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Cinema/L'altra faccia di Beverly Hills

Paola Casella

 

L'altra faccia di Beverly Hills, scritto e diretto da Tamara Jenkins, interpretato da Alan Arkin, Marisa Tomei, Kevin Corrigan e Natasha Lyonne

Anche se L'altra faccia di Beverly Hills e' ambientato negli Stati Uniti, proprio in quella Beverly Hills che ha fatto da sfondo a innumerevoli film e telefilm oltreoceanici, fa l'impressione di un documentario su un paese sconosciuto, lontano anni luce dalla nostra conoscenza cinematografica dell'America. I protagonisti del film non hanno infatti nulla a che spartire con i liceali spocchiosi della serie televisiva Beverly Hills 90210 e nemmeno con le bionde siliconate che, nell'immaginario collettivo (e in parte anche nella realta'), popolano il quartiere piu' altolocato di Los Angeles. Sono una famiglia di poveracci, "gente nomade" che si sposta di continuo, a meta' fra il desiderio di mobilita' (anche sociale) e la necessita' di sfuggire all'ultimo creditore.

La loro Beverly Hills non e' quella delle ville con piscina ma un susseguirsi di squallidi motel "vorrei ma non posso" al confine del quartiere ricco, di diner con le poltroncine in finta pelle, di shopping mall per piccole tasche. Il capofamiglia, Murray Abramowitz (Alan Arkin, l'indimenticabile protagonista, accanto a Peter Falk, di Una strana coppia di suoceri), e' un divorziato incapace di mantenere un lavoro fisso, tanto per irrequietezza caratteriale quanto per inettitudine professionale. Il suo obbiettivo, nel trasferire la famiglia a Beverly Hills (anche se al suo estremo limite urbano), e' quello di dare ai figli una chance per il futuro. Nella societa' dell'apparenza, un buon indirizzo e la possibilita' di accedere ad una scuola prestigiosa possono fare la differenza.

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Dei suoi due figli maschi, Ben (David Krumholtz), il maggiore, condivide gli impossibili sogni di gloria del padre: solo che mentre il padre aspira semplicemente a un avanzamento sociale, il figlio cerca la celebrita' come star del musical. Il fratellino Ricky (Eli Marienthal) si accontenterebbe invece di un po' di stabilita', e di non dover assistere quotidianamente ai ripetuti fallimenti paterni. La loro storia e' raccontata da Vivian (Natasha Lyonne), l'unica figlia, divisa a meta' fra l'affetto per il padre e la vergogna nel ritrovarsi parte della famiglia piu' scombinata d'America: soprattutto dopo che si e' unita a loro la cugina Rita (Marisa Tomei), ex tossicomane costantemente sull'orlo di una ricaduta.

I tormenti di Vivian sono quelli tipici di un'adolescente, anche se prevalentemente virati verso la sfera sessuale -- la perdita della verginita', le mestruazioni impreviste, la misura di reggiseno, la scoperta del vibratore -- ma il suo contesto familiare e' assai piu' bizzarro di quello medio, anche cinematografico. La fonte ispiratrice e' la biografia di Tamara Jenkins, l'autrice e regista del film, classe 1961: questo spiega l'ambientazione temporale del film, quegli anni Settanta che ora vanno tanto di moda ma che, come il film ricorda, sono stati l'epitome di un certo kitch molto Made in America. Anche la Jenkins e' cresciuta sul lato sbagliato di Beverly Hills; anche per lei, come per Vivian, la massima aspirazione era entrare a far parte della classe media Nella sua impietosa descrizione di una famiglia piccolo borghese all'inseguimento del sogno americano, L'altra faccia di Beverly Hills risponde alla domanda che chiunque di noi sia passato per gli Stati Uniti si e' posto almeno una volta: chi sono quelle tribu' domestiche mal assortite nelle quali ci si imbatte casualmente nei MacDonald's, quelle dove non c'e' un componente familiare che assomigli all'altro (e il casting della famiglia Abramowitz rispecchia fedelmente questo principio), quelle i cui membri, di taglie e proprozioni altamente variabili, sono vestiti in modo impossibilmente incongruente?

Se per gli spettatori americani, soprattutto i coetanei della Jenkins, L'altra faccia di Beverly Hills risulta infatti facilmente riconoscibile, per noi spettatori italiani il ritratto della famiglia Abramowitz sembra uno studio antropologico su creature talmente distanti dai nostri usi e costumi da apparire solo vagamente nostri simili.

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Tuttavia, come succede anche di fronte a un documentario sui maori (o sui vulcaniani), dopo un po' cominciamo a identificarci anche con la tribu degli Abramowitz: la figlia scombinata ma vitale, il padre perdente ma non rassegnato, il ragazzo spinellomane che fa le prove di canto in mutande, il vicino di casa (Kevin Corrigan, uno dei volti nuovi del cinema indipendente americano, la versione yankee del nostro leoncavallino), e soprattutto la cugina Rita, completamente svitata ma terribilmente umana. Marisa Tomei nel ruolo di Rita, un personaggio alternativamente irritante e patetico, e' proprio brava. Quando crediamo di non poter provare per lei altro che imbarazzo e riprovazione, ecco che ci appare struggente e irresistibile nella sua ansia disperata di piacere -- a qualunque uomo che assomigli a suo padre.

L'altra faccia di Beverly Hills, che mostra l'altra faccia dell'America -- cioe' quella non ostentatamente vincente -- commuove nel modo piu' inatteso, cogliendoci alla sprovvista con le sue osservazioni universali all'interno di un quadro socioantropologico riconoscibile a buona parte dell'America ma alieno a noi italiani. E se la ricreazione meticolosa di un ambiente tanto lontano dal nostro puo' apparire a volte noiosa e spiazzante (mentre ha entusiasmato le platee del Sundance Film Festival e Robert Redford, produttore esecutivo del film), la malinconia che sottende la vicenda della famiglia Abramowitz diventa via via sempre piu' riconoscibile, dando anche a noi quella sensazione di nostalgia che la collocazione nel passato prossimo ha provocato immediatamente negli spettatori americani. Allora anche il realismo delle immagini, la crudezza di situazioni al limite del grottesco (nel genere del Laureato, per intenderci), che inizialmente ci spingono a commentare Only in America, lasciano il posto alla constatazione che un certo tipo di amarezza, un certo senso di sbandamento esistenziale, lo conosciamo tutti, e ci raggiunge a tutte le latitudini.

 

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