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Cinema/Bulworth il senatore

Paola Casella

 

 

Bulworth il senatore, scritto, diretto e interpretato da Warren Beatty, con Halle Berry, Paul Sorvino, Oliver Platt

Vittorio Storaro, che di Bulworth e' direttore della fotografia, ha detto che questo film e' l'esatta proiezione della personalita' di Warren Beatty, tanto l'uomo quanto l'artista. E i effetti i pregi e i difetti di Bulworth sembrano coincidere con i pregi e i difetti di Beatty, caratteriali e cinematografici.

La premessa di Bulworth e' semplice: nauseato dalla falsita' e ipocrisia del suo ambiente e travolto dal senso di inutilita' della sua vita, un senatore democratico americano decide di farsi assassinare da un killer professionista. Prima di morire, pero', vuole togliersi la voglia di dire alla gente quello che pensa, trasgredendo a quel dogma trasversale secondo cui un politico deve limitarsi a parlare solo e sempre del niente.

Dalle stanze del potere ai ghetti neri, in una citta' come Washinghton, il passo e' breve, soprattutto per chi, come il senatore, sta espiando non solo gli anni di bugie, ma anche i numerosi tradimenti nei confronti dei sottoprivilegiati che avrebbe dovuto difendere: Bulworth e' infatti uno di quelli che si sono fatti eleggere promettendo aiuto agli elementi deboli della societa', e che poi hanno governato scendendo a patti con l'opposizione: il che ha significato sacrificare i diritti di chi non ha voce in Parlamento.

Quali sono i pregi e i difetti di Warren Beatty veicolati dal film? Cominciamo dalla vanita', che con gli anni ha trovato nell'attore un salutare contrappeso di autoironia. Bulworth e' completamente incentrato sulla figura del protagonista, intorno al quale tutti gli altri personaggi (e attori) ruotano come satelliti minori, nessuno sufficientemente sviluppato come creatura drammatica, nessuno in grado di fare ombra al mattatore. Allo stesso tempo il senatore viene dipinto come un uomo estremamente incerto e fallibile: non un eroe, nemmeno un underdog in procinto di ottenere il suo riscatto, ma un signore avanti negli anni che si muove in modo maldestro senza saper bene cosa vada cercando.

Anche la leggendaria vanita' estetica di Beatty -- a lui Carly Simon aveva dedicato la sua canzone "You are so vain" -- viene messa in gioco: per la prima volta vediamo il divo senza cerone, illuminato da luci impietose che ne mostrano il cedimento fisico, ancora lieve, per un sessantaduenne, ma per la prima volta tangibile. Peccato che il regista (e l'uomo) Beatty non riesca a resistere alla tentazione di affiancare al suo Bulworth una compagna giovanissima, Nina (Halle Berry), che trova l'attempato senatore eroticamente irresistibile -- non e' una questione di potere, ci tiene a sottolineare il Beatty autore, ma di carisma sessuale.

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Il senatore Bulworth si identifica a tal punto con i neri del ghetto da diventare come loro, con il cavallo dei pantaloni alle ginocchia e il berretto di lana calcato sulla testa. E ritorniamo alla vanita' di Beatty: ci vuole coraggio a mascherarsi come un rapper, sapendo di risultare del tutto ridicolo in quanto bianco, sessantenne e privo di qualsiasi senso del ritmo. E d'altro canto, secondo il copione, la ragazza nera comincera' ad innamorarsi di lui proprio vedendolo ballare (malgrado Beatty ci dia ampia dimostrazione che, come dicono i neri, "white men can't groove") e finisce per chiamarlo affettuosamente il suo "nigger", usando (nella versione originale del film) il vocabolo con il quale i bianchi si rivolgevano ai neri al tempo della schiavitu', in seguito archiviato come insulto razziale, e infine ripristinato dagli stessi neri per apostrofarsi cameratescamente l'uno con l'altro.

Oltre all'ego di Beatty, in Bulworth va in scena lo spirito anarchico dell'attore-regista. Da sempre sostenitore della sinistra liberal americana, e' stato uno dei piu' visibili elettori (e rielettori) di Clinton, e ha firmato la regia di Reds (per il quale ha vinto l'Oscar, in piena era reaganiana), eppure riesce a mantenersi critico del "regime" anche se al potere ci sono i suoi, prendendo di mira innazitutto quella political correctness figlia del buonismo della nuova sinistra: Beatty fa dire ad esempio al suo senatore che e' ora che la comunita' nera smetta di scegliersi come modelli gentaglia alla O.J. Simpson sulla semplice base del colore della pelle.

 

Volutamente provocatoria e' anche la scelta di fare delle compagnie di assicurazione sanitaria -- quelle che hanno messo KO il programma di assistenza nazionale, uno dei cavalli di battaglia della prima campagna presidenziale Clinton -- i veri cattivi del film. All'indomani delle elezioni europee, poi, appare rivoluzionaria la proposta del senatore Bulworth di concedere spazio televisivo gratuito in egual misura a tutti i candidati politici: del resto e' sintomatico che la prima manifestazione del meltdown del senatore sia la sua maratona davanti al piccolo schermo, saltando da un canale all'altro, mescolando telepromozioni a spot politici a scene di soap opera, senza nemmeno interrompersi per mangiare e dormire.

Ci vuole un certo coraggio, in tempi di governo occidentale delle sinistre, a far gridare a Jay Bulworth: "Fatemi sentire quella brutta parola: SOCIALISMO!!" Finalmente un insider disposto a rompere l'omerta' del consenso, soprattutto a proposito dei rischi che comporta il raggiungimento del potere.

Ma anche questa presa di posizione risente dei limiti dell'uomo Warren Beatty, generoso e idealista, ma superficiale e inconcludente, nonche' del Beatty artista, curioso di esplorare nuovi territori ma fondamentalmente ancorato ai cliche' cinematografici hollywoodiani. Cosi' la parabola narrativa di Bulworth (il film) non e' piu' costruttiva del rap del senatore, che getta qua e la' spunti provocatori ma non suggerisce soluzioni possibili -- e' facile trovarsi d'accordo sule generiche invettive di Bulworth (il personaggio) perche' cadono per lo piu' nella categoria: "Piove, governo ladro". E la confezione del film e' troppo patinata -- anche nelle scene ambentate nel ghetto nero -- per risultare credibile, vicina alla realta'. L'abilita' dei "tecnici" dietro la macchina da presa, fra cui molti italiani (oltre a Storaro ci sono la costumista Milena Canonero e il compositore Ennio Morricone) finisce per fare da sostituto ad una vera originalita' registica da parte di Beatty.

Resta inoltre l'impressione che a scatenare la crisi di coscienza del senatore abbiano contribuito pesantemente alcune paure che appartengono all'uomo Beatty: la claustrofobia di una vita passata davanti agli occhi del pubblico, il senso di straniamento dalla realta' di uno che da decenni vive sotto una campana di vetro, la paura della morte per mano di uno stalker (il senatore Bulworth diventa un "bersaglio mobile" per il killer che lui stesso ha assoldato e del quale poi vorrebbe fermare la mano). E poi lo spettro della vecchiaia e l'horror vacui davanti all'avvicinarsi del nuovo secolo: il primo discorso politico che il senatore non porta a compimento inizia proprio con le parole "siamo alle soglie di un nuovo millennio".

Quella che poteva essere una parabola alla Frank Capra sulla capacita' di riscatto dell'uomo sul politico e dello spirito democratico sulle istituzioni (immediato il confronto con Arriva John Doe; curiosa la presenza del produttore Frank Capra Junior nei titoli di coda) si riduce dunque a una metafora della crisi di mezza (o terza) eta' di un uomo bianco americano ricco e famoso spiazzato davanti a un mondo che gli e' diventato estraneo e incapace di riorganizzarsi se non in maniera derivativa (di quella cultura che gli e' aliena). Piu' che una riuscita satira politica, Bulworth diventa quasi un vampire movie, col protagonista costretto a succhiare sangue nuovo all'"unica cosa viva" di quel mondo che gli sfugge di mano -- una donna, giovane e nera.

 

 

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