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Cinema/Padrona del suo destino

 

Paola Casella

 

 

Padrona del suo destino, diretto da Marshall Hershovitz, con Catherine McCormack, Rufus Sewell, Oliver Platt, Fred Ward, Moira Kelly, Jacqueline Bisset.

Gran parte di "Padrona del suo destino" e’ imperdonabilmente kitsch: ad esempio l’oleografica ambientazione veneziana, realizzata al computer riproducendo i quadri del Canaletto (pazienza se il Canaletto dipingeva la Venezia del ‘700 e la storia del film i svolge nel ‘500), oppure i toni da feuilleton pseudostorico, o anche il casting internazionale, che vede quasi tutti gli interpreti bellocci e patinati – Beautiful sul Canal Grande.

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Ma sono proprio queste caratteristiche a rendere ‘padrona del suo destino’ immensamente godibile, come certi romanzetti Harmony, o come la serie cinematografica di "Angelica, la marchesa degli angeli": le belle facce (e corpi: quelli maschili, per una volta, esposti con altrettanta frequenza di quelli femminili), le belle inquadrature, i bei costumi, (firmati da Gabriella Pescucci), persino le belle luci rendono la visione innegabilmente gradevole. Allo stesso modo i dialoghi, veloci e arguti (pur oscillando fra il motto di spirito e la frasetta da Bacio Perugina), scorrono veloci, divertono, si lasciano ascoltare.

"Padrona del suo destino" e’ un fumettone rosa talmente ben confezionato che gli si perdonano le pretese ideologiche e persino quelle post femministe—anche perche’ il pubblico femminile e’ talmente impegnato a prendere appunti sulle tecniche di seduzione piu’ volte illustrate dal film da perdere la concentrazione necessaria per una vera incazzatura.

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La storia e’ questa: Veronica Franco (Catherine McCormack), giovane di bella presenza ma di umili natali, vede tramontare il suo sogno di amore per il nobile Marco Venier (Rufus Sewell, si suppone parente di Mara) e decide di ripiegare sull’unica carriera accessibile a una donna del ‘500, a parte quella di moglie ben maritata: diventa dunque cortigiana, come sua madre (Jacqueline Bisset) prima di lei. Il ‘mestiere’ (come lo chiamava De Andre’) le apre le porte sbarrate persino alle mogli piu’ in vista: quelle delle biblioteche, ad esempio, o quelle dei convivi maschili dove si discutevano gli eventi del giorno, le opinioni del tempo e il destino della Serenissima.

Naturalmente Veronica divento’ la piu’ abile delle cortigiane, idolatra dei suoi clienti fissi tutti belli e distintissimi, e’ ovvio), e alla fine amata anche da Marco Venier, Veronica riesce addirittura a pubblicare raccolte di poesie (questa e’ una storia vera, dice il prologo del film) che poi infligge ai suoi aficionados.

Poiche’ non tutto si perdona a una puttana, almeno non in una coproduzione della quale fanno parte anche gli americani, Veronica e’ destinata a scontrarsi con la Legge e la Morale, nella fattispecie i bigotti e le cornute, proprio come nelle canzoni di De Andre’. Il bello della trama e’ che, pur essendo immensamente prevedibile, ha la struttura di un caleidoscopio: non lascia il tempo di annoiarsi davanti all’incalzare delle scene. Ci si ritrova trascinati dalla vicenda, si sorride, si impara qualche trucco del mestiere. E si prova quasi invidia – un’invidia molto politically incorrect – per l’astuzia incolpevole della cortigiana capace di irretire plotoni di uomini (e influenzare cosi’ i destini che da loro dipendono) e la sua pragmatica capacita’ di distinguere fra cio’ che paga e cio’ che e’ solo tempo perso.

 

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