La polveriera, di Goran Paskaljevic, con Lazar Ristovski, Miki
Manojlovic, Mirjana Jokovic, Sergej Trifunovic
Belgrado, 14 aprile 1998, ovvero prima dell'apocalisse: una citta'
abbrutita da sette anni di embargo economico, in preda al degrado, prossima al collasso.
Non c'e' un vetro che non stia per andare in frantumi, i cortili sono cosparsi di macerie,
le finestre attraversate dalle sbarre. La polveriera, l'ultimo film del regista serbo
Goran Paskaljevic, si svolge tutto all'interno di quella citta' e nell'arco di quell'unica
giornata e racconta le vicende di una ventina di personaggi, i cui destini sono
inestricabili come quelli delle tante etnie che fanno parte dell'ex grande Yugoslavia (e
infatti anche nel film, fra i serbi, c'e una famiglia di bosniaci, la cui decana si chiede
desolatamente "quando verranno a fare il censimento dei profughi").

C'e' il tassista (Nebojsa Glogovac) che e' stato torturato da un
poliziotto (Alexandar Berceck) e poi l'ha ripagato della stessa moneta; c'e' l'esule sulla
via del ritorno (Miki Manojlovic) che torna a riprendersi la fidanzata (Mirjana
Karanovic), salvo scoprire che lei si e' consolata con un altro; ci sono i due vecchi
pugili (Dragan Nikolic e Lazar Ristovski) che se le danno di santa ragione, alternando i
pugni ai ricordi di un passato comune, e l'escalation dei torti fatti e subiti si
trasforma in spirale di violenza, come nei Balcani. Ci sono giovani disoccupati che si
improvvisano tassisti e professori universitari costretti a fare gli autisti di autobus,
delatori e spie, sciacalli e borsaioli.
Tanti vinti, neanche un vincitore. Le figure piu' tragiche sono quelle
femminili: la giovane madre (Mira Banjac) abbandonata dal marito musulmano, che non puo'
piu' vivere li'; la ragazza (Ana Sofrenovic) che ha perso il fidanzato al fronte e quella
(Mirjana Jokovic) col boyfriend geloso che addebita a lei l'aggressivita' sessuale degli
uomini. Protagonista assoluta e' la violenza, che prende vita propria, e colpisce a caso,
ma raggiunge soprattutto i piu' deboli, come sempre.
La minaccia che incombe su tutti i personaggi e' palpabile e costante.
I personaggi inciampano gli uni negli altri, affondando nelle reciproche vite come
coltelli (e l'abbondante uso del primo piano, per ammissione del regista, e' un tentativo
di farli uscire dallo schermo per invadere anche la platea). Nel "paese senza
luce", dal quale "tutti vogliono svignarsela" e dove "tra poco
ricomincia il casino", la gente sopravvive convinta che "ci sono cose che non si
possono sistemare" e nessuno crede piu' "alle balle dei politici". La frase
ricorrente e': "chi se ne frega?", la domanda senza risposta e' "Di chi e'
la colpa?"
Dopo aver visto il film di Paskaljevic la guerra nei Balcani (o meglio,
il suo attuale proseguimento) appare se non necessaria, quantomeno inevitabile. Nel
descrivere un'umanita' messa a dura prova da circostanze di vita deumanizzanti, La
polveriera trasmette un tale senso di impotenza e frustrazione, una tale carica di rabbia
repressa da far pensare che la sicura fosse gia' stata tolta alla bomba due anni fa,
quando il film e' stato girato. Quasi tutti i personaggi, soprattutto i maschi giovani,
sono ritratti infatti come polveriere pronte per esplodere. E tuttavia i giovani hanno
ancora le foto dei gruppi rock appese in camera da letto; la signora borghese porta ancora
il suo colletto di volpe e si scandalizza per la maleducazione delle nuove generazioni;
l'orchestrina sul fiume continua a suonare, come quella del Titanic.

Impossibile rimanere indifferenti alle vicende dei personaggi di La
polveriera, alla loro carica umana, riconoscibile anche se grottescamente contorta, come
la maschera di Boris (Nikola Ristanovski), che con i suoi laconici commenti apre e chiude
il film, sotto le luci al neon del Cabaret Balcan (quale soprannome migliore per la
Jugoslavia?). Impossibile non provare un moto di sollievo di fronte ai tocchi di umorismo
dei quali Paskalievjc costella il suo film: humour nero, naturalmente, talmente estremo da
risultare quasi sgradevole (come quello di Vinterberg, o anche quello di Kusturica), ma
consono al contesto generale. Il fatto stesso di poter condividere una risata ci impedisce
di liquidare i protagonisti come "altro da noi" (poiche' di qui a definirli
"nemici naturali" il passo sarebbe breve).
La polveriera non e' un film che da' speranza, ma testimonia, mostra,
fa pensare, costringendoci a vivere sulla nostra pelle una situazione intollerabile, a
identificarci in individui caricati come soldatini a molla, a provare la claustrofobia
dello scoprirsi topi in trappola (e si sa che i topi in trappola, invece di prendersela
con chi li ha messi dentro, finiscono per accopparsi l'uno con l'altro). E sottolinea
ripetutamente quanto certe reazioni estreme siano il risultato diretto di un lungo
processo di umiliazione economica e sociale: dice Paskaljevic, "So di poter amare
Otello anche se uccide Desdemona, perche' capisco che cosa lo fa uccidere".
Tuttavia, se ad esempio paragoniamo i personaggi di La polveriera ai
disperati dei film di Ken Loach (per parlare di realta' e cinematografia contemporanee),
non possiamo non rilevare nei primi una componente maggiore di violenza incontrollata per
la quale l'aggettivo piu' immediato sembra essere "ferina". Facile, allora,
tracciare quella similitudine serbo-belva che tanta fortuna riscuote sulle pagine di molti
giornali, consentendo un chiaro distinguo fra buoni e cattivi nell'attuale situazione di
aperto conflitto.
Ma Paskaljevic sta ben attento a tracciare il ritratto di una
popolazione piu' inferocita che intrinsecamente feroce, piu' abbrutita che geneticamente
brutale, calata in uno stato di caos urbano e morale all'interno del quale sarebbe
difficile per chiunque trovare il proprio capo e la propria coda, figuriamoci sviluppare
una coscienza politica. Piu' che di coscienza, i serbi di La polveriera sono del tutto
privi di direzione. La loro citta' e' un tragicomico cabaret in cui la performance cambia
continuamente e dietro ogni sorriso si intravvede un ghigno, cosi' come dietro il vicino
di casa si nasconde il delatore e il tutore della legge e' pronto a trasformarsi in boia.
Forse la scena piu' interessante, da questo punto di vista, e' quella
che si svolge sul tram dirottato da un ragazzo (Sergej Trifunovic) che non sa chi
biasimare per la sua totale assenza di prospettive, e allora se la prende con tutti:
eccetto che con la coppia di vecchietti, probabilmente nati prima della creazione a
tavolino della
Jugoslavia, che gli si rivolgono trattandolo come una persona
ragionevole, invece che come una bestia inferocita. Come dire che appellarsi a quanto
ancora e' rimasto di umano (molto, secondo Paskaljevic) in un popolo orgoglioso e
combattivo funziona meglio che avvallarne la "belluina propensione alla
violenza".