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Il cuore nero di Susanna



Paola Casella



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C'è un cuore nero in tutti i romanzi della Tamaro, compreso quel best seller che il cuore ce l'aveva anche nel titolo (e Cuore di ciccia si intitola un libro per bambini firmato dalla scrittrice, a riprova che il cuore è il suo organo preferito). Lo si intravvedeva in tutti i racconti di Per voce sola, sottendeva oscuramente la vicenda di Và dove ti porta il cuore, stava al centro di Anima Mundi, che accostava arditamente l'anima al sentimento (e forse per questo non è piaciuto: il sentimento, dove c'è, deve dominare), e ricompare nei tre elementi narrativi che compongono l'ultimo parto letterario dell'autrice, Rispondimi.

Di questo libro è bello soprattutto il titolo, un grido disperato indirizzato a chi ci ha lasciato pieni di domande: una madre prematuramente scomparsa (la protagonista del primo racconto), un figlio perduto (comprimario del secondo), un Dio che ci elude, magari per portarci via la persona che più sentivamo vicina (come succede al protagonista del terzo racconto).

E sono belle le prime pagine, quelle che raccontano appunto la solitudine e la disperazione (nere, anche queste, come il cuore dei romanzi della Tamaro) di un'orfana. Anche perché l'orfana è in assoluto il personaggio dominante nei romanzi della scrittrice, la cui storia personale (è cresciuta con i nonni, sua madre è stata assente e anaffettiva, almeno secondo le rare interviste concesse dall'autrice) condiziona pesantemente tutti i suoi contenuti.


Il problema è questo: un dramma interiore, una lacerazione profonda, un danno, trovano espressione artistica solo se, attraverso l'arte, riescono a sublimarsi, a diventare in un grido di dolore che può essere sentito e condiviso da tutti. Se rimangono al livello dello sfogo analitico, o peggio ancora dell'esternazione rancorosa, non interessano a nessuno, almeno narrativamente, e non si elevano mai al livello di arte.

Non a caso Và dove ti porta il cuore, che, pur nella sua scrittura retorica, traduceva in costruzione narrativa compiuta il dramma primario dell'autrice, è il romanzo che le ha dato il successo. Perché l'esperienza dell'autrice era traslata, convertita, qualche volta anche solo mascherata, e raccontata attraverso personaggi a tutto tondo, non personificazioni di un dolore, o testimoni di una ferita, come succede in Rispondimi.

Nessuno dei personaggi, soprattutto quelli femminili, di Rispondimi, risulta credibile. Sono tutti vittime o carnefici, martiri cristiani vessati dal mondo crudele, o sfortunate eroine scappate a un romanzo di Dickens, o ai Miserabili di Victor Hugo - senza però lo spessore narrativo di entrambi gli autori.

Purtroppo però la reiterazione in forma sempre meno traslata di uno stesso dramma primario non è il peggiore dei difetti di Rispondimi. Peggio è la consumata abilità artigianale dell'autrice, che si avvale del suo indiscutibile mestiere e della consocenza dei gusti del grande pubblico per confezionare i suoi scritti con qualcosa di troppo simile alla furbizia commerciale per apparire anche solo come un genuino sfogo dell'anima (sua, non del mondo).

E temo che il successo di Rispondimi non sia la conferma del fatto che l'autrice sia accessibile al pubblico (cosa della quale sarei la prima a gioire, vista la difficoltà degli italiani ad accostarsi alla lettura), ma del fatto che, fra un polpettone alla Maria Venturi e un libretto firmato Tamaro (100 pagine brevi, zeppe di metafore scontate, cioé facilmente condivisibili), il lettore medio si sente più gratificato a farsi vedere in metropolitana con il secondo.


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