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Attualita'


Cinema/L'assedio

Paola Casella

 

 

Non e' facile valutare in parole un film che' soprattutto immagini, colore, musica: per i primi venti minuti, L'assedio e' infatti completamente non verbale, al punto che persino la narrazione cantata (senza traduzione in sottotitolo) da un vecchio pastore africano si riduce a puro suono, e il verbo ridurre non e' qui sinonimo di sminuire ma di eliminare tutto cio' che e' superfluo. Ecco un grande cineasta internazionale intento a seguire la prima regola del cinema: "Show, don't tell", cioe' racconta la tua storia in modo visivo, non letterario. E consigliamo a tutti la visione del film nella versione sottotitolata, sia perche' il mix di lingue parlate dai protagonisti andrebbe perso nel doppiaggio, che perche' i sottitoli sono talmente pochi da non interferire con il godimento visivo della storia.

La storia de L'assedio e' ambientata in un palazzetto cittadino di due soli appartamenti situati su due piani -- cosi' come la vicenda si muovera' su diversi piani narrativi, trattando di personaggi che vivono a vari livelli sociali, economici, culturali, stratificandosi strada facendo, come Roma, la citta' in cui si trova il palazzetto.

Piu' che un interno, il palazzetto e' l'interno di un orecchio (non a caso i due appartamenti sono collegati da una scala a chiocciola), dove si diffondono musiche diverse, via via conflittuali, corrispondenti, complementari. Alla musica classica eseguita da Kinski (David Thewlis), il pianista inglese che abita al piano superiore, si alternano (o si sovrappongono) i ritmi africani ascoltati alla radio da Shandurai (Thandie Newton), studentessa di medicina e domestica di Kinski che, ovviamente, occupa il piano inferiore. L'appartamento di Kinski e' vasto, opulento e fatiscente; quello di Shandurai e' una stanzetta spoglia con un armadio che in realta' e' il saliscendi utilizzato, in un passto non molto remoto, per trasportare le vivande dai piani bassi

della servitu' a quelli alti dei padroni. Attraverso quel tramite, di per se' simbolico della scala gerarchica all'interno della loro relazione, Kinski (o Mr. Kinski, come lo chiama lei, un po' alla Via col vento) fa arrivare a Shandurai (first name only) i suoi messaggi in codice: uno spartito corredato di un punto interrogativo, un fiore esotico, un anello mitteleuropeo. Quando lei gli restituisce l'anello, il regalo meno accettabile non solo perche' prezioso ma anche perche' del tutto estraneo alla cultura della ragazza, Kinski le confessa il suo amore, nato non si sa come, visto che fra i due ci sono stati solo incontri casuali all'interno della cassa acustica che entrambi chiamano per il momento casa. "Come posso farmi amare da te?", chiede Kinski, davanti alla comprensibile sorpresa di Shandurai. E lei risponde: "Libera mio marito di prigione".

Che il marito della ragazza sia in prigione noi spettatori lo sappiamo gia': le prime scene del film sono infatti ambientate nel paese africano oppresso da una dittatura dal quale Shandurai e' fuggita, un paese che non accetta opposizione, nemmeno quella di un maestro elementare intento a spiegare ai suoi allievi la (elementare) differenza fra un leader e un boss. Scene di enorme impatto visivo, sicuramente debitrici della profondita' e dall'essenzialita' di un piccolo film africano, prodotto dallo stesso Bertolucci, e passato dalla televisione italiana nel cuore della notte, come tutte le poche belle cose che appaiono sul piccolo schermo.

Dalla bellezza spoglia del deserto africano L'assedio passa alla complessita' visiva delle sequenze romane -- la stratificazione anche etnica della citta', ma anche l'accumulo di oggetti inutili e pretenziosi dell'appartamento di Kinski (situato in vicolo del Bottino). Una complessita' di cui Kinski si sveste a poco a poco, formalmente per procurarsi i fondi necessari a pagare la liberta' del marito di Shandurai, ma sostanzialmente per portare a compimento un rito di purificazione che ricorda quello francescano. "Thank you", sono le prime parole che Kinski dice a Shandurai.

La conquista del cuore di Shandurai, in realta', appare come un pretesto, anche perche' la passione del pianista per la ragazza, al di la' della bellezza della Newton, appare priva di fondamenti concreti (non aiuta il fatto che David Thewlis abbia movenze talmente femminili da far sospettare che le sue attenzioni sarebbero meglio indirizzate verso Agostino, l'amico italiano e omosessuale di Shandurai, interpretato dal simpatico Claudio Santamaria).

La storia d'amore fra Kinski e Shandurai non convince non solo perche' poco motivata, ma anche perche' in qualche modo offensiva. Innanzitutto per via della sproporzione di forze fra i due, lui ricco (grazie a un'eredita' familiare), in grado di svolgere senza preoccupazioni economiche il lavoro che ama, e bianco in una societa' di bianchi; lei povera, costretta ad un lavoro umile per poter realizzare le sue aspirazioni alte, e nera in un paese che usa ancora il termine extracomunitario come un eufemismo.

A ben guardare, e' il senso di colpa ad animare (verrebbe da dire a giustificare) i sentimenti di Shandurai verso gli uomini della sua vita: verso il marito, che Shandurai ha in buona sostanza abbandonato in prigione senza alcuna previsione di essergli di aiuto, una volta espatriata, e verso Kinski, che in fin dei conti si spoglia di tutto per aiutarla a liberarsi del senso di colpa nei confronti del marito.

Dovere e riconoscenza: le due piu' antiche catene che possono legare una donna a un uomo. Viene allora il sospetto che l'utilizzo di una ragazza nera (o ispanica, come era nel racconto di James Lasdun, da cui L'assedio e' stato tratto) come protagonista femminile sia funzionale a una parabola antica, quella della schiava di cui il padrone si incapriccia al punto da liberarla, in modo che lei, per senso del dovere (o di casta), possa tornare dalla sua gente. "Thank you", scrive Shandurai a Kinski, dopo la scarcerazione del marito. Poi si corregge: "I love you". La differenza non la sa nemmeno lei.

 


Per certi versi, la storia de L'assedio ricorda quella di Figli di un Dio minore, un altra parabola di comunicazione non verbale (o dell'incontro fra i vari universi della comunicazione). Ma li' la protagonista, anche se priva dell'udito, era una giovane donna americana emancipata quanto basta per rifiutare la condiscendenza implicita nel ruolo del suo amante-professore, per negargli ogni forma di gratitudine, anche quella meritata, nella coscienza di dover difendere la propria facolta' di scelta sentimentale.

Non e' allora un caso che, all'interno dell'attillatissima struttura narrativa de L'assedio, di una sceneggiatura senza sbavature ne' sprechi, Bertolucci si lasci andare a due scene apparentemente
incongruenti: una sequenza di incubo, in cui Shandurai vede la faccia bianca di Kinski stampata sui manifesti di propaganda del suo paese africano al posto di quella del dittatore nero, cioe' la rappresentazione onirica dell'imperialismo emotivo messo in atto nei confronti della ragazza dal padrone bianco "illuminato" (non a caso il film si intitola L'assedio, ed e' Kinski ad assediare Shandurai, anche se "passivamente", per progressive sottrazioni), e la scena dell'ubriacatura della ragazza prima di consumare il suo "debito" con Kinski, scena che contraddice narrativamente il personaggio di Shandurai, fino a quel momente coerentemente dignitoso.

Solo con l'aiuto dell'alcool, sembra dire Bertolucci, Shandurai accetta di cedere al ricatto del suo salvatore-padrone, perche' il suo amore per Kinski non e' (non puo' essere?) il frutto di una scelta lucida, ma solo la conseguenza di un temporaneo ottenebramento della coscienza, di un abbassamento volontario della guardia.

Sono queste le uniche scene stonate all'interno di una sinfonia perfetta. Ma e' proprio grazie ai due accenni di cacofonia che Bertolucci, quasi piacione nella sua volonta' di girare un film esteticamente e acusticamente perfetto, da' (neppure coscientemente, a sentir lui) il colpo di coda del vecchio squalo, facendo tonare alla mente l'antica forza sovversiva di quell'altra storia di non-amore ambientata all'interno di una casa, L'ultimo tango a Parigi.


Link:

Il sito ufficiale : http://www.medusa.it/arrivo/xassedio.htm



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