La collezione del Museo Centrale
del Risorgimento
Marco Pizzo
Articoli collegati:
Vedere la storia
La collezione del Museo Centrale
del Risorgimento
Tecniche e procedimenti
Il fondo fotografico del Museo Centrale del Risorgimento consente di
tracciare un percorso espositivo che ben documenta l’evoluzione e
le finalità della fotografia dalla sua nascita fino al primo
dopoguerra consentendo di passare in rassegna l’evoluzione delle
tecniche fotografiche, dai primi dagherrotipi alle stampe all’abumina,
dalle fotografie in formato carte de visite alle riprese effettuate
dai fotocineoperatori dell’esercito sul fronte della prima guerra
mondiale
Accanto a questa continua evoluzione tecnologica corrispose anche
una parallela differenziazione delle specifiche finalità del mezzo
fotografico. Infatti, se in un primo momento la fotografia trovò il
suo primo ed immediato utilizzo nella ritrattistica, venendo usata
per produrre foto-ritratti poco dispendiosi e facilmente
riproducibili, che diventarono subito delle “carte da visita”,
lentamente iniziò ad assolvere anche una funzione di vero e proprio
reportage. Nel 1849 troviamo il fotografo Stefano Lecchi impegnato a
fotografare e documentare gli scenari bellici dei fatti della
Repubblica Romana. Un interesse di cronaca che continuò anche
qualche anno più tardi, nel 1855, come nel caso delle fotografie
eseguite da Roger Fenton sui luoghi della guerra di Crimea, per poi
proseguire con quelle scattate a Palermo nel 1860.

Onoranze al Milite Ignoto
28 ottobre - 4 novembre 1921
Fotografie - Album
Queste due tipologie fotografiche si affiancarono per tutto l’Ottocento
a quella che era stata l’immagine codificata da due generi pittorici:
il ritratto e la veduta. In entrambi i casi si trattava sempre di
veri e propri documenti visivi, una testimonianza storica che andava
letta ed interpretata proprio come se il mezzo fotografico fosse un monumento-documento,
secondo la bella definizione di Angelo Schwarz mutuata a sua volta
dal medievalista Schlosser. Un fatto questo particolarmente
esplicito nel caso dell’album dei Mille di Alessandro
Pavia, ideato e realizzato, proprio essere un documento
visivo delle imprese garibaldine che sfruttando la fissità
immortale dell’immagine fotografica riuscisse a consegnare i volti
dei protagonisti all’eternità della storia.
Il ritratto fotografico, alla stessa stregua del ritratto dipinto o
del busto-ritratto, cercava di rendere non solo la fisionomia e il
carattere della persona raffigurata, ma mostrava di curare molto
anche la “messa in scena”, facendo posare il modello davanti a
quinte dipinte raffiguranti architetture d’interni o finti
loggiati, giardini, fondi orientali o importanti tende panneggiate.
Questa teatralità del ritratto fotografico ottocentesco
talvolta veniva amplificata dalla scelta deliberata, da parte dei
modelli, di posare in costume, in abiti “all’antica” con gesti
misurati e in pose artificiose. Insomma una misurata coreografia
nella fissità dei gesti.
Particolarmente interessante è poi la sequenza fotografica della
fuga di Felice Orsini dal carcere di Mantova: una vera e propria
ricreazione “teatrale” con attori che “mostrano” le fasi
dell’episodio. La volontà dei realizzatori era quella di creare
allo stesso tempo un ricordo e una sequenza
fotografico-dinamica (si veda la fotografia con Felice Orsini
fissato nel momento della fuga), un vero e proprio romanzo
fotografico che, in qualche modo prelude al nutrito corpus delle
fotografie del trasporto del Milite Ignoto.

Ritratto di Giuseppe Mazzini
CESARE BERNIERI, fotografo di Torino
Fotografia all'albumina in formato "carte de visite"
Così come per il ritratto il fotografo si mostrava ancorato alle
strategie di visione della ritrattistica pittorica allo stesso modo
quando si trattava di raffigurare il paesaggio il fotografo
sceglieva un’ottica che privilegiava la veduta statica, oggettiva
ed asettica dei luoghi, piuttosto che un’ottica interpretativa,
soggettiva. Un’ottica, per fare un paragone artistico, più vicina
ai canoni settecenteschi del vedutismo di Canaletto che quelli
ottocenteschi di Courbet, di Tournee o degli impressionisti.
Una tendenza che si andò lentamente a modificare sul finire del
secolo per sfociare, nelle foto della prima guerra mondiale che
furono, finalmente, una drammatica interpretazione dei luoghi e
delle azioni dove il fotografo (che spesso era anche un soldato in
prima linea di fronte al nemico) sfruttava tutto un vasto
armamentario di espedienti retorici: punto di vista di ripresa
ribassato; viraggio delle foto; chiaroscuri densi e quasi impastati.
Una fotografia quindi senz’altro più emotiva, già fortemente
suggestionata dai nuovi orientamenti modernisti.
La vocazione, da parte della fotografia di essere memoria e
documento, ci è poi testimoniata da tutta una serie di immagini
dell’Oriente, in particolar modo della Cina del Giappone e della
Corea, scattate tra il 1905 e il 1907, facenti parte del fondo
Giustiniani-Bandini-Gravina, in cui la realtà circostante osservata
corrisponde ai dettami del pittoresco.
Allo stesso modo il nucleo delle fotografie realizzate nel 1921 che
ci descrivono tutte le fasi del trasporto del Milite Ignoto
svolgevano una analoga funzione di testimonianza dell’evento
che voleva essere non solo il momento dell’esaltazione dell’eroe
e della celebrazione del lutto collettivo conseguente alla fine
della prima guerra mondiale, ma anche la prima vera grande cerimonia
della nazione. Le fotografie fissano le varie “stazioni” del
percorso della salma dell’eroe, da Aquileia a Roma, con la folla
inginocchiata lungo i binari, con il treno-catafalco
scenograficamente attrezzato per il lutto nazionale, fino a
dilungarsi in dettagliate sequenze sul momento culminante, ossia
il corteo che a Roma accompagnò l’affusto di cannone-bara dal
momento del suo arrivo alla stazione Termini fino all’altare della
Patria - tomba del Milite Ignoto, a piazza Venezia. Un percorso
rigidamente organizzato alla stessa stregua di una grande
coreografia militare.
Non a caso il 5 novembre 1921 sulle pagine del quotidiano diretto da
Olindo Malagodi “la Tribuna” leggiamo: ”Oseremmo dire che, per
la prima volta, dopo parecchi anni, in quelle sante reliquie, ma
soprattutto in quella massa organica di uomini, in quei mille e
mille vessilli di una sola fede, il popolo ha sentito vivere una
cosa della quale s’era quasi scordato, o s’era ricordato solo
per irriderla: ha riconosciuto lo Stato.”

Ritratto di Massimo d'Azeglio
FRATELLI ALINARI, Firenze
Fotografia all'albumina in formato "carte de visite"
Allo stesso tempo l’evoluzione delle tecniche fotografiche deve
essere messa in relazione con la contemporanea produzione artistica.
Il fine comune dell’arte e della fotografia dell’Ottocento era riprodurre
il reale e per questo motivo assistiamo ad un interessante confronto
e ad una convergenza, che talvolta sfiora la sovrapposizione, delle
due tecniche.
Se, come abbiamo visto in precedenza la fotografia tendeva ad
emulare la pittura, mettendo in posa i soggetti e dando loro un
aspetto quasi “teatrale”, è pur vero che spesso le stesse
tecniche giocavano un ruolo molto importante in questo senso.
Teatrale era l’espediente utilizzato dalle doppie fotografie, o
fotografie stereoscopiche, fatte appositamente per essere oggetto di
una simultanea visione bioculare e quindi dare l’immediata
sensazione di spazio tridimensionale.
Altre volte le stampe fotografiche sono ritoccate a mano, rendendole
somiglianti ad acquerelli o a piccole miniature. Ma è anche
possibile assistere ad un fenomeno inverso ossia a pittori che
utilizzano per i loro dipinti singole fotografie. E’ questo il
caso, ad esempio, del dipinto realizzato da Carlo Ademollo
raffigurante il ritratto di Adelaide Cairoli, per il quale l’artista
dichiarò esplicitamente di aver fatto uso di una fotografia
inviatagli. Altre volte vediamo che le fotografie sono quadrettate,
pronte ad essere utilizzate da abili disegnatori per la
realizzazione di incisioni o litografie, come nel caso delle foto
dell’assedio di Palermo del 1860 o delle litografie della
Repubblica Romana del 1849 tratte da foto del Lecchi.
In alcuni casi si verificarono anche dei fenomeni diversi, come nel
caso del dipinto - panorama realizzato dal Léon Philippet che
utilizzava una serie di singoli scatti fotografici per dipingere una
grande visione panoramica così realistica - nel caso specifico
raffigurante l‘assedio di Roma da parte delle truppe francesi nel
1849 - nel quale l’osservatore poteva pensare di essere di fronte
ad una macro- fotografia del campo di battaglia. Non troppo
dissimile, se non nella tecnica, questa volta fotografica, dai
panorami realizzati durante la prima guerra mondiale per offrire
delle realistiche visioni dei campi di battaglia.
Il fondo fotografico
Il fondo fotografico del Museo rappresenta per consistenza e
varietà uno dei nuclei storici più interessanti sia per la
quantità di positivi e di negativi, sia per la sua intrinseca
omogeneità. Al fine di dare una visione generale di questo archivio
fotografico è utile riportare alcuni dati generali: si tratta di
circa 35.000 positivi condizionati o entro appositi contenitori in
legno per il formato carta da visite o, oppure sono raccolte e
talvolta incollate su album di grande formato ( in particolar modo
per quello che riguarda le fotografie della prima guerra mondiale).
Recentemente è stato avviato un piano di recupero conservativo del
materiale fotografico tramite il restauro di alcuni album
fotografici (rilegatura e consolidamento delle pagine, integrazione
delle lacune, interfoliazione con carta antiacida) e alcune
esemplari singoli, come nel caso di dagherrotipi, o di alcune
fotografie in formato carte da visite.
Di particolare interesse, poi, una serie di centinaia di negativi su
vetro risalenti al primo conflitto mondiale. Si tratta di un fondo
solo parzialmente esplorato giacché spesso di molti di questi
negativi non è stata effettuata una stampa in positivo. Per
permettere la loro futura consultazione ed una prima schedatura
indicizzata il Museo si è dotato di uno scanner professionale che
consente la conversione elettronica dal negativo all’immagine
positiva e la stampa delle immagini selezionate su carta
fotografica.
La maggior parte di queste fotografie proviene da lasciti e
donazioni pubbliche e private. I materiali dell’Ottocento recano
spesso sottoscrizioni autografe, dediche o appunti che ne indicano
la provenienza (e quindi spesso assommano un ulteriore valore
storico-documentario). Il cospicuo nucleo della guerra ’15-’18
è stato invece realizzato e donato al Museo dai reparti dei foto
cineoperatori dell’esercito italiano, mentre altri nuclei
fotografici documentano gli effetti bellici lungo le linee francesi,
austriache e belghe. Un altro nucleo proviene invece dalla sezione
fotografica della marina e dell’aviazione e documenta puntualmente
l’attività bellica di questi corpi, mentre un gruppo di Album
fotografici ritraggono le produzioni delle industrie belliche.
Diverso è il caso dei volumi che contengono le foto del trasporto
della salma del Milite Ignoto del 1921 che fa parte di un insieme
più stratificato di cimeli e testimonianze documentarie di questo
evento che idealmente pone fine al Risorgimento.
Articoli collegati:
Vedere la storia
La collezione del Museo Centrale
del Risorgimento
Tecniche e procedimenti
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da
fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui
Archivio
Attualita' |