta líinnocente e inconsapevole vessillo ("E
noi marciavamo, le gambe vellutate di polvere, per i sentieri dei campi. Sempre dritto
davanti a noi. Sempre verso quellíorizzonte radioso." p.7).
Líalfiere decaduto e' pero' anche
una metafora dellíartista emigre', costretto a vivere in un mondo fondato
su miti a lui estranei, condannato a dissimulare la propria estraneita' e a rincorrere
líinnocenza perduta aggrappandosi al filo della memoria ("Non ci si ristabilisce
dallíorizzonte luminoso che era a qualche giorno di cammino. A che pro mentirsi?
Noi non saremo mai come gli altri, come le persone normali." p.11), un filo
che annoda insieme le vite dei padri e dei figli, le une spezzate dagli anni delle
epurazioni e della guerra, le altre dal crollo delle illusioni.
Scorrono dunque sullo schermo bianco
della memoria le immagini di uníadolescenza impegnata nei suoi riti di passaggio
allíeta' adulta, rivive il microcosmo chiassoso di un quartiere popolato da una fauna
umana variegata e pittoresca, rivivono senza enfasi i racconti della guerra combattuta
dai padri, ma riaffiorano anche, in un lampo, le visioni traumatiche della guerra
in Afghanistan, la guerra combattuta dai figli nel nome degli ideali, gia' morti,
dei padri, quella guerra che líalfiere decaduto vorrebbe soltanto dimenticare.
Molto meglio rievocare un "racconto
alla fragranza di biancheria ghiacciata", fatto di slitte cariche di sonagli,
di cavalli carichi di brina e di bonari vecchietti che trasportano il latte ghiacciato
sotto forma di disco scintillante. Eí molto meglio, anche se tutto suona cosi' falso
dopo che si e' saputo che quella slitta portava notizie di deportazioni e che il
disco di latte e' finito in frantumi nel corso di una precipitosa quanto inutile
fuga. Ma qualunque stupida favola e' preferibile al ricordo dei "corpi di coloro
il cui paracadute non si era aperto, corpi che somigliavano a sacchi pieni di sangue
e ossa mescolate"(p.108), qualunque immagine edulcorata e' preferibile al ricordo
di un bambino ustionato ridotto una palla di cenci.
Ed e' cosi' che il protagonista del
romanzo di Makin tenta di esorcizzare líincubo della guerra, inseguendo il fantasma
dellíadolescenza e aprendo la propria coscienza ad una "confessione" indirizzata
al migliore amico díinfanzia, con il quale condivide il destino di una diaspora priva
di eroismo e votata alla conquista di uno status sociale che sancisca il distacco
dalle proprie origini ("...chi potra' credere che quellíuomo elegante dai capelli
brizzolati e il sorriso disteso e' un vecchio tamburo del distaccamento affascinato
dallíorizzonte radioso?" p.128).
Solo attraverso il recupero del passato
líalfiere decaduto puo' tentare di dare un senso alla propria disillusione e guardare
al futuro con líocchio di chi sa che oltre líorizzonte puo' esistere ancora qualcosa.
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