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Cinema/Biglietti... d'amore

 

Paola Casella

 

 

Biglietti... d'amore, scritto e diretto da Richard Wenk, interpretato da Andy Garcia, Andie MacDowell, Richard Bradfrod, Laura Harris, Ron Leibman

 

Biglietti d'amore e' una commedia americana con un cuore profondamente latino. E' questa la caratteristica veramente originale di un film che, per il resto, e' la classica produzione hollywoodiana, con tutti gli aspetti positivi del caso -- la professionalita' delle immagini, la godibilita' estetica, la patina di glamour -- e anche qualcuno negativo -- certe ovvieta' della trama, certe incoerenze narrative, e le immancabili scenette da pubblicita' della Coca Cola.

Il cuore latino e' quello di Andy Garcia, americano di origine cubana, che di Biglietti... d'amore e', oltre che il protagonista, anche il co-produttore. Ed e' evidente che Garcia si e' buttato a capofitto nel suo ruolo manageriale, oltre che in quello artistico: il suo zampino e' dappertutto, dalla scelta degli attori a quella della colonna sonora, costituita in gran parte da musiche originali composte proprio da lui.

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La storia e' quella di Gary (Garcia, appunto), bagarino per professione e per passione, una passione che compete con quella per Linda (Andie MacDowell), commessa di giorno e chef di alta cucina di sera. Tanto Gary e' irresponsabile e irrequieto, quanto Linda e' posata e razionale, o almeno questa e' la spartizione dei ruoli all'interno della coppia. Linda, stanca di questo teatrino, lascia Gary, e da quel momento lui fara' l'impossibile per riconquistarla.

Linda e Gary sono una coppia che e' un piacere guardare: innanzi tutto perche' sono immensamente attraenti, due adulti ben polarizzati, per cominciare come maschio e femmina. All'interno di una gia' promettente chimica sessuale, si innestano varianti interessanti: Gary, ad esempio, e' il prinicipale sostenitore delle ambizioni di carriera di Linda, non solo perche' la ammira come persona, ma anche perche' ne capisce ed apprezza il talento per un'attivita' creativa tanto piu' nobile della sua.

Se Linda e' costruttiva, o almeno si sforza di esserlo, ripetendo a se stessa prima ancora che a Gary "Io ho un futuro", Gary ha solo fumosi "progetti", in realta' maldestri tentativi di mettere a segno il colpaccio, con un gusto per il rischio che ha piu' a che fare con il gioco d'azzardo che con l'imprenditorialita'. Nella sua apparente determinazione Linda manca tuttavia di quella fiducia in se stessa che solo Gary e' in grado di infonderle; e nella sua fluidita' ontologica, Gary mantiene alcuni punti fermi con sorprendente tenacia: l'amore per Linda, ad esempio, ma anche la protettivita' verso i suoi compari, primi fra tutti l'ex pugile Benny (Richard Bradford) e la sbandata Cyclops (Laura Harris), due strepitosi caratteristi che riescono a farsi notare persino in un film in cui il casting dei personaggi di contorno e' ricercatissimo e ricco di nomi di primo piano, da Ron Leibman nel ruolo di Barry, boss del commercio di strada, ad Elizabeth Ashley in quello della madre di Linda.

Il vero protagonista del film, quello a cui e' dedicata la fetta principale del tempo narrativo, rimane pero' Gary. E' evidente che il ruolo e' stato ritagliato su misura per consentire all'attore di esprimere non solo quanto aveva gia' espresso nei film precedenti -- il fascino dell'illegalita', l'appeal sessuale, il cachet romantico -- ma anche le valenze che non gli era ancora stato consentito dispiegare -- il ritmo comico, ad esempio, o la duttilita' interpretativa: dopo questo film, non si potra' piu' accusare Garcia, come e' successo in passato, di inespressivita' monocromatica.

Per fortuna l'attore (e produttore) e' dotato di abbastanza autoironia da non scivolare completamente nel narcisismo alla Kevin Costner (pensiamo alla scena in cui, dopo essersi tirato a lucido, dice a se stesso :"Che figo che sei", e subito dopo una vicina di Linda lo ridimensiona dicendogli: "Ma chi ti credi, Dean Martin?"), e anche di abbastanza generosita' interpretativa da lasciare spazio ai personaggi di contorno: alcuni, come Laura Harris, quello spazio se lo prendono di forza, ma fa onore al produttore Garcia il non aver fatto epurare neppure i momenti recitativi altrui che oscurano il suo Gary.

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Biglietti... d'amore e' anche ricco di imprecisioni cinematografiche volutamente non eliminate in fase di montaggio, per privilegiare la spontaneita' degli attori (la scena della preparazione del pranzo, in cui la mousse di salmone fuoriesce dalle tartine) o il realismo dell'ambiente (una comparsa che esce troppo presto dalle "quinte" e vi rientra precipitosamente durante la scena piu' commovente). Sono stratagemmi da cinema verita' (e Cassavetes, secondo l'autore-regista Richard Wenk, e' stato il modello ispiratore del film) ma anche indizi di una filosofia di disordine creativo che va a infilarsi fra gli ingranaggi ben oliati della confezione hollywoodiana -- una filosofia coerente con la forte componente etnica (non americana) del film.

Latino e' il ritmo, tanto sonoro quanto narrativo, di Biglietti... d'amore. Garcia si muove fra le inquadrature seguendo uno swing interiore e un background musicale a base di salsa e di merengue. Latina e' la propensione dell'attore (e del suo personaggio, che tuttavia non viene identificato come sudamericano) a stabilire un contatto umano anche fisico col prossimo. Latina e' l'onnipresenza dell'iconografia cattolica, collocata con quel misto di rispetto profondo e dissacrante ironia che compariva gia' nei film di molti registi italoamericani (senza pero' il sovrappeso melodrammatico della religiosita' di Scorsese o di Ferrara, che mal si adatterebbe ad una commedia romantica): il film si apre con una confessione (ma vedremo Gary entrare in confessionale con una bottiglia di birra), e l'evento clou e' l'arrivo del Papa al Madison Square Garden di New York (per l'occasione Gary e i suoi compari si travestiranno da ecclesiastici). Latina (e cattolica) e' la reverenza, piu' volte espressa nel contesto della storia, per la figura materna e per la maternita' in generale (credo che questo sia il primo film a identificare, nei titoli di coda, il feto nella pancia di un'attrice). Latini sono la maggior parte dei cognomi che appaiono negli stessi titoli di coda. Latina e' la sensualita' che pervade le inquadrature, e non solo durante le scene di intimita' (piu' che di sesso vero e proprio), ma anche durante quelle dedicate alla cucina (intesa come seduzione anche estetica del cibo) e alla musica ("Si goda il suono", dice Gary all'acquirente di un nuovo televisore dotato di stereo surround, gia' in preda ad un totale rapimento dei sensi).

Ma soprattutto latina e' la sostanza narrativa del film, che vede come protagonista un personaggio ai margini della legalita' e della societa' americana, il quale (come moltissimi immigrati sudamericani) non solo campa senza alcun documento che ne attesti l'identita', ma e' profondamente convinto che l'identita' sia una questione di riconoscibilita' fra esseri umani piu' che di scartoffie (emblematico lo scambio con una funzionaria dell'assistenza sociale: "Lei non ha documenti che provano la sua esistenza", dice lei. E Gary: "Ma come, non esisto? Nel mio palazzo sanno tutti chi sono!" -- e siamo a New York, dove gli inquilini normalmente si ignorano).

Come tanti immigrati, Gary si e' costruito un'etica personale parallela a quella del paese che lo ospita, ma non per questo priva di un codice d'onore: un'etica che non abbandonera' mai fino in fondo, con un orgoglio che e' tanto etnico quanto caratteriale (vedi il flash sull'arrivo del Papa a Cuba -- patria natale di Garcia). Non a caso la principale preoccupazione di Gary non e' quella esistenziale: lui sa benissimo chi e', anche se cio' non e' sanzionato dalle autorita' governative yankee, e cerca solo "il come" -- come cavarsela nella Grande Mela, come riconquistare la donna della sua vita.

 

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