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Cinema/Matrix

Paola Casella

 

Matrix, scritto e diretto da Andy e Larry Wachowski, interpretato da Keanu Reeves, Laurence Fishburne, Carrie-Ann Moss, Jugo Weaving, Joe Pantoliano

 

Matrix e' cinema. Non necessariamente grande cinema, nel senso di radicalmente innovativo o terribilmente memorabile. Ma cinema nel senso di spettacolo d'effetto. E per un prodotto di intrattenimento, che nient'altro pretende di essere, l'impatto visivo e' tutto.

La storia e' quella di Thomas Anderson (Keanu Reeves), programmatore di computer di professione, pirata informatico per scelta, cioe' uno che, come osserva il suo datore di lavoro sul punto di licenziarlo, "pensa che le regole in qualche modo non lo riguardino". Un cane sciolto inserito in un contesto, come quello della societa' informatica, che invece comporta prevedibilita' e obbedienza alle regole: come dire, un tipico antieroe da grande schermo, nella tradizione degli investigatori privati anni quaranta -- Sam Spade, Philip Marlowe -- ai quali infatti Matrix fa piu' volte riferimento, anche visivo.

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Il nome di battaglia di Anderson e' Neo (nuovo, ma detto in lingua antica), la sua ossessione e' il dubbio che tutto cio' che lo circonda sia, in realta', una finzione. E ovviamente non sbaglia: il mondo intorno a lui altro non e' che una simulazione elettronica, un universo virtuale di nome Matrix, popolato da ignari esseri umani e umanoidi posti a guardia del Grande Segreto. Quando viene contattato da un gruppo di ribelli convinti che lui sia l'Eletto in grado di salvare il destino dell'umanita', piu' che sorpresa Neo prova sollievo: non si sbagliava, allora, non era tutto nella sua immaginazione. Il fatto che Neo venga letteralmente "chiamato" -- al telefonino -- e' una delle tante "ingenuita'" narrative di Matrix che rendono il film allo stesso tempo futuribile e vicino alla nostra esperienza, piu' simile ad un episodio della serie televisiva Superman che a un'inquietante premonizione di Kubrick (e infatti la via di passaggio fra i due universi, reale e virtuale, e' ancora la cabina telefonica dell'angolo).

Matrix riposa completamente sulla memoria cinematografica degli spettatori, che viene di volta in volta saccheggiata come risorsa narrativa o utilizzata come appiglio perche' lo spettatore non perda il filo della trama. Cosi' i paesaggi futuristici fanno chiaro riferimento a Blade Runner e a Fuga da New York, ma anche a 1984 e a Brazil, in particolare per quanto riguarda la visione di un universo nascosto dentro i muri, del quale sono indizi le tubature allo scoperto e i fili esposti che spuntano come funghi ai margini delle inquadrature. La scenografia di Matrix sta a meta' fra le architetture impossibili di Escher e le tavole dei fumetti Marvel -- forte l'eco del Batman di Bob Kane (e poi di Tim Burton). Ci sono insetti sottocutanei (Alien, L'alieno), riproduzioni umane in baccello (L'invasione degli ultracorpi), mutazioni genetiche in liquido amniotico (Stati di allucinazione).

Anche i personaggi di Matrix sono collage di acquisita cultura dell'immagine, e attingono al cinema, ai videogame, ai music video: il guru Morpheus (Laurence Fishburne), con la sua passione per la dimensione zen delle arti marziali, ricorda il Miyagi di Karate Kid; la ribelle Trinity (Carrie-Ann Moss) e' un incrocio fra Lara Croft e Natalie Imbruglia; i guardiani di Matrix stanno fra i Men in black e i Blues Brothers, con la faccia impassibile del clone di Terminator e cognomi banali e intercambiabili (Agente Smith, Agente Jones) del Quentin Tarantino delle Iene: ebbene si', era impossibile non fare il suo nome, parlando di un film che e' un collage di quelle immagini che costituiscono la mitologia della generazione under 35.

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Ancora piu' sapiente (e piu' furbo) e' l'utilizzo, da parte dei fratelli Wachowski, gli autori e registi di Matrix (33 anni Larry, 31 Andy), di dettagli "antichi" sparpagliati qua' e la nel corso del film, a cominciare dai nomi dei personaggi, per continuare con i pezzi d'arredamento anni quaranta -- le poltrone di pelle, i pavimenti a scacchi, gli archivi di legno nell'appartamento di Neo (per il resto infarcito di "equipaggiamento" tecnologico), il dossier su Neo che i guardiani hanno messo insieme (una vecchia cartelletta sgualcita, in piena era informatica), il televisore preistorico, le pillole (una rossa, una blu) che consentono al protagonista di scegliere fra beata incoscienza e padronanza di se'.

Fin dal loro film d'esordio, il lesbian thriller Bound, i Wachowski hanno dimostrato di capire perfettamente che ogni genere cinematografico ha una sua sacralita', fatta di simboli che vanno inseriti nel contesto, a volte anche in modo incongruente, per rassicurare lo spettatore: "This is a movie", ripetono astutamente i due astuti fratelli, c'e' l'eroe e l'eroina, il mafioso e' grasso e volgare, l'agente segreto ha l'auricolare incorporato, la gente del futuro si veste solo in gradazioni di grigio e di nero.

Anche la sceneggiatura trova l'esatto comfort level dello spettatore medio: velocissima ma tutto sommato facile da seguire, apparentemente ricca di spunti filosofici ma in realta' infarcita di banalita' che, estrapolate dal contesto, diventano umoristiche. Provate a pronunciare senza ridere, con la voce grave e solenne di Morpheus, frasi come: "La domanda ti trovera', se tu lo vorrai" oppure "Credi che sia aria quella che respiri?"

Il pregio di Matrix, a livello di trama, e' proprio quello di sollevare solo apparentemente interrogativi metafisici, accontentandosi di essere un efficace film d'azione. A livello visivo, Matrix sintetizza invece, in modo piu' efficace e meno pretenzioso, il pensiero filosofico di chi ritiene che la tecnologia abbia soppiantato l'umanismo. Quale immagine piu' sintetica di un universo di macchine che succhiano letteralmente enegia dall'uomo, arrivando a coltivare piantagioni di esseri umani come fonte di nutrimento?

L'odissea di Neo, novello Ulisse alla ricerca della verita', ripropone i tormenti dell'uomo moderno davanti al dilagare della scienza informatica: il senso di nutilita' ("Perche' proprio a me? Io non sono nessuno"), il senso di inadeguatezza ("Io non ce la faro' mai"), il disorientamento di fronte all'incompletezza dei dati disponibili per interpretare il proprio mondo (definiti "brandelli di informazione"), la necessita' di acquisire continuamente nuovi talenti ("Sai pilotare un elicottero?" "Non ancora"). Ma lo fa in modo semplice e volutamente superficiale, senza creare angosce esistenziali, ma solo un minimo di sottotesto narrativo.

Piu' che analizzarle, i fratelli Warchowski riproducono infatti le angosce dell'uomo davanti allo strapotere del computer, arrivando a concepire visivamente il loro film come una schermata, a far procedere la trama secondo la struttura ramificata tipica della tecnologia digitale, a presentare le inquadrature come "finestre" che si aprono in sequenza, affastellandosi in maniera non lineare esattamente come succede sulla "scrivania" digitale.

Se la ricerca dei personaggi di Matrix e' quella della profondita' (e infatti l'obbiettivo dei ribelli e' proteggere Zion, l'unica citta' rimasta "dove c'e' ancora abbastanza calore"), Matrix -- il film -- rimane saggiamente in superficie: la tridimensionalita' e' solo apparente, anche quando i protagonisti penetrano all'interno del programma di caricamento in realta' continuano a muoversi sul piano bidimensionale del grande schermo.

Matrix sfrutta al massimo le potenzialita' visive del mezzo cinematografico, la memoria degli spettatori, la flessibilita' degli effetti speciali con il solo obbiettivo e' quello di far uscire gli spettatori dalla sala sazi, non spiazzati.

E ci riesce, anche se e' una sensazione di sazieta' che, come succede col cibo cinese, dura giusto fino alla porta di casa.

 

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