Recensione/Benvenuta in paradiso Paola Casella
Benvenuta in paradiso, diretto da Kevin Rodney Sullivan, scritto da Terry McMillan e Ron
Bass, con Angela Bassett, Whoopi Goldberg, Taye Diggs
Sarebbe interessante capire davvero perche' la differenza di eta', in
amore, debba diventare prima o poi importante, se non per chi l'amore lo vive, almeno per
chi sta a guardare, e si sente in dovere di tranciare giudizi. Ma Benvenuta in paradiso
non si preoccupa di dare spiegazioni tanto sofisticate: nel raccontare la storia di una
relazione fra una quarantenne e un ragazzo che potrebbe essere suo figlio l'accento rimane
sulla dimensione irreale, quella di favoletta consolatrice ritagliata su misura per
soddisfare le fantasie escapiste della single quarantenne in crisi depressiva.
Non e' un caso che la storia origini in Giamaica, il paradiso del
titolo, lontano dal mondo e dalla realta' quotidiana di Stella (Angela Bassett), ricca
agente di cambio con un divorzio alle spalle e un figlio a carico. A casa sua, Stella ha
tutto fuorche' un fidanzato: da vera donna in carriera, e' patologicamente in controllo di
qualunque situazione, compulsivamente responsabile, e quindi troppo impegnata anche solo
per guardarsi in giro. Oltretutto non e' una che si accontenta, e dunque non fa sesso da
secoli.
Una pubblicita' della Giamaica e l'insistenza della migliore amica
Delilah (Whoopi Goldberg) serviranno a tirarla fuori da questa triste routine, e
naturalmente, appena arrivate nel luogo "dove Dio vive", Stella incontrera' il
Grande Amore, Winston (l'esordiente Taye Diggs), vent'anni di muscoli e un cognome
importante come Shakespeare (!), per farci capire che dietro al corpo muscoloso si
nasconde anche un cervello di prim'ordine (una tesi peraltro mai dimostrata dal copione).

Da questo momento in poi ci sfila davanti un depliant cinematografico
della Giamaica, corredato da silouhette in controluce da LP di Fausto Papetti (o Claudio
Baglioni, versione "E tu") e inquadrature di corpi tonici avvinghiati l'uno
all'altro, volte a sottolineare la gloriosa maturita' di lei in contrasto con il vigore
giovanile di lui. Tutto gia' visto (su Love Boat, su Beautiful, sulle pubblicita' dei
solari Bilboa), tutto patinato e asettico, e tutto drammaticamente privo della benche'
minima sensualita', cioe' di quel potenziale arrapante che, da solo, avrebbe potuto
giustificare la visione del film (Rocco Siffredi in Romance insegna). Alla relazione fra
Stella e Winston non si crede nemmeno per un istante, e non perche' fra i due corrono
vent'anni, ma perche' non c'e' passa alcuna corrente - persino il sudore appare finto, ad
annusarlo probabilmente saprebbe di Badedas.
Poi c'e' l'irreale contesto sociale: la strana coppia suscita negli
altri le reazioni piu' disparate, tutte pero' accomunate dall'implausibilitą. Le sorelle
di Stella oscillano fra acritica complicita' e incomprensibile bacchettonismo, la madre
del ragazzo riduce la sua preoccupazione a una bizza infantile. Persino i problemi che
nascono all'interno della coppia sono poco realistici: invece di patire una mancanza di
terreno intellettuale comune (abbiamo gia' detto che Winston non brilla per acume o
cultura), Stella si lamenta perche' lui lascia in giro per la casa frammenti di patatine
fritte.
A questa bolla di sapone e' appiccicata, per buona misura, una zavorra
drammatica, la parabola dell'amica Delilah che scopre di essere ammalata di tumore. Whoopi
Goldberg ci consegna la solita alternanza di cialtronaggine clownesca e pathos
melodrammatico, riciclando passate interpretazioni tratte da Il colore viola o Il grande
cuore di Clara.

Non ho neppure citato il fatto che tutti i protagonisti siano di colore
perche' e' irrilevante, e, per una volta, questo non e' un bene. Indica solo che qualunque
razza, a qualunque latitudine, e' capace di portare sul grande schermo un prodotto insulso
e generico, appiattendo e banalizzando il proprio patrimonio etnico. Sprecata soprattutto
Angela Basset, la cui interpretazione del personaggio di Tina Turner in Tina: What's love
got to do with it? fu scippata dell'Oscar come miglior attrice.
Riconoscibile, ahime', la mano della sceneggiatrice (e autrice del
romanzo da cui Benvenuta in paradiso e' tratto) Terry McMillan, afroamericana
specializzata nel raccontare le traversie strappalacrime della nuova borghesia di colore,
viste esclusivamente in un'ottica femminile -- erano suoi anche il soggetto e la
sceneggiatura di Donne: waiting to exhale. Si tratta di revival delle commedie wasp anni
Cinquanta, o dei nostri telefoni bianchi (in questo caso neri), che in America vanno per
la maggiore fra le buppie (black urban yuppie) ma che rappresentano una magra conquista
per chi ha fatto tanta fatica per conquistarsi un minimo di visibilita' all'interno del
melting pot statunitense.
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