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Editoriale

 

Editoriale/Turbolenze globali e guai locali

Giancarlo Bosetti

 

 

Giancarlo Bosetti

Incerti a destra e incerti a sinistra
E se avesse ragione John Gray? Sapete che cosa sostiene questo brillante professore di Londra? Che la politica europea e' entrata in una fase turbolenta, a destra, a sinistra, al centro, a causa dell'avanzata del capitalismo globale, il quale non e' una novita' assoluta, ma e' diventato veramente mondiale solo negli anni Novanta, quando i grandi mercati dell'ex blocco comunista hanno cominciato ad entrare nel circuito dell'economia occidentale. All'estensione planetaria della circolazione delle merci e del denaro si e' aggiunta la spinta dell'ideologia neoliberale globalista: totale deregulation, competizione basata sul lavoro a basso costo, ondate di disoccupazione. L'Europa ne e' investita in pieno e le tradizionali formazioni politiche (democristiani, socialdemocratici, liberali conservatori) non sono capaci di organizzare una risposta all'altezza. Il centrosinistra che governa l'Europa, dove piu' dove meno, ha abilmente occupato lo spazio politico del centro, proponendo qualche forma di equilibrio tra competizione economica e sicurezza, il centrodestra e' in fase di smarrimento (penultima copertina dell'Economist (http://www.economist.com, ma guardate anche la nostra rassegna estera), mentre l'estrema destra e' travagliata (vedi lo scontro Mégret-Le Pen - in Italia Fini e' gia' avanti di una tappa) dalla ricerca di una nuova fisionomia che le consenta un rilancio su basi nazionalistiche e anti-emigrati.

Pericolo all'alba
A vedere queste turbolenze c'eravamo gia' arrivati in molti. Dove sta allora la novita' della tesi di John Gray e del suo libro "Alba bugiarda" (dove le bugie sono quelle del capitalismo globale e dei suoi profeti)? Sta nel fatto che dietro lo sgretolamento delle grandi formazioni politiche, di cui sopra, lui non vede solo tante belle novita' di un'epoca rigenerata, ma un sintomo di pericolo. Il frantumarsi della destra democratica francese, uno dei pilastri della stabilita' europea del dopoguerra, fa il paio con le difficolta' dei socialisti al governo, con le incertezze e l'inconcludenza di Schroeder (chi legge il tedesco si veda il pezzo di apertura della "Zeit": http://www1.zeit.de/zeit/nacht/aktuell/199905.bilanz_.html), con il difficile cammino dello stesso New Labour. E sono imparentate con i garbugli della politica italiana.

Thatcherismo planetario
Governare senza mettere argini ai mercati finanziari mondiali e' praticamente impossibile. Dovunque si guardi, i progetti politici orientati all'occupazione, alla ripresa, agli interventi sociali, si trovano di fronte a una impasse. Ci vorrebbe una manovra europea, ma qui, fatta la moneta unica, non c'e' accordo sui poteri da attribuire alla Commissione e al Consiglio dei ministri, senza di che non ha senso parlare di politica europea del lavoro. Ci vorrebbe un'azione degli organismi finanziari internazionali, ma li' decidono gli americani che pero' pensano ai casi loro e non hanno intenzione di pilotare l'economia mondiale. La follia, secondo Gray, consiste nel fatto che si e' applicato il metodo thatcheriano, che aveva ragione d'essere nell'economia corporativa della Gran Bretagna degli anni Settanta, su scala planetaria.

Parlamento nuovo ma inutile?
Le stesse cose sostiene il superfinanziere Soros, che i vizi del capitalismo globale li vede da una plancia di comando. E' stato ascoltato dal Senato americano nel settembre scorso. Nel suo ultimo libro "La crisi del capitalismo globale" ha preannunciato il crollo brasiliano. Ma il Fondo monetario internazionale non e' intervenuto per tempo, sbagliando valutazioni. Altre voci critiche verso la corrente "globalista" si ascoltano in giro per le universita' europee, ma la materia sembra appassionare solo i circoli della sinistra radicale o qualche salotto. Rimangono letteratura. I leader del centrosinistra europeo, al governo, mettono l'accento sulla "modernizzazione", il che e' anche comprensibile perche' e' questo profilo dinamico che, per lo piu', ha loro consentito di vincere le elezioni. Ma in ogni caso non hanno abbastanza voce in capitolo nelle sedi "globali", perche', nonostante la nascita dell'Euro, non riescono a costituire l'Europa in entita' politica influente. Il vertice di Vienna e il congresso di Milano, del Partito socialista europeo, non sembrano in grado al momento di sbloccare il veto inglese alla formazione di un vero governo, capace di decidere a maggioranza, ne' di attribuire poteri effettivi al Parlamento europeo nei confronti dei parlamenti nazionali. E tutto questo nonostante tra poco si vada a votare per eleggerne uno nuovo, che, se nulla cambia, sara' largamente inutile, sempre costoso, ed appeso in un'aura celeste di irresponsabilita'.

La politica fatta a schegge
Le turbolenze europee hanno la meglio sulla relativa omogeneita' politica dei governi. Che i capi di governo appartengano a qualcosa che va sotto il nome di un unico partito e che pure non riescano ad accordarsi sulle cruciali questioni della costruzione politica europea, la dice lunga sulla violenza della perturbazione. In Italia poi il maltempo globale si accanisce su un campo politico ancora piu' accidentato che altrove. La frammentazione politica sembra destinata ad aumentare, con la nascita della lista di Prodi e Di Pietro. Si conferma una tendenza italiana degli ultimi anni, che spinge verso una forma di personalizzazione parcellizzata della politica: Dini, Maccanico, Cossiga, e poi Prodi e Di Pietro. Sono fenomeni pienamente democratici e legittimi, che, indipendentemente dal giudizio e dalle preferenze circa la qualita' delle singole iniziative, indicano pero' una tendenza opposta a quella della aggregazione in organismi politici maggiori. Nel migliore dei casi sono il segno di una transizione ancora non conclusa. Sono comunque la prova che il sistema elettorale lavora per rendere il paese non governabile e che bisogna modificarlo, con il referendum e poi con una legge che introduca il doppio turno. Il referendum da solo non bastera'. Lo ripete da tempo Giovanni Sartori: l'incentivo alla nascita di nuovi partiti piu' che dal 25 per cento di proporzionale (che sara' cassato dal voto) viene dal 75% di maggioritario uninominale a turno unico. Sta li' il congegno che alimenta il potere di ricatto dei piccoli partiti, perche' costringe i maggiori, per vincere, a fare alleanze generose che poi si scontano. Solo il doppio turno rappresenta un vero incentivo ad affrontare il corpo elettorale con una proposta di candidati e di programmi piu' coerente, compatta, e tuttavia capace di vincere.

Urgono veri partiti
La merce piu' rara nella politica italiana di oggi e' il "senso delle cose", la chiarezza sulla direzione di marcia, sulle proposte strategiche. I movimenti sulla scacchiera sono concitati, ricchi di democratici conflitti e di animosi scontri personali, ma il senso della partita non e' chiaro. Il collegamento tra persone e progetti non e' abbastanza trasparente. L'Ulivo era un tentativo, parzialmente riuscito, di riunire in una entita' dotata di senso forze che parevano abbastanza affini da accordarsi. Ora non e' piu' chiaro se dovra' essere sostituito o ricostruito diversamente. Ma la strada si fa comunque piu' lunga, se e' vero, come e' indiscutibilmente vero, che il "senso" a un proposta politica lo puo' dare soltanto la costruzione di un numero contenuto di partiti, capaci di aggregare, certo anche con qualche chiara e stabile alleanza, una maggioranza di governo. E di partiti non si puo' certo fare a meno, a sinistra e a destra, con statuti e regole di affiliazione, sedi deliberanti, organismi responsabili e revocabili e cosi' via. Senza questa terapia costruttiva, la politica italiana rischia di aggravare la febbre di una malattia seria che da tempo mostra qualche suo sintomo: la irrilevanza. La quale ha come corrispettivo, tra gli elettori che dovrebbero deciderne le sorti, un altro sintomo crescente: la indifferenza.


 

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