Cinema/Kiss Paola Casella
Kiss, scritto e diretto da Richard
LaGravanese, interpretato da Danny DeVito e Holly Hunter
E' uno strano debutto alla regia, quello di Richard LaGravanese,
affermato sceneggiatore hollywoodiano autore de La leggenda del Re Pescatore e I ponti di
Madison County: traendo spunto da un paio di racconti di Cechov, LaGravanese ha costruito
un film intimista alla Cassavetes imbrigliandolo, almeno visivamente, all'interno di un
genere cinematografico classico, il noir anni '40, con le sue atmosfere fumose, le sue
luci calde, i suoi interni claustrofobici, cui, per buona misura, ha aggiunto anche un
accenno di musical, un "numero" surreale che ricorda il valzer a Grand Central
Station del Re Pescatore.
Al centro della vicenda si muovono -- a tentoni -- Judith (Holly
Hunter) e Pat (Danny DeVito), lei ricca divorziata senza figli, lui squattrinato
manovratore di ascensore (quello del lussuoso palazzo in cui abita Judith) che una figlia
l'ha avuta e l'ha vista morire, di pari passo col suo matrimonio. Sullo sfondo, la New
York dello stereotipo, quella delle solitudini incasellate ciascuna nella sua cella di
alveare (esattamente come gli inquilini nel lussuoso palazzo di cui sopra) -- e' dunque
con genuina sorpresa che Pat descrivera' il suo primo incontro con Judith:
"All'improvviso una donna entra nell'ascensore e mi vede, vede ME".

Potrebbe sembrare l'incipit di una tradizionale storia d'amore -- la
ricca signora anglosassone e il povero manovale italiano (Pat di cognome fa Francato) --
di quelle disegnate per stamparti un sorriso sulla faccia, dopo averti portato per mano
lungo un iter tanto prevedibile quanto rassicurante.
E invece no. Kiss non e' una love story, e' un percorso di ricerca. La
trama e' elusiva, inquietante, irrisolta, e proprio per questo interessante. In tempo
reale, assistiamo ad una serie di tentativi, quelli di Judith e Pat per ritrovare se
stessi e la propria pace interiore, ma anche quelli di LaGravanese per individuare il
giusto registro narrativo. Non e' un caso che il film sia costellato di scene
"doppie", alla Sliding Doors: e se Judith, di punto in bianco, invece di
prendere sonno si buttasse dalla finestra del suo bell'appartamento? E se dietro a quella
porta si nascondesse l'uomo della sua vita?
Su tutta la vicenda domina il bisogno disperato di contatto umano dei
due protagonisti -- esigente, vorace e prioritario. Sarebbe facile trasformare
narrativamente questo bisogno parallelo in bisogno reciproco, e il bisogno reciproco in
commedia romantica (alla Minnie e Moskowitz, per restare in territorio Cassavetes). Ma
LaGravanese non cede alla tentazione di rendere convenientemente complementari le due
solitudini urbane, suggerendo invece che qualsiasi significativo scambio umano deve
attendere il superamento dello stadio del bisogno.

Nel suo peregrinare, Kiss e' qualche volta lento e ripetitivo, ma
rimane ricco di spunti visivi e concettuali. Troppo cerebrale per sedurre, troppo sensuale
per lasciare indifferenti, trova la sua originalita' proprio nelle sue contraddizioni, o
meglio, nella coesistenza delle possibili alternative artistiche e tematiche. Fra le tante
curiose incongruenze, quella di essere un film quintessenzialmente americano dal quale
traspare una sensibilita' europea: le radici italiane di LaGravanese e di DeVito
arricchiscono il personaggio di Pat di una carica umana inconfondibilmente etnica eppure
mai stereotipata.
Link:
Il
sito ufficiale (dove si puo' scaricare un trailer)
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