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Uguaglianza e differenza: dall'identità gerarchica all'identità liquida



Silvia Vegetti Finzi




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Uguaglianza e differenza: dall'identità gerarchica all'identità liquida


Quello che segue è il testo dell'intervento di Silvia Vegetti Finzi, docente di Psicologia Dinamica all'Università di Pavia, al convegno Antinomie dell'educazione nel XXI secolo

UGUALE/DIVERSO

1) Diversi da chi?

"Uguale/diverso" sono due termini relativi che si implicano a vicenda. Ognuno sembra presupporre, seppur con esiti differenti, un confronto speculare. Quando il paragone coinvolge due soggetti, vi è qualcuno che, guardando contemporaneamente se stesso e l'altro, si riconosce uguale oppure diverso. Ma uguale o diverso da chi? Ciò che i due attributi di paragone non esplicitano, anzi spesso celano efficacemente, è che le due immagini non sono equivalenti: una è paradigmatica rispetto all'altra. Non c'è reale reciprocità in quanto l'onere del confronto spetta a una parte sola, la più debole, restando quella predominante, la pietra di paragone, ferma e sufficiente in se stessa.

Nel caso del rapporto maschile-femminile, la dissimmetria è evidente: il maschile è priorità, totalità, unità, identità, è un sesso che esiste in sè e per sè, il femminile di contro non ha altra esistenza che la sua differenza. Mentre uno si definisce in base a ciò che è, l'altra si definisce soltanto in virtù di ciò che non è. Il sesso femminile è il sesso mancante.

Da questa dissimmetria, che sta alla base dell'ordinamento dicotomico del mondo, si dipartono molte altre contrapposizioni, accumunate dal fatto che il pensiero occidentale non riesce a prospettare l'alterità in un registro di parità; declinare contemporaneamente eguaglianza e differenza gli risulta difficile se non impossibile. Quando si giudica qualcuno o qualche cosa come " diverso", "differente", "altro" , si produce immediatamente una diseguaglianza, si attiva una gerarchia per cui i due termini si dispongono automaticamente lungo gradini successivi di una medesima scala di valori.

L'inserimento dei dati in una dimensione verticale vale per tutti i paragoni, per quelli apparentemente innocui, come sopra-sotto; caldo-freddo; nord-sud, destra sinistra. E per quelli evidentemente coinvolgenti come uomo-animale; cittadino-barbaro; sano-malato; adulto-infante; maschio-femmina; uomo-donna. Se è vero che il primo schema d'ordinamento messo in atto dai bambini è la contrapposizione maschio-femmina, come Freud racconta nel Caso del piccolo Hans (dove il bambino divide uomini e animali in chi ha e non ha il "fapipì") e come autorevoli studi antropologici sembrano confermare, si può supporre che la relazione tra i sessi stia a fondamento di ogni polarizzazione. E, di conseguenza, ipotizzare che riequilibrare i rapporti uomo-donna, maschio-femmina possa produrre mutamenti strutturali nella società e nella cultura.

Tuttavia non è facile, come vedremo, smontare il congegno che congiunge e disgiunge la coppia umana perchè il legame interseca piani diversi e soprattutto perchè gli strumenti con i quali dovremmo compiere l'indagine sono essi stessi forgiati da quella fondamentale dissimmetria. Negli anni '70 il pensiero femminista ha cercato in ogni modo di svelare la sessuazione del linguaggio e denunciare i dispositivi di dominio insiti nell'apparente neutralità del discorso. Ad esempio è significativo che un insieme di soggetti o oggetti femminili siano qualificati grammaticalmente tali finchè non subentra un elemento maschile, ne basta uno solo perchè tutte le attribuzioni si trasformino in maschili: Maria è bella ma Maria, Angela, Pia e ...Pietro sono belli.

Appena si esce da ciò che è singolare, particolare, parziale e contingente e ci si avvicina per prossimità al totale, generale, universale, necessario, il genere femminile decade a sottinsieme del genere maschile. Quando trent'anni fa il femminismo si propose di cambiare il mondo attraverso una ridefinizione del rapporto tra i sessi si scontrò con la microdiffusione dei poteri, con la constatazione che il potere non è solo quello solidificato nei grandi apparati autoritari ma circola altressì come un liquido invisibile nelle arterie della vita quotidiana, dei corpi, dell'identità, circola nel rapporto che ciascuno intrattiene con se stesso. La soggettività, sostiene l'ultimo Foucault, è il luogo privilegiato del potere. Ma che cos' é un soggetto nell'epoca della microfisica dei poteri? E' significativo che per rispondere a questa domanda Foucoult abbia progettato per prima cosa una storia della sessualità.

Abbandonato il progetto dopo i tre primi volumi, Foucault era giunto ne La volontà di sapere alle soglie della psicoanalisi ma non si è mai innoltrato nel testo freudiano, non ha affrontato le contraddizioni di un'analisi psicoanalitica della sessualità umana che procede in modo così articolato e complesso da perdere continuamente il filo del discorso.

Tanto che la verità, come un miraggio, si sposta sempre più in là finchè, come vedremo, l'indagine si conclude con una drammatica dichiarazione di sconfitta: la differenza tra i sessi, riconoscerà l'ultimo Freud, segna il limite della ricognizione dell'inconscio. E Lacan di ricalzo, ribadendo la dissimmetria uomo-donna: "Non esiste rapporto sessuale".

L'"enigma della femminilità", che in un certo senso costituisce l'inizio e il fine dell'impresa psicoanalitica (basta pensare alla centralità dell'isterica), resta così insoluto, il "continente nero" inesplorato e incalcolati gli effetti di questo "non sapere". Rimane comunque aperto il compito di chiedersi il perchè di quell'impasse, quale errore di teoria, di metodo, di prassi abbia reso impossibile una delle imprese conoscitive più urgenti e radicali della modernità. In ogni caso però, aver mancato la soluzione, non inficia il valore dell'analisi perchè, come vedremo, se non è stata detta tutta la verità sulla femminilità sono tuttavia emersi spezzoni di sapere, elementi d'esperienza utilizzabili per impostare meglio, più criticamente la ricerca.

In questo senso mi sembra che siano stati raggiunti, come vedremo, due risultati importanti. L'interrogativo sull'identità sessuale in sè, come essenza della personalità, è destinato a non trovare risposta perchè l'identità è sempre effetto della relazione: il riconoscimento o è reciproco o non è. Nel frattempo la prospettiva ha acquisito profondità in senso storico e psicologico: si è ormai compreso che, per conoscere chi siamo, dobbiamo chiarire dove vogliamo andare e da dove veniamo. L'intenzionalità, rivolta al futuro, si riversa sul passato riattivandolo, l'urgenza di nuove domande propone differenti priorità, alla luce del desiderio contenuti di conoscenza, ormai inerti, riemergono con straordinaria intensità. Ciò che sembrava ovvio diviene problematico e la cultura si rivela inseparabile dalla vita e il libro dal mondo.

Osservazioni e proposte

Se accettiamo che la definizione dell'identità personale non può prescindere dall'identità sessuale, dobbiamo chiederci come è possibile, nella scuola, impostare una ricerca o almeno una sensibilizzazione in tal senso. Poichè la società e la cultura sono implicitamente o esplicitamente organizzate in base a una presunta supremazia del maschile sul femminile, occorre riconsiderare l'ordine del discorso, reinterrogare il patrimonio plurisecolare di sapere con domande nuove, che non siano già contenute nei suoi codici.

Ma per far questo non possiamo affidarci a compiti istituzionali, a percorsi precostituiti, a pre-cognizioni, a pre-giudizi. Non saranno gli women-studies a sostenere una ricerca che comporta passione e rischio, che impegna in prima persona oppure procede stancamente per vuote retoriche e rituali mimetici. Occorre compiere una lacerazione violenta dell'ovvio e del noto che solo una profonda emozione può attuare.

E' preliminare a ogni didattica della differenza produrre consapevolezza del disagio della femminilità, prendendo le mosse non dai problemi astratti ma dall'esperienza concreta, dal malessere che serpeggia in una società formalmente paritaria ma in realtà ancora iniqua. Si può iniziare con un'osservazione valida per tutte: la paura di rincasare sole la sera, oppure con l'evidente esclusione delle donne dallo spazio della politica o con la difficoltà di conciliare il doppio lavoro, professionale o di cura.

Ma anche con l'incidenza dell'anoressia tra le adolescenti, con l'esibizione televisiva dei corpi femminili, persino con le emozioni destate da terribili fatti di sangue di cui sono state vittime o artecifi giovani donne. Oppure da eventi magari piccoli ma che hanno coinvolto direttamente le ragazze, la scuola, la classe, il gruppo. Come dicevano le prime femministe: "Partire da noi".

Un "noi" che ora coinvolge anche gli adulti, finalmente sensibilizzati e responsabilizzati, pronti ad accogliere gli adolescenti nella complessità delle loro persone e non soltanto come oggetti di istruzione ed educazione. In ogni occasione si invitano gli educatori ad "ascoltare" ma questo presume che i giovani sappiano cosa dire, siano in grado di esprimersi e ne sentano il bisogno. Sappiamo invece che quando ci si avvicina al cuore delle emozioni le parole tacciono, le bocche ammutoliscono.

Chi ha più bisogno di aiuto meno lo chiede. Nella contrapposizione silenzio-parola, ascolto-comunicazione colgo ancora l'effetto del pensiero dissimmetrico. Nel vero dialogo non c'è bisogno di un manuale che stabilisca priorità, che assegni posti e ruoli. Parole e silenzi, ascolti e interventi si intrecciano e si susseguono in base a uno spartito interno, a una musica che produce coralità per cui alla fine è irrilevante chi parla e chi ascolta purchè tutti si sentano coinvolti e compresi.

A questo punto ogni argomento scolastico può essere oggetto di analisi sulla differenza sessuale. Ricordo, per la Storia, che un manuale degli anni '70 recava in quarta di copertina queste parole di Bertold Brecht: "Tebe delle sette porte, chi la costruì?/ Ci sono i nomi dei re, dentro i libri. Sono stati i re a strascicarli, quei blocchi pietra?/ Una vittoria in ogni pagina. / Chi cucinò la cena della vittoria?"

Quel libro proponeva una storia che si possa usare: non per trarre "lezioni" da un passato troppo diverso, ma per arricchire di nuove dimensioni il patrimonio di conoscenze vive, la capacità di comprendere anche e soprattutto il presente, per quanto esso ha di vecchio e di nuovo. Una storia, insomma, per pensare: raccontare in un libro che non impegna la memoria nella sequela delle peripezie del potere - i suoi re, le sue battglie, le sue cronologie - ma chiama al lavoro, in chi legge, le energie della riflessione critica, di fronte alla storia di un passato ma anche a quella, possibile di un futuro diverso.

Nel progetto di delineare una nuova identità femminile occupa una posizione prioritaria la revisitazione critica della storia della cultura, particolarmente radicale nelle sue origini filosofiche. Riprendiamo pertanto il discorso sulla differenza sessuale a partire da Platone, dalla sua plurisecolare incidenza sulla cultura, compresa quella psicoanalitica, che ritrova nell'immaginario storico gli "stampi" che ci hanno reso ciò che siamo.

La differenza delle differenze

Se procediamo ora con gli occhi rivolti al passato, vediamo che uno dei più efficaci operatori di dissimmetria è rappresentato dall'antinomia materia-forma, dove la forma si pone in una posizione di indiscussa eccellenza rispetto alla materia. Questo paradigma, che trova nel pensiero di Platone la sua più potente sistemazione, costituirà, come vedremo, una straordinaria giustificazione dell'inferiorità del sesso femminile.

Non direttamente ma attraverso le ricadute di uno schema di ordinamento che ancora governa la nostra cultura e la nostra mente. Non si tratta di un modello meramente formale perchè l'uomo trae dal gioco delle differenze la conferma della propria identità. Con il termine "Uomo" intendo qui il concetto astratto, ciò che comprende e trascende le esistenze individuali. Come ha più volte osservato Adriana Cavarero, l'universale "Uomo", il soggetto dell'umanità, si presenta come un termine neutro, ma in realtà esso è implicitamente maschile.

Scrive Cavarero in " Nonostante Platone": nel quadro della nostra cultura , al di là delle molteplici figure che la animano , "un soggetto maschile, che si pretende neutro/universale, dice la sua centralità e disloca intorno a sè un senso del mondo a sua misura...." Le figure femminili occupano un posto solo in riferimento alla prioritaria figura maschile, abbiamo così le coppie: Zeus-Era; Ulisse-Penelope, Faust-Margherita, don Giovanni-Zerlina , dove il soggetto è sempre maschile, il suo complemento, femminile. (Nonostante Platone, Editori Riuniti, Roma 1990, p. 4).

Ora accade che, dopo un secolo di emancipazione , le donne siano state chiamate a partecipare al Convivio più esclusivo, quello della cultura, dove viene loro addirittura concesso di formulare discorsi nel codice che, per essere il più universale è anche il più maschile, quello della filosofia. Ma, paradossalmente, mentre enunciano la propria soggettività rischiano di smarrire la propria identità e di parlare a costo di non dirsi, di nascondere dietro l'abito delle parole la propria estranea nudità. La donna non ha figura che la traduca come soggettività femminile ed è costretta a riconoscersi nell'immaginario dell'altro....e alla soggettività femminile che cerca figure vengono incontro stereotipi di un'antica deportazione nel destino dell'uomo"( ivi).

Nell'ordine simbolico patriarcale, in cui la donna è una sottospecie dell'umano, negare le pretese universilistiche del soggetto maschile , mette in crisi l'intera impalcatura simbolica della cultura occidentale, fondata appunto, come premesso, su un modello dicotomico e gerarchico. Storicamente l'uomo si è avvalso, per affermare la sua superiorità, innanzitutto dal confronto con gli animali. Nello stile arcaico della similitudine o della fiaba, gli animali hanno costituito lo specchio per mezzo del quale l'uomo ha cominciato a vedere se stesso. (Mario Vegetti ne Il coltello e lo stilo, Il Saggiatore, Milano 1987, II edizione).

Anche per quell'"altro" che è la donna vale la stessa commistione di fantasia e realtà. E' significativo a questo proposito ritrovare all'inizio dell'impresa scientifica, accanto a obiettive conoscenze sperimentali, l'intrusione di immagini fantastiche che negano dell'evidenza , deformano la realtà pur di mantenere, nel rapporto tra i sessi, la supremazia spettante al maschio, il suo marchio d'identità.

Trattando un argomento apparentemente neutrale, come la riproduzione degli animali, Aristotele, nell'Historia animalium, delinea una differenza sessuale tra maschile e femminile, finalizzata a dimostrare la superiorità del primo termine sul secondo, una dissimmetria destinata a durare per secoli. Nel suo modello di generazione, il primato spetta allo sperma, sangue perfettamente lavorato dal calore maschile sino a depurarsi da ogni residuo terroso e diventare "pneuma" (spirito, anima).

Una mescolanza di aria e acqua che costituisce il principio immateriale della vita e della forma. E' il pneuma che agendo sul mestruo trattenuto nel corpo femminile vi insufla la vita e presiede poi al processo generativo. All'attività maschile si contrappone la passività femminile, destinata semplicemente , come la terra, a contenere e nutrire il seme. Paradossalmente il sesso generante si configura allora come quello maschile.

Quando nell'Ottocento si scoprirà la funzione dell'ovulo come portatore della metà dei caratteri genetici ereditati dal figlio, si continuerà comunque a negarne la mobilità, tanto che a lungo Freud riterrà la passività come l' attributo qualificante della femminilità.

Donna non si nasce, si diventa

Solo nel 1932 tenterà faticosamente di liberarsi di tale sterotipo giungendo alla conclusione che le donne ricercano attivamente una meta passiva ma, osserva: "dobbiamo stare attenti a non sottovalutare l'influsso degli ordinamenti sociali , che parimenti sospingono la donna in direzioni passive "( S. Freud, La femminilità, Lezione 33, in "Opere", vol. 11, p. 222). Più oltre Freud osserva che nella donna la repressione dell'aggressività, così come le è prescritto dalla costituzione e imposto dalla società, favorisce lo sviluppo di forti impulsi masochistici . Ma, dato che esiste anche un masochismo maschile, si conferma che la psicologia non è in grado di sciogliere l'enigma della femminilità.

Sposta allora l'obiettivo: la psicoanalisi non si propone di descrivere ciò che la donna è - sarebbe un compito superiore alle sue forze- ma di indagare il modo in cui essa diventa tale, il processo attraverso cui dalla bambina, che ha una disposizione bisessuale, si sviluppa la donna.

Tuttavia le cose non sono così semplici. Nello schema evolutivo della sessualità, a un certo punto, verso i tre anni, la bisessualità della bambina scompare e Freud decreta non senza contraddizioni: "Adesso la bambina è un ometto". Da allora in poi si pone all'"ometto" il compito di femminilizzarsi, cioè di identificarsi in opposizione a ciò che lei stessa era.

Compare cosi un'interessante divaricazione tra l'evidente differenza sessuale dei corpi e la faticosa e parziale differenziazione psichica tra i sessi. Se così stanno le cose, contrariamente a quanto Freud stesso aveva affermato, l'anatomia non costituisce un destino ma tutt'al più una predisposizione. Che può essere confermata o smentita attraverso uno scambio, detto edipico, di sentimenti erotici e aggressivi nei confronti della madre e del padre.

Il semplice sviluppo pulsionale non basta a fare una donna, occorre che le spinte in senso lato istintuali si inscrivano all'interno di relazioni familiari dove, simbolizzandosi, si umanizzano. Per entrambi, maschi e femmine, l'acquisizione dell'identità sessuale è inseparabile dal divieto dell'incesto, la Legge delle leggi che, strappando il bambino alla promiscuità animale, sottoponendolo al limite e al divieto, lo apre al sistema degli scambi che regola la società e il linguaggio.

La proibizione dell'incesto tuttavia non si declina allo stesso modo per maschi e femmine. Ancora una volta compare una dissimmetria di valore tra i due generi che ristabilisce l'antica gerarchia. Nella sua ricognizione della femminilità, la cosa che più lo stupisce è il "furioso attaccamento " della bambina alla madre, un amore forte, intenso, ambivalente, contrassegnato da una violenta aggressività che spesso si protrae sini ai 4 - 5 anni per poi scomparire. Non certo per l'intervento del padre, che dovrebbe già essere avvenuto verso i tre anni, ma piuttosto, nota Freud per l'ostilità che improvvisamente contrappone la figlia alla madre.

Perchè questo repentino cambiamento? Perchè la bambina imputa alla madre la sua mancanza di pene, non le perdona questo insuperabile svantaggio. Il rancore che contrappone la figlia alla madre implica sia già sorta quell'originaria invidia del pene che segna il sorgere dell'identità femminile. L'ometto è diventato bambina sulla spinta di un sentimento invidioso che non sarà sradicato mai più.

Questa ipotesi avvolara la convinzione che la superiorità di un sesso sull'altro sia già lì, in piena evidenza anatomica e simbolica , e che la dissimmetria e la conseguente invidia siano solo una conseguenza dei "dati di fatto". Di contro, si può osservare con Karen Horney che la superiorità è indotta dalla società e che un'invidia precendente, quella degli uomini nei confronti della potenza riproduttiva del corpo femminile, li ha indotti a enfatizzare la propria identità sessuale sino a farne un simbolo di potere.

Scrive in proposito Franca Basaglia Ongaro: " La donna è anatomicamente diversa dall'uomo, così come l'uomo è anatomicamente diverso da lei. Ma mentre l'uomo ha stabilito il suo diritto di affermare il suo essere diverso come un valore, la diversità della donna è definita in rapporto con l'uomo, per difetto o per eccesso rispetto a ciò che l'uomo è". (Franca Basaglia Ongaro, Una voce. Riflessioni sulla donna, Il Saggiatore, Milano 1982, p5).

Si può continuare all'infinito il rimpallo tra il corpo , la psiche e la società senza mai giungere a una spiegazione esauriente, a un modello esplicativo causa-effetto perchè le tre dimensioni si implicano a vicenda senza sia mai possibile stabilire un prima e un poi. Ciò che la psicoanalisi sembra scoprire è che la dissimmetria tra i due sessi è imposta dal potere dell'altro, ma la donna stessa è poi complice del senso di inferiorità che la contraddistingue. Consegnandosi senza riserve all'invidia del pene, si impedisce , secondo Freud, di accedere alla giustizia e alla verità. Sembra di riascoltare qui le parole di Platone quenado esclude le donne da ciò che è veramente umano.

Ma il gioco non è così semplice perchè, come efficacemente rappresenta l'hegeliana dialettica servo-signore, le due figure si implicano a vicenda e superiorità e inferiorità sono l'esito di una contrattazione reciproca per cui non c'è l'una senza l'altra : il signore è tale per il riconoscimento del servo e viceversa. In altri termini, la superiorità del sesso maschile si sostiene sull'assenso del sesso femminile.

In tal modo entrambi affidano l'affermazione della propria identità all'alterità; la domanda "chi sono io?" sospender l'Io al riconoscimento dell'altro al punto che Lacan, parafrasando Rimbaud , può asserire: " L'io è un altro". Se l'identità si fonda sulla sua parzialità e dipendenza ogni tentativo di definire la donna in base all'uomo ne conferma la subordinazione ma ogni tentativo di definire la donna in sè e per sè si rivela impossibile perchè l'autofondazione non esiste. Nessuno si definisce da solo; come è abbiamo premesso, l'alterità è costitutiva della soggettività.

La psicoanalisi, quando persegue il compito, sin dagli Studi sull'isteria, di comprendere la femminilità attraverso l'analisi della singola donna, a prescindere dalla struttura profonda delle relazioni umane, è votata al fallimento. Scrive Freud al termine del saggio La femminilità, dopo essersi rammaricato per la difficoltà di cambiare l'assetto psichico delle donne attraverso l'analisi : Se volte saperne di più sulla femminilità, interrogate la vostra esperienza, o rivolgetevi ai poeti, oppure attendete che la scienza possa darvi ragguagli meglio approfonditi e più coerenti" ( Freud; 1932, p. 241) . Non ci deve stupire pertanto che nel suo ultimo saggio ( il Compendio di Psicoanalisi (1938), parlando della differenza sessuale, Freud annoti amaramente:

"In tutto il suo mistero si erge dinnanzi a noi il dato biologico della duplicità dei sessi, elemento ultimo del nostro sapere, caparbiamente irriducibile ad altro. La psicoanalisi non ha contribuito in alcun modo al chiarimento di questo problema...." ( p.615).

Osservazioni e proposte

Certe volte il fallimento di una ricerca può essere più interessante di un successo. E' il caso, credo, del naufragio freudiano che ha il pregio di porre fuori campo, come sterile, una questione fuorviante: definire la natura del femminile, cogliere l'essenza della donna, svelarne il segreto. L'enigma, rimasto tale, autorizza piuttosto altre, più produttive indagini.

Tra i percorsi tentati (emancipativo, liberatorio, trasgressivo, nostalgico, narrativo) mi sembra particolarmente avvincente quello che assume per oggetto la relazione, intesa come Bildung del soggetto femminile, come processo di formazione.

E' indubbio che si tratta di una funzione ambivalente in quanto la donna ha storicamente trovato nelle relazioni di figlia, sorella, moglie e madre le catene delle sue rinunce e della sue mutilazioni. Ma non si tratta di recuperare il passato ma di rivalutare queste funzioni compiendo la delicata e ardita operazione di trasformare la debolezza in forza.

Per prima cosa però è necessario, come ben dice Elena Pulcini (Il soggetto femminile e la funzione di relazione, in " Iride", 19, settembre 1992-Dicembre 1993), liberare il concetto di relazione dall'eredità negativa che lo minaccia per trasformarlo in un valore positivo e in certa misura eversivo rispetto all'ordine sociale e simbolico esistente.

La società patriarcale ha relegato la donna nella sfera privata della famiglia indebolendo la potenza materna e la passione erotica femminile nelle forme devitalizzate della dedizione e del sacrificio di sè. Di contro l'uomo è stato espulso dalla sfera dell'intimità e dei sentimenti e "specializzato" nell'esercizio della ragione calcolante e della competizione sociale. I processi di emancipazione hanno prodotto un'equivalenza esterna, valida soprattutto sul piano dei diritti formali , ma sia nell'ambito del lavoro ( la selezione verticale favorisce sempre gli uomini) sia nel privato ( la gestione delle cure domestiche e l' allevamento dei figli spettano per lo più alle donne ) permangono gravi diseguaglianze.

Tuttavia esse sono progressivamente livellate , non più dalle lotte di emancipazione, ormai sopite, quanto dal processo mondiale di omologazione che tende a schiacciare ogni differenza sotto il primato dell'efficienza e del profitto. Se in questi anni le giovani coppie si suddividono le incombenze domestiche non è per una nuova presa di coscienza, ma perchè, tenendo conto dell'indigenza in cui versano e del lavoro di entrambi, non possono fare altrimenti. Quelli che possono apparire come fattori di libertà sono in realtà esiti di una dura necessità.

Nel contempo però anche sotterranee dinamiche affettive hanno eroso le differenze portando entrambi i sessi a convergere in un'area materna. Nella famiglia contemporanea nessuno vuole svolgere il ruolo negativo di imporre regole e limiti. Predomina la famiglia permissiva, la famiglia"sì". Anche la gestione degli affetti e delle emozioni non è più compito eclusivamente femminile. I giovani uomini stanno imparando la grammatica dei sentimenti e la libertà delle emozioni. Benchè , entro certi limiti, le donne abbiano recuperato aspetti maschili e gli uomini riconosciuto in sè elementi femminili, manca tuttavia tra i sessi una vera interazione comunicativa.

Spesso l'innamoramento, inteso come desiderio di amare e di essere amati, si indebolisce in tentativi sporadici, svogliati, dove basta la minima frustrazione per rinunciare all'impresa. Il rapporto sessuale stesso, che un tempo rappresentava il coronamento della seduzione, svolge spesso la funzione preliminare di inaugurare, anzichè concludere, la conoscenza reciproca.

E' un rito per la formazione della coppia, per dire "stiamo insieme"; poi ciascuno riprende il suo spazio, le sue frequentazioni. Poichè manca un progetto condiviso non c'è progressione: si può stare insieme per anni senza che la relazioni si modifichi sostanzialmente.D'altra parte la sessualità, svincolata dalla procreazione, ha ormai perduto il suo più potente organizzatore, la genitalità.

Tanto più che la fecondazione artificiale eterologa ha reso superfluo lo scambio sessuale. Ognuno potrà diventare padre e madre da sè, senza sottostare all'umiliazione di riconoscersi insufficiente e alla frustrazione di dover chiedere all'altro la realizzazione del proprio desiderio di filiazione. Nel frattempo un' emancipazione e una liberazione imperfette hanno incentivato il narcisismo e prodotto una situazione di staticità vischiosa in cui i due generi, non trovando la giusta distanza, oscillano tra un "troppo lontano" e un "troppo vicino", tra il possesso e la fuga.

In esistenze senza progressione, contraddistinte da processi psichici di fissazione e regressione, vi è la tendenza a scivolare nel preedipico, nel periodo che precede l'inserzione del padre nella coppia madre-figlio. Una fase per altro mai superata del tutto nella famiglia attuale, contraddistinta da un' incestuosità diffusa, soft, dove non sono mai state erette salde barriere tra i ruoli, i sessi, le generazioni, le posizioni.

In questa ovattata indistinzione domina la Madre ( spesso una figura mista, composta da entrambi i genitori) che trattiene presso di sè i figli con un doppio legame: sii te stesso ma ricordati che sei quello che io voglio tu sia. Il figlio ideale si contrappone così al figlio reale, con un quotidiano, ravvicinato confronto tra le due figure che impedisce , in un clima di apparente libertà, un'autonoma costruzione di sè. Accade che i genitori, alleandosi all'onnipotenza adolescenziale del figlio, ne realizzino i desideri più fantasiosi, più provocatori, avanzati soltanto per sentirsi dire di no. Per poi stupirsi del suo insufficiente rendimento scolastico.

Temendo la depressione come una bestia nera, cercano di mantenere costantemente alto il suo livello di eccitazione, senza rendersi conto che, in tal modo, trasformano la vita in droga. Ogni progetto richiede infatti che la gratificazione sia spostata più in là, che si sopporti la frustrazione in vista di un appagamento futuro. Il desiderio rimane vivo soltanto se inserito in un gioco di impossibilità. Ottenere tutto significa perdere tutto perchè desidero solo ciò che non ho . Il desiderio è un intervallo tra il non più o il non ancora. In altri termini è necessario tollerare di vivere in una lieve condizione depressiva, in uno stato crepuscolare che è il contrario della crisi depressiva .

La depressione acuta sopravviene piuttosto come crollo dell'ipertensione euforica. L'incapacità di sublimare, di rinviare, di soffrire, rende ormai ingestibili le strategie di seduzione che richiedono immaginazione, introspezione, attesa e creatività . Il sogno d'amore e il corteggiamento insegnavano a ragazze e ragazzi a riconoscere la differenza, l'alterità e a trovare strategie di mediazione e forme di reciprocità. Ora invece ciascuno resta solo, in attesa di un incontro, sempre più idealizzato, che non sa né propiziare né accogliere.

Dove stiamo andando?

Erosa la contrapposizione maschile-femminile, desacralizzato l'ignoto dell'alterità radicale che incentivava le passioni di conoscenza e d'amore, si assiste ora alla "fine del desiderio". Un'espressione che è stata banalizzata prima di essere interrogata e che appare al tempo stesso evidente e sfuggente.

Poichè il desiderio trova le sue sollecitazioni nell'assenza, nella mancanza, nel mistero, l'eccesso di evidenza lo spegne. Paradossalmente la convivenza, la prossimità, l'abitudine finiscono per rendere estranei i due sessi. Nella proliferazione delle proposte d'appagamento, l'offerta satura prematuramente la domanda impedendole di prendere forma. Resta soltanto una tensione senza immagini, un'eccitazione indistinta, che non prevede sbocchi.

Basta vedere la composizione delle classi nella scuola media per capire come siamo stati ingenui nel presumere che mettere maschi e femmine negli stessi banchi avrebbe favorito le relazioni tra i sessi. Al contrario, come ben sanno gli insegnanti, gli alunni tendono a schizzare lontano gli uni dalle altre come l'acqua nell'olio bollente.

Solo la spinta biologica della raggiunta maturità sessuale riesce poi ad aprire un ambito di convergenza, seppur tra mille difficoltà. Penso che le proposte che giungono da più parti di suddividere nuovamente le classi tra maschili e femmini non sorgano tanto dalla discrepanza del profitto scolastico (come si sa le ragazze sono più attente, diligenti e studiose) quanto dal fatto che, mancando le sinergie, le differenze si tramutano in isolamento, talora in rancore.

Quando si sottopongono ragazzi e ragazze a test costruiti per misurare la percezione delle relative caratteristiche , si raccolgono spesso i più tradizionali stereotipi, come se i pregiudizi sessisti si fossero sedimentati nella memoria a dispetto delle trasformazioni sociali. Forse le dinamiche che hanno mutato i rapporti tra i sessi state così rapide che è mancato il tempo per equiparare i mutamenti esterni a quelli interni.

A tratti, per lo più in occasione di gravi fatti di cronaca nera, si ripropone, sempre più stancamente, il problema dell'educazione sessuale. Mentre l'informazione scientifica non suscita difficoltà, non è ancora chiaro come si debba realizzare la formazione, intesa come cultura dei sentimenti ed etica della responsabilità.

Spesso i ragazzi ne sanno, in fatto di sesso, più degli adulti e i mass-media svolgono in proposito un'azione ambivalente. Nei casi migliori (film, musica, spettacoli teatrali) offrono moduli narrativi che aiutano a trasformare i vissuti in esperienze , l'immediatezza della vita nella comprensione di una storia, nei casi peggiori sospingono invece il desiderio nel meandri della perversione, abbandonandolo alle contraddizioni del desiderio che non riconosce nè gerarchie nè elimiti.

A queste trappole si aggiungono poi le lusinghe della comunicazione simulata, delle relazioni virtuali. Basta pensare all'estensione di Internet, dove il mondo dietro lo schermo tende a sostituirsi alla realtà sino a produrre nuove sindromi da assuefazione e, in prospettiva fantascientifica, uomini e donne da allevamento. Mentre si assiste a un'enfatizzazione dell'immaginazione, il corpo viene abbandonato alla mera strumentalità, sino a diventare un apparecchiatura , un cyborcorpo, montaggio di elementi biologici e tecnologici. Se così stanno le cose, i rapporti uomo-donna, con tutte le modulazioni che ne conseguono in base alle età, alle posizioni familiari e sociali, alle specificità biologiche e psicologiche - non sembrano più costituire il cuore.

Se vogliamo cogliere linee di tendenza, dovremmo dire che l'identità, più che dal raffronto con l' "altro", procede in una miriade di contatti, brevi e sporadicin con gli "altri" Come sostiene Remo Bodei, ( Remo Bodei, Destini personali. L'età della colonizzazione delle coscienze, Feltrinelli , Milano 2002), distrutti gli "stampi del noi", ognuno è chiamato a definirsi da sè. Tanto che alle prove dell'esistenza di dio si sono sostituite le proce dell'esistenza dell'io. Un io sempre più evanescente in quanto, non essendo più contenuto nelle forme esemplari della tradizione religiosa e laica, si sta frammentando in uno spettro di rifrazioni.

Il paradosso consiste ora nel dichiarare l'inconsistenza dell'io ( anche senza giungere alla diagnosi suggestiva di "personalità multiple) e nell' affidargli al tempo stesso l'autonoma, spontanea, incondizionata, costruzione dell'identità e della soggettività.

Identità e soggettività sempre meno si qualificano polarmente come maschile e femminile, soffermandosi piuttosto in terre di mezzo, dove accadono ibridazioni personalissime . Al limite potremmo asserire, come propone Nancy J. Chodorow, , trad. it., Femminile, Maschile, sessuale. Sigmund Freud e oltre, trad.it. La Tartaruga, Milano 1995) che non esistono due sessi ma tre, quattro, dieci.... "n": un sesso per ciascun individuo. La sessuazione , svincolata dalla normatività binaria, si propone come un compromesso originale , aprendo l'innamoramento a tutte le possibili combinazioni.

Se così fosse i temini "uguale/diverso" sarebbero, per quanto riguarda la sessualità umana, da ridefinire o forse da abbandonare alla dissolvenza di caleidoscopiche possibilità. In ogni caso sarebbe perduta quell' evidente contrapposizione che ancora ci ostiniamo ad attribuire loro.

La domanda iniziale "diversi da chi?" non avrebbe più ragion d'essere in un mondo dove tutto è differente da tutto e neppure uguale a se stesso. In un universo liquido dove l'identità è labile, la soggettività aleatoria e la biografia si riduce a frasi brevi, rapide e nervose, ogni qualificazione risulta contingente, casuale.

Nella prospettiva della post-modernità anche la forza aggregante della narrazione, il coagulo di sè costituito dalla propria storia, dalla tessitura della propria bio- grafia viene meno perchè non c'è un telaio che lo sostenga. Ogni raffigurazione assomiglia a un disegno sull'acqua, subito disperso dalla fluidità dell'elemento. Anche se Alexandre Kojève dichiara la "fine della storia" non significa tuttavia che siano finite tutte le storie, semplicemente restano in sospensione, incapaci di aderire a ciò che non c'è ancora e che, forse, sta per venire.

Secondo Lacan, all'analizzante che chiede 'Chi sono io?', l'analista risponde 'tu sei la tua storia' e da qual momento apre le porte dell'anamnesi che lo condurranno sino al luogo delle origini, a ciò che era prima di dire "io". Di fronte all'evidente difficoltà di realizzare l'imperativo freudiano "dove c'era Es, deve divenire Io" si apre ora, nella clinica psicoanalitica, una prospettiva nuova , quella che affida all'immediatezza della creazione artistica, all'atto mitopoietico , la possibilità di cogliere le pulsazioni dell'io e le variazioni del proprio personale destino. (Antonino Ferro, Fattori di malattia, fattori di guarigione, Cortina, Milano 2002).

Forse, in questa economia, anche il rapporto tra i sessi sarà affidato a un nuovo regime. L'identità, il divenire sè, priva di contrattazione, di progettazione a lungo termine, di istituzionalizzazione atterrà , più che al fare, all'intensità del sentire. Ma stiamo qui anticipando il futuro quando ancora rimane valido, a mio avviso, il progetto della modernità che ci confronta con la necessità di declinare insieme uguaglianza e differenza e di progettare un'etica sessuata, fondata sul riconoscimento dell'altro e sulla responsabilità condivisa.

 

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