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Editoriale

 

Editoriale/La fabbrica dei Grandi Garbugli

Giancarlo Bosetti

 

 

Giancarlo Bosetti Come da una fabbrica automatizzata di insaccati che tira fuori würstel a velocita' vertiginosa, la cronaca italiana del presente sforna dilemmi, alternative, biforcazioni. Non sappiamo quanto le masse siano davvero coinvolte da questi enigmi. Ma, almeno a giudicare dai giornali, si direbbe: molto. Ma sara' vero? La politica, il costume, persino la religione: tutte le aree della vita pubblica sembrano diventati vulcani in attivita' permanente. Eruttano in continuazione materiali incandescenti, informi, confusi. Il materiale piu' raro e' la certezza, la chiarezza, la decifrabilita'. Siamo messi sempre di fronte al dubbio: di qua o di la'? Con questo o con quello? Ma sara' davvero una scelta inevitabile e necessaria?

La quasi-crisi e la quasi-soluzione
Un esempio spettacolare di garbuglio e' la quasi-crisi politica da cui siamo teste' usciti: la quasi-candidatura di Prodi alle elezioni europee, le quasi-dimissioni dell'Udr dalla maggioranza, il quasi-rientro di Cossiga nella maggioranza, il quasi-duello tra due premier in pectore alla guida del centrosinistra futuro, la quasi-soluzione temporaneamente trovata. Dove sta in questo caso il dilemma? Sta nell'affacciarsi di due diverse possibili interpretazioni della coalizione che puo' stabilmente radunare l'ala, diciamo cosi' alla buona, "progressista" della scena nazionale: una incentrata sulla alleanza dei partiti che formano l'attuale governo D'Alema, l'altra incentrata sul rilancio della coalizione, l'Ulivo, che ha vinto le elezioni del 1996 e che aveva portato a Palazzo Chigi Romano Prodi.

Tesi di dottorato di massa
Gli editorialisti sviluppano da settimane la "vexata questio" con una densita' intellettuale che ricorda la "disputatio" degli universali nel XII secolo o l'epoca d'oro della Scolastica, quando per una sfumatura interpretativa si finiva sotto scomunica. Come allora le soluzioni di compromesso si definiscono su testi che per un po' non possono essere modificati nel minimo dettaglio per non mettere in crisi il sistema. Questi equilibri non reggevano a lungo neanche nel Medioevo. Ma il nostro problema di abitanti di moderne democrazie di massa e' che, piaccia o non piaccia, i sistemi politici contemporanei funzionano decentemente se al corpo elettorale vengono sottoposte opzioni alternative chiare e distinte. In una societa' di massa la prova elettorale non puo' diventare una tesi di dottorato: le alternative devono poter essere illustrate attraverso gli ordinari mezzi di comunicazione e non soltanto in seminari per specialisti. La vigorosa ed appassionante discussione, che ci scorre davanti quotidianamente, tra diverse sofisticate ipotesi compositive degli elementi del gioco politico, reale e virtuale, non ha i caratteri di un prodotto finito, consumabile, commestibile. Non ha ancora la dignita' di un vero dilemma, di fronte al quale si possa decidere. Diciamo la verita': e' un semilavorato, un garbuglio, davanti al quale se ti chiedono di scegliere, la risposta piu' saggia e': i candidati si ripresentino tra qualche tempo, ci pensino sopra, discutano tra loro e presentino un testo meglio comprensibile.

Viva il referendum
Probabilmente, anzi sicuramente, una buona parte della oscurita' della politica italiana nasce dai difetti del sistema elettorale. E allora ben venga il referendum, che dovrebbe costringere a qualche semplificazione. Ma non illudiamoci che poi il garbuglio si dissolva automaticamente. Infatti dentro i materiali informi eruttati dal vulcano della politica nazionale si nascondono tanti altri virtuali dilemmi che si incrociano tra loro e si mescolano in un gioco con una quantita' di variabili praticamente incalcolabile: elezioni europee, referendum, Quirinale, future elezioni politiche. Volete un altro esempio? C'e' chi costruisce ipotesi di normalizzazione del sistema politico, per esempio Cossiga, attraverso la "sostituzione" di Berlusconi come leader del centrodestra e chi invece le costruisce, per esempio D'Alema, sull'ipotesi di qualche forma di patto con lui come unica condizione per una riforma costituzionale. Anche in questo caso pero' non ci troviamo di fronte, come elettori, a un dilemma reale, ma a composti di ipotesi virtuali. E anche in questo caso sarebbe bene che i percorsi alternativi ci venissero proposti in una forma compiuta ed esplicita. Cosi' potremmo scegliere.

I professionisti della politica e noi
Invece sembra prevalere una forma di calcolo da parte degli attori della politica professionale (che e' in se' pienamente legittima, nel senso che non desta ovviamente il minimo scandalo che chi fa politica aspiri a governare o a fare il presidente della Repubblica) in base alla quale si da' per scontato il nostro interesse per le loro sorti. L'intendenza seguira'. Questo automatismo e' invece tutto da dimostrare, o da costruire. Puo' essere dato per scontato soltanto presso i propri congiunti e amici, non presso gli elettori, i quali devono essere conquistati attraverso la illustrazione delle differenze tra strade diverse, persone diverse, progetti diversi. Lo sappiamo bene che quando funzionavano i grandi partiti di massa a base ideologica, un militante si riconosceva nelle battaglie dei propri leader, attraverso una delega di lungo corso, la simpatia ideale, la comune appartenenza a un movimento, l'identificazione. Ma cosi' piu' non e', se non in qualche plaga sperduta. Anche per questo i dilemmi diventano dei garbugli, perche' non sappiamo sempre bene "che differenza c'e' per tutti noi" tra il successo dell'uno o dell'altro.

Gioco corto o gioco lungo
Non e' da escludere, nella marea dei dilemmi dell'ora presente, che qualche leader politico riesca a ristabilire legami piu' forti con una sua base di massa radunando con abilita' le ragioni per "stare insieme" in un progetto politico attraente e duraturo. Ma quello che colpisce e' che nessuno tra i protagonisti della politica italiana di oggi sembri davvero interessato a un disegno di questo genere, che nessuno sia determinato a gettare con convinzione e tenacia lo sguardo al di la' delle prossime mosse sulla scacchiera. Nessuna nostalgia dei "grandi disegni", per carita'! Se il gioco "corto" e' l'unico praticato non ci resta che seguirne le evoluzioni e adattare le nostre scelte di elettori agli schemi "corti". Nessuno si illuda pero', tra gli eredi delle maggiori tradizioni politiche (Ds, Popolari, Verdi) di beneficiare di rendite da patrimonio. Se i politici incitano con il loro esempio al pragmatismo, anche gli elettori diventeranno sempre piu' pragmatici. Si prevedono amare sorprese.

A proposito di Dio e del Papa
Lo stesso stile vulcanico e ingarbugliato domina le discussioni in fase di avvio nel campo della religione. Ha cominciato Gianni Vattimo con una critica al Papa, dopo che aveva ricevuto il presidente del Consiglio e poi, soprattutto, con un gesto inconsueto, non dovuto e dunque doppiamente significativo, il regista Roberto Benigni. L'essenza di questa critica consiste nel fatto che la massima autorita' della Chiesa, secondo il filosofo torinese autore di un libro dedicato alle questioni di fede "Credere di credere", si dimostra sensibile al corteggiamento da parte di "laici del tipo oggi di moda: alquanto incerti sui propri valori filosofici ed etici, e disponibili ad ascoltare un messaggio cristiano nel senso piu' generico della parola; ma per questo anche meno interessati a interpretare questo messaggio, magari in polemica con l'insegnamento ecclesiastico ufficiale." Per Vattimo insomma il Papa si presta a esibizioni pubbliche senza scrupoli dogmatici solo finche' si resta in superficie: da una parte il riconoscimento alla Chiesa del suo ruolo generico di agenzia morale e spirituale, dall'altra la benevola attenzione del rappresentante di San Pietro a figure pubbliche di non credenti. Si tratta di uno scambio di beni simbolici sulla scena pubblica che si nutre di "superficialita'" e che merita di essere analizzato secondo la protesta del filosofo, perche' quando invece qualcuno "si sforza di prendere piu' radicalmente sul serio un cristianesimo capace di dialogare con la cultura e la filosofia di oggi" non trova piu' udienza "presso le supreme gerarchie della Chiesa" e deve contentarsi di andare a dibattere presso qualche simpatica comunita' di base. Seguono interventi di Barbara Spinelli, "Il trono vuoto del Papa" e repliche dell'"Avvenire" con Vittorio Morero e Franco Cardini: "Il Papa non e' una griffe". E controrepliche.

"Vengo anch'io"
Si capisce, dagli argomenti, che la discussione si annuncia, forse, di una certa importanza, anche perche' con una vita politica dominata dal gioco "corto", il gioco "lungo" della Chiesa sovrasta l'orizzonte dello spirito sia per i credenti che per i non credenti. Ma la posta del gioco diventa rapidamente oscura e i dilemmi che ci offre assai difficili da decrittare. Di che cosa si tratta? Di valutare la qualita' della lista delle udienze? Se ci interessa mettere a fuoco la natura dei rapporti tra la Chiesa ed il mondo laico nei suoi aspetti non solo politici (scuola privata, aborto, controllo delle nascite, liberta' sessuale etc.) ma anche morali e spirituali, allora perche' ridurla a una questione di "inviti"? Gli intellettuali rischiano di replicare l'errore dei politici, dando per scontato un seguito nell'opinione pubblica, che non hanno e non avranno se non offrono scelte chiare tra alternative di idee. E' vero che Vattimo, in un successivo intervento, ha spiegato che, quando si lamentava di non essere ricevuto dal Papa, ironizzava. Ma resta il fatto che tutto e' cominciato non da uno scambio di vedute avverse sui rapporti tra fede e ragione, ma dalla rivendicazione di uno spazio suo sulla scena, di una porzione di benefici nello scambio di beni simbolici. E' un po' come se anche Vattimo volesse andare al "Quirinale" dello spirito. Ambizione legittima. Ma perche' la cosa sia interessante per tutti noi deve preoccuparsi soprattutto di spiegarci perche'.


 

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