| L’avventura, e lo spirito dell’Europa 
 
 
 Intervista a Vittorio Mathieu
 
 
 
 Articoli collegati:
 Un classico rivisitato
 L’avventura, e lo spirito dell’Europa
 Vittorio Mathieu, classe 1923, è nato a Varazze in provincia di
          Savona. Laureato in Filosofia teoretica a Torino nel 1946, è
          diventato libero docente nel 1956. Da allora gli incarichi accademici
          si moltiplicano: è vincitore del concorso a cattedra di Storia della
          filosofia del 1960, titolare di filosofia teoretica nell’Università
          di Trieste dal 1962 al 1967, poi di filosofia nella facoltà di
          Magistero dell’Università di Torino. Dal 1972 è ordinario di
          filosofia morale nella Facoltà di Lettere della stessa Università.
          In pensione da alcuni anni, la sua attività di studioso non si è
          arrestata: è socio nazionale dell’Accademia dei Lincei e dell’Accademia
          delle Scienze di Torino. Anche in passato la sua attività
          extra-accademica è stata particolarmente vivace: ha fatto parte del
          C.N.R. e ha partecipato varie volte alle delegazioni italiane alle
          Conferenze generali dell'Unesco, in veste di delegato o di esperto,
          oltre ad avere ricoperto l’incarico di vicepresidente del Consiglio
          Esecutivo dell’Unesco, compiendo varie missioni in Stati Membri. Dal
          1994 al 1997 è stato il rappresentante italiano nella Commissione
          consultiva del Consiglio europeo contro il razzismo e la xenofobia.
 
 Tra le sue principali pubblicazioni, oltre ai lavori di storia della
          filosofia, ricordiamo L’oggettività nella scienza e nella filosofia
          contemporanea (Accademia delle Scienze di Torino, 1960); La speranza
          nella rivoluzione (Rizzoli, 1972, traduzione francese e spagnola);
          Perché punire (Rusconi, 1978); Cancro in Occidente (Editoriale Nuova,
          1980); Filosofia del denaro (Armando, 1985); Kant’s Opus postumum (Klostermann,
          1989, in versione italiana presso Bibliopolis).
 La sua bibliografia completa fino al 1995 (438 numeri) si può trovare
          in AA.VV. (ed. M.M. Olivetti), Trascendenza, Trascendentale,
          Esperienza: Studi in onore di Vittorio Mathieu (CEDAM, 1995).
 
 I piani di lettura di un testo così ricco e articolato come quello
          dell’Odissea sono innumerevoli, e innumerevoli sono le piste (quasi
          piste carovaniere da seguire nella vastità del deserto) che si
          possono seguire al suo interno. Di questo abbiamo discusso con il
          prof. Mathieu, che ne ha trovata una inedita e interessante, che lega
          l’Odissea al destino dell’Europa, quasi un testo precursore delle
          vicende europee, delle sue fortune e pericoli. Nell’incipit della
          prefazione, Mathieu afferma espressamente che l’inizio della storia
          d’Europa è l’Odissea.
 
 “E' vero, l’Odissea può essere interpretato come uno dei testi
          che hanno fondato una società: non per nulla ad Atene i libri di
          Omero venivano letti integralmente durante le feste Panatenee, e presi
          come testi dal grande valore educativo, intorno ai quali nasce un vero
          dibattito filosofico, a volte con critiche infuocate, come quelle di
          Eraclito e Platone. La fortuna somma dell’Odissea prosegue con gli
          alessandrini, da quando Alessandro costruisce il suo impero, che
          politicamente prelude a Roma. Il carattere romanzesco dell’Odissea
          salta agli occhi, e bisogna ricordare che la parola romanzo ha nella
          sua etimologia il nome Roma. Quindi ecco che nell’Odissea e nella
          sua storia troviamo fortemente intrecciate l’avventura, il romanzo,
          la stessa Roma, e, infine, l’Europa”.
 
 Nel testo dell’Odissea si possono rintracciare anche i germi di
          molti generi letterari, dal romanzo cavalleresco al romanzo di
          formazione. Anche in questo senso può essere considerato uno dei
          testi base della nostra cultura.
 
 “L’aspetto dell’avventura è sempre stato evidente, tanto che si
          comincia a parlare di avventura proprio a proposito dell’Odissea,
          anche se il romanzo d’avventura nasce soltanto con il passaggio dall’età
          antica a quella altomedievale, in ambiente franco-romano, con il
          romanzo cavalleresco. Però lo spirito dell’avventura c’era già
          nel secondo poema di Omero, che è posteriore di almeno un secolo all’Iliade,
          ed è molto diverso, anche stilisticamente: nell’Iliade abbiamo più
          centri, più punti di vista, e diverse storie e racconti che si
          concludono al suo interno. Invece l’Odissea è dichiaratamente
          intessuta intorno alla figura di Ulisse: è un racconto unitario, nel
          senso che si sviluppa intorno alle vicissitudini di un singolo,
          indiscusso, protagonista. Ulisse potrebbe assomigliare a un cavaliere
          errante, o a un esploratore”.
 
 Ulisse, archetipo dell’uomo moderno
 
 Ulisse, protagonista singolo della vicenda dell’Odissea, è il
          motore della sua stessa esistenza: non è tanto sottomesso al Fato,
          quanto all’avventura che lui stesso si costruisce. Attorno a lui
          continuano a muoversi le divinità, che a volte lo proteggono, come
          nel caso di Atena; e altre volte lo ostacolano, come nel caso di
          Poseidone. Ma il motore vero della storia, è il solo Ulisse. Ulisse
          che per non rinunciare a sentire il canto delle sirene si fa legare al
          palo della nave, Ulisse che convince i compagni a entrare nella grotta
          del Ciclope, e che si avventura sull’isola della maga Circe, o nel
          regno dei morti. È la curiosità, dopo tutto, la curiosità intesa
          come carattere peculiare dell’uomo occidentale, che spinge Ulisse
          alla continua ricerca di avventure. In questo senso si può trovare in
          lui l’archetipo dell’uomo moderno. Il suo personaggio è stato
          rivisitato infinite volte, da Dante a Joyce. Sono state sottolineate
          via via diverse sue caratteristiche, tanto che anche nel linguaggio
          comune Ulisse può essere l’avventuriero per antonomasia, come l’uomo
          legato agli affetti familiari, l’astuto senza scrupoli, o l’incarnazione
          della prudenza. Le differenti interpretazioni derivano dal fatto che
          è lo stesso Ulisse omerico che porta in sé tutte queste
          sfaccettature, perennemente in bilico tra pulsioni contrastanti tra
          loro, e che pure riescono a convivere. Gli eroi dell’altra grande
          epopea ascritta al nome di Omero, l’Iliade, erano affatto diversi
          dal protagonista di quello che Mathieu chiama il primo romanzo della
          storia, l’Odissea. Gli eroi dell’Iliade, pure con i loro drammi e
          debolezze, erano più simili agli dei, anzi quasi si confondevano con
          essi.
 
 La nostalgia come motore dell’esistenza
 
 L’altro grande tema dell’Odissea è la nostalgia di Ulisse: l’Odissea
          è il racconto di un ritorno. La prima volta che Ulisse fa il suo
          ingresso sulla scena, nel libro V, lo troviamo nell’isola della
          bella Calipso, seduto davanti al mare, col cuore gonfio di nostalgia.
          L’etimologia della parola nostalgia è del resto propriamente
          questo: dolore per il ritorno. Calipso gli offre l’immortalità,
          eppure Ulisse sceglie di partire per tornare alla sua amata Itaca.
          Sceglie di partire con una zattera messa insieme alla bell’e meglio
          e affrontare i pericoli del mare. Si potrebbe anche dire che sceglie
          la vita, il movimento, l’imprevedibilità, anziché una vita da
          immortale, che però non avrebbe più nulla di umano, di vivo. È la
          nostalgia che mette in moto la sua avventura. E la nostalgia è un
          sentimento che agli dei non appartiene. Non sanno che cos’è perché
          non sanno cos’è il tempo, avendo davanti l’eternità.
 Si può dunque affermare che questo sentimento diventa, nell’Odissea
          e quindi nella cultura occidentale, una sorta di motore dell’esistenza
          umana? Secondo Mathieu non ci sono dubbi in proposito: “È quanto
          dice Plotino, vissuto nel II sec. d.C., il quale parla della nostra
          vera patria come del mondo ideale. Poiché è da lì che proveniamo,
          ed è lì che non riusciamo a tornare, sentiamo nostalgia, e questo
          sentimento accompagna tutta la nostra vita, e muove le nostre azioni.
          È interessante il fatto che Plotino esprima questo sentimento usando
          un verso dell’Iliade (‘torniamo verso la nostra cara patria’):
          è il tema che diventerà il tema centrale nell’Odissea”.
 
 E ancora, è questo stesso sentimento di nostalgia, o curiosità, che
          spinge Ulisse a rifiutare l’offerta di Alcínoo re dei Feaci, che
          gli propone un avvenire da re nella sua terra, dandogli in sposa la
          figlia. Ma ancora Ulisse non è pronto per fermarsi. Deve prima
          tornare a Itaca, liberare la sua casa dai proci, ritrovare i suoi
          affetti, il padre, il figlio, e soprattutto la fedele Penelope, vera
          sostituta del re lontano, che sa amministrare i beni in sua assenza e
          resistere all’assalto di chi vorrebbe impossessarsene.
 
 Itaca come simbolo del Buon Governo
 
 Nella sua lettura dell’Odissea, Mathieu insiste particolarmente
          anche su questo aspetto: “In realtà Itaca, e Penelope che è
          rimasta a Itaca, non sono semplicemente ‘la Casa’, ma
          simboleggiano il Buon Governo, Buon Governo che viene insidiato dai
          pretendenti di Penelope, che nella finzione ambiscono alla sua mano,
          ma nella realtà ambiscono al governo”.
 
 Ulisse è un re, e per di più un re saggio e amato, garante del
          buon governo sulle sue terre. La sua figura di monarca è alquanto
          diversa da quello che il termine significa oggi per noi. Ulisse è
          ancora legato a un mondo arcaico dal punto di vista politico: a Itaca
          il re era semplicemente chi possedeva il gregge di pecore più grande,
          e aveva maggiori appezzamenti di terreno, che non di rado si coltivava
          da solo. Lo squarcio che l’Odissea getta su questo mondo è
          estremamente affascinante: narra di una forma di democrazia ancora
          embrionale e sostanzialmente diretta, nella quale era l’assemblea
          dei proprietari che prendeva le decisioni. E narra anche di un mondo
          che già comincia a essere minacciato dalla scarsità della terra
          coltivabile: gli esclusi dal possesso della terra cominciano a
          premere, come fanno i proci con Penelope, oppure si dedicano a nuovi
          lavori, soprattutto di artigianato, o, ancora, partono alla volta di
          terre lontane da colonizzare. È la prima volta che la ‘società
          degli umili’ fa la sua comparsa in modo così prepotente nella
          letteratura, a volte per mezzo dello stesso Ulisse che nel suo lungo
          peregrinare è costretto a subire ingiurie e disprezzi che il pubblico
          non era abituato a vedere subire da un eroe. In questo senso, il mondo
          dell’epica si amplia, e accoglie al suo interno le vicende umane,
          anche le più umili, collocandole per la prima volta fianco a fianco
          con quelle degli dèi.
 
 La buona scienza
 
 Un testo così ricco sicuramente non finisce mai di trasmettere
          nuovi significati. Per quello che riguarda l’epoca contemporanea,
          anche in anni recenti, in molti sono tornati a visitarlo. Dice Mathieu,
          “Molti ci ritornano, a cominciare da Stanley Kubrik, nel film 2001
          Odissea nello spazio. Come accade anche in quel film, mi sembra che il
          nostro viaggio verso casa stia prendendo la forma di un continuo
          sperimentare tecnologie sempre più avanzate. Ci troviamo tentati da
          un viaggio che non sappiamo bene dove porti e che, se perde il suo
          centro ideale, può condurci anche al naufragio e alla rovina. La dèa
          che protegge Ulisse nel corso delle sue avventure, è Atena, la dea
          della sapienza e della scienza. Una scienza che in Ulisse tende a
          diventare pragmatica, cioè strumentale, e quindi pericolosa. L’ultima
          avventura dell’Europa è l’avventura della scienza: e ancora una
          volta, è stata l’Europa stessa a crearsi questa avventura: si è
          esposta da sé a questa ultima possibile deriva pragmatica,
          tecnologica e utilitaria. Lo stesso Ulisse già nella tradizione
          antica, non solo in Dante ma anche in altri miti, finisce male perché
          riprende il suo navigare, e fa naufragio”. Forse proprio perché non
          c’era più Atena, la buona scienza, a salvarlo.
 
 
 Articoli collegati:
 Un classico rivisitato
 L’avventura, e lo spirito dell’Europa
   
        Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da
        fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui
 Archivio
        Attualita' |