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Antonio Margheriti, artigiano d'altri tempi



Paolo Fazzini




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Lucio Fulci lo chiamava "l'imperatore delle Filippine" perché lì aveva girato più di dieci film; i critici avevano l'abitudine di soprannominarlo "il Roger Corman italiano", paragonandolo (con avventata sommarietà) al celebre regista-produttore statunitense. Ma lo pseudonimo che Antonio Margheriti aveva scelto per sé era Anthony M. Dawson, e con questo pseudonimo ha firmato, durante i suoi quarant'anni di carriera, circa sessanta film, senza considerare i progetti ai quali aveva partecipato come produttore o curatore degli effetti speciali.

Abbiamo tentato di cogliere il segreto del successo e della longevità professionale incontrando Margheriti pochi mesi della sua scomparsa, avvenuta lo scorso 4 novembre, durante le riprese del film documentario Le ombre della paura - Il cinema italiano del terrore 1960/1980.


"E' più importante fare un brutto film al momento giusto che un bel film al momento sbagliato! - ci ha raccontato - io ho girato molti film nei momenti sbagliati perché facevo la fantascienza quando tutti facevano i western, facevo i western quando gli altri facevano i film sugli antichi romani…ero sempre fuori genere! Questo però si è rivelato un vantaggio, poiché quando realizzavo un film non incontravo molta concorrenza e così sono sempre riuscito a vendere all'estero i miei lavori."

Una dichiarazione dai vaghi toni paradossali, ma che fa bene comprendere come e perché Margheriti sia arrivato a dirigere i suoi film attraversando diversi generi cinematografici e specializzandosi soprattutto nella fantascienza, nell'horror e nell'avventuroso.

Ciò che forse possedeva, a differenza degli altri "artigiani" del nostro cinema, era quel senso imprenditoriale che lo portò a dirigere anche per grandi case di produzione, come la Fox e la Columbia, senza snaturare il proprio metodo di lavoro. "Giravo il film negli Stati Uniti, ma poi tornavo a Roma e nel prato vicino a casa mia realizzavo, con i miei ragazzi, gli effetti speciali. Dopo una settimana consegnavo il girato e si completava così il film."

Dai lavori che Margheriti ci ha lasciato risalta la bravura tecnica, la credibile messa in scena che, anche scontrandosi in alcuni casi con sceneggiature approssimative, mantiene un ritmo sempre godibile. Una capacità che gli permetteva di girare battaglie (finte) di elicotteri (finti) nei dintorni del Ponte di Ferro a Roma e trasformarli, sullo schermo, in estenuanti scontri militari in Vietnam.

"Più il budget è povero più tento di farlo apparire grande. Nei miei film ci sono trucchi, impicci, battaglie, esplosioni…e scoppia questo, e succede quell'altro…insomma, riuscivo a dare una grandezza al film superiore a quanto le spese sostenute consentivano."

Il suo cinema è fatto di budget controllati, di mezzi tecnici limitati, di previsioni di riscontri commerciali; ma anche di passione, di ostinazione, di sperimentalismo, quando sperimentare consisteva ancora nell'utilizzare un nuovo zoom per riuscire a realizzare una carrellata altrimenti impossibile.

"Mentre giravo Il pianeta degli uomini spenti, Mario Bava, nel teatro accanto, stava girando La maschera del demonio. Una sera mi prestò uno zoom appena uscito sul mercato e ciò mi permise di girare le scene iniziali del mio film. Mi piace pensare a me e a Mario (Bava) non come a degli avventurieri del cinema, ma a come dei grandi avventurosi."

Avendo l'occasione di parlare con lui, eravamo curiosi, tra l'altro, di sapere come vivevano, negli anni '60, i cosiddetti "artigiani" (cioè coloro che avevano gravitato sempre intorno ad un cinema commerciale) e coloro che invece venivano definiti "autori", che nello stesso periodo esordivano realizzando opere memorabili per la storia del nostro cinema; volevamo sapere se c'era uno scambio di opinioni tra questi personaggi così differenti o se, anche fortuitamente, si incontravano, magari in qualche ristorante.

"Può sembrare strano - ha raccontato Margheriti - ma io non conosco molta gente di cinema. Ho sempre lavorato per conto mio curando la produzione, la regia, gli effetti, e ho sempre lavorato molto. Vidi Accattone di Pasolini per la prima volta al cinema insieme a Tonino Delli Colli, che era alle sue prime esperienze, e mi piacque moltissimo, ma non ho mai avuto la fortuna di incontrare i grandi registi. Io e Mario eravamo più chiusi in un nostro giro, che poi era quello del cinema commerciale. Nemmeno Dario Argento ho mai conosciuto personalmente!"

La quasi imbarazzante modestia e pacatezza di Margheriti assurge a simbolo di un certo cinema italiano, di un periodo in cui fare film significava essere pratici, ingegnosi, appassionati, e bravi. Anche perché realizzare pellicole commerciali, fino a una ventina di anni fa, voleva dire confrontarsi con l'estero e cercare di accaparrarsi una nicchia di mercato non trascurabile. Basti pensare che Il mondo di Yor (1982) uscì negli Stati Uniti con 1425 copie, una cifra che non ha nessun paragone con le limitatissime potenzialità del cinema italiano di adesso.

I generi cinematografici sono scomparsi dal cinema italiano degli anni più recenti, colpito da trasformazioni totali che riguardano anche le strutture e il modo di considerare il cinema da parte di chi si ostina a farlo e a produrlo. "Anche in quei tempi non era facile trovare la condizione di produrre film di un certo tipo in Italia. Per poter girare ho spesso tentato la via diretta della produzione e questo mi ha tagliato un po' le gambe. Le cose sarebbero andate forse diversamente se avessi avuto dietro di me un produttore importante. Con Addessi (che ha prodotto Danza Macabra, forse il più celebre dei film realizzati da Margheriti, NdR), per esempio, ho fatto molti buoni film, anche se a basso costo; la figura del produttore era e continua a essere fondamentale, ma oggi proprio non esiste più."

I diafanoidi vengono da Marte (film citato da Allen Ginsberg e da Wim Wenders), Danza macabra (un capolavoro del gotico italiano), Contronatura (dal quale Kubrick trasse ispirazione per la "cascata" di sangue in Shining), L'ultimo cacciatore (citato da Tarantino come uno dei suoi film preferiti) sono soltanto alcuni titoli della sterminata filmografia di Margheriti; pellicole che andrebbero riviste senza la snobistica pretesa di elevarli a capolavori dimenticati, ma goderli così come Dawson li avevi pensati e girati: con affetto, attenzione, passione e soprattutto con uno spirito disposto al divertimento.

Cosa, quest'ultima, rara nel cinema italiano di oggi.

I link:

Numero 185 di Caffé Europa dedicato al cinema horror italiano.
Tre fantastici superregisti: numero speciale di Delos su Bava, Freda e Antonio Margheriti , noto anche come Anthony Dawson (italiano).

 

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