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Editoriale



Referendum, un altro missile fuori bersaglio

Giancarlo Bosetti

 

Giancarlo Bosetti Esagerazioni del si’ e del no

Nella storia dei referendum, questo sulla abolizione della quota proporzionale nella legge lettorale, va a finire nella lista dei fallimenti, accanto a quelli del 1990 sulla caccia e sull’impiego dei pesticidi e all’imponente stock di quesiti del 1997 (golden share, obiezione di coscienza, ancora la caccia, l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti etc. etc. etc.). E’ un fallimento assai piu’ di misura di quelli precedenti, al punto da aver mandato a letto gli italiani la notte del 18 aprile quasi convinti che avesse vinto il si’. Ancora piu’ risicata risulta la sconfitta dei promotori se si considera – come e’ indispensabile fare – il fatto che l’attenzione dell’opinione pubblica era rivolta giustamente alla guerra e che l’esito del referendum – quale che fosse – non avrebbe potuto attenuare le preoccupazioni che vengono da quella parte. Ma e’ un fallimento. Ed e’ una sconfitta. Dei referendari. Ora si tratta di vedere quali conseguenze avra’ sulla vita politica nazionale, a cominciare dall’elezione del presidente della Repubblica, e che cosa ne sara’ del tormentato capitolo delle riforme elettorali. I due schieramenti, durante la campagna elettorale, hanno palesemente esagerato le conseguenze di una vittoria degli avversari: da parte del "si’" vi e’ stata una eccessiva enfasi (Segni, Di Pietro, non Fini e Veltroni, e tanto meno D’Alema e Berlusconi) nel ritenere che una vittoria avrebbe automaticamente portato a compimento, con una spallata, la transizione italiana verso un efficace sistema bipolare; da parte del "no" (Bertinotti, Cossutta, Bossi, ma non Marini) si sono alimentate speranze che, sconfitti i referendari, si potesse andare avanti all’infinito con una serie di partiti, piccoli e medi, in grado di far cadere qualunque governo in qualunque momento.

 

Ma una riforma ci vuole lo stesso

Cosi’ non e’. Una vittoria del si’ avrebbe probabilmente facilitato una riforma elettorale, ma non ce l’avrebbe regalata per incanto. La vittoria del no rende questa riforma piu’ difficile, ma non certo meno necessaria. Si tratta di vedere quale. E qui la stessa natura del referendum fallito non rende la risposta al quesito, si’ o no, cosi’ come era formulato, di per se’ risolutiva. Infatti il comitato di Segni, Abete e soci colpiva il residuo proporzionale (25%) della legge Mattarella, che non e’ affatto la ragione principale che causa frammentazione e proliferazione dei partiti. La questione posta nella scheda consegnata agli elettori aveva certamente un significato politico e indicava, se si rispondeva "si’", il desiderio di semplificare e stabilizzare la vita politica italiana in senso bipolare, se si rispondeva "no" (o se non si andava a votare) il desiderio di difendere la rappresentanza di formazioni minori, ma non toccava esattamente il punto cruciale da cui scaturisce l’instabilita’ dei governi. Rispetto a questo problema si trattava di un quesito sghembo.

 

La madre di tutti i guai

I governi eletti con il Mattarellum in Italia non sono instabili perche’ gli elettori sono affezionati ai loro partiti, grandi e piccoli, non cadono perche’ c’e’ una scheda proporzionale con la quale e’ possibile mandare in Parlamento anche formazioni dell’1%. No, i governi cadono perche’ sono espressi da coalizioni eterogenee che perdono pezzi lungo la strada, dopo essere state elette. E questa eterogeneita’, allo stato dei fatti, e’ indispensabile per vincere le elezioni, ma non a causa del residuo proporzionale, bensi’ a causa del sistema maggioritario a turno unico. E’ quest’ultimo la madre di tutti i guai. Non sto rivelando un segreto. Guardate, lo ha detto tante volte e non in sedi riservate ma sulla prima pagina del Corriere della Sera, Giovanni Sartori: se chi ha piu’ voti nel collegio uninominale prende il seggio al primo colpo fara’ accordi anche col diavolo pur di non lasciarlo ai suoi avversari. E’ questo meccanismo che produce instabilita’, come dimostra la storia del governo Berlusconi (nato dalla mescola di diavolo e acqua santa, con Bossi e Fini): la Lega provoco’ il ribaltone dopo avere eletto il grosso dei suoi parlamentari non con il recupero proporzionale bensi’ con gli accordi di cartello fatti con il Polo per candidare i suoi nei collegi uninominali. E lo stesso dicasi per Rifondazione che ha fatto cadere il governo Prodi con i voti guadagnati, non con la proporzionale, ma con gli accordi di desistenza fatti con l’Ulivo. Capito?

 

Un doppio turno ci salvera’

Solo con il doppio turno gli elettori possono vedere, prima, rappresentate le proprie specifiche preferenze politiche, e, poi, dirottare i propri voti su una seconda scelta, il meno peggio tra i candidati che rimangono in lizza al secondo turno. Anche in questo caso sono naturalmente possibili accordi, ma la confluenza verso maggiori aggregati sara’ molto piu’ forte. E’ il doppio turno l’obbiettivo fondamentale, non la soppressione della quota proporzionale. Resta da stabilire quale tipo di doppio turno (proposta Amato, proposta Sartori, altre), ma questa e’ materia dei prossimi mesi, quando si dovra’ decidere in ogni caso una ripresa della discussione sulla revisione costituzionale. Per quanto faticosa – e certamente adesso, dopo la vittoria del no, un po’ piu’ faticosa – questa tappa e’ inevitabile. Nulla e nessuno ce la possono risparmiare.

E allora e’ il caso di mettere da parte i toni esagerati, da una parte e dall’altra. Non avremo stabilita’ di governo, e dunque nessuna politica potra’ essere efficace e nessuna coalizione potra’ realizzare il suo programma fino alla fine della legislatura, se non si cambiano le regole elettorali. E qualunque sia il prossimo presidente della Repubblica.

 

 


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